Ogni iniziativa tesa al recupero passa prima attraverso l’acquisizione al patrimonio pubblico. E’ il punto di partenza da cui iniziare il percorso di recupero del complesso monumentale di Sant’Antonino a Scicli, oggi proprietà delle famiglie Sgarlata-Giavatto, e oggetto, nel corso del fine settimana, di un interessante convegno organizzato dall’architetto Elèda Trovato e dall’associazione giovanile Koinòn presieduta da Daniela Lucenti. La Trovato ha condotto presso la specialistica in Restauro, dell’Università di Genova, una campagna di studi sul monumento, insieme all’architetto brasiliano Izabel Alcolea, alla dottoressa Ilaria Cavirani (laureata in Conservazione dei Beni Culturali di La Spezia) e all’architetta Benedetta Steri (di Firenze). Presupposto dell’intervento è che il bene diventi di proprietà pubblica, è stato spiegato nel corso del convegno, che ha registrato gli interventi, oltre che dello stesso architetto Trovato, dello storico dell’arte Paolo Nifosì, dell’architetto Caterina Carocci, docente di restauro all’Università di Siracusa e Catania, dell’ingegnere Sergio Lagomarsino, vicepreside della facoltà di Ingegneria di Genova. Il Comune ha chiesto alla Sovrintendenza di attivare un intervento in sostituzione dei privati proprietari, che diventi l’inizio della procedura amministrativa di esproprio, o meglio, di acquisizione al patrimonio pubblico del bene monumentale. La prassi dovrebbe essere identica a quella che ha permesso di acquisire l’ex Convento della Croce e quella che dovrebbe essere usata per la Fornace Penna di contrada Pisciotto. E’ un percorso individuato dalla legge sui beni culturali del 1939 (risalente quindi al Ventennio fascista) e ribadita dal cosiddetto "Codice Urbani", varato dal precedente Governo nazionale, dal Ministro Giuliano Urbani appunto. E’ la Regione, e il suo ufficio territoriale competente, la Sovrintendenza, a dover compiere il passaggio più delicato: chiedere ai proprietari di attivarsi per la tutela, dare un congruo tempo, oltre il quale la Sovrintendenza interverrà in danno. Non è pensabile del resto che un albero continui ad allignare nientemeno che sulla volta di quello che fu il Convento di Sant’Antonio da Padova, una delle poche architetture precedenti al terremoto del 1693 sopravvissute, testimonianza della stratificazione architettonica consumatasi lungo almeno tre secoli. La proposta emersa dal convegno è in qualche misura identica a quella pensata per la Fornace Penna di contrada Pisciotto: la ruderizzazione. Sostanzialmente, la messa in sicurezza dell’esistente, un intervento minimo di consolidamento e poi un museo a cielo aperto di questa testimonianza storica.
Scicli: CONVENTO DI SANT’ANTONINO, PARTIRE DALL’ESPROPRIO E’ il punto di partenza del recupero, come emerso nel convegno organizzato dall’architetto Elèda Trovato
- Febbraio 5, 2007
- 3:32 pm
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