1° maggio: non si perda il senso di una festa che rilancia l’impegno al diritto-dovere del lavoro

1.Martedì primo maggio è la festa dei lavoratori e, per la chiesa, di san Giuseppe lavoratore. Ci sembra importante conservare le antiche feste, religiose e civili, che fanno riferimento a grandi valori e a non sovrapporvi altri tipi di festa che rischiano di avere come prevalente solo il significato commerciale (come, per esempio, Eurochocolate che continua ad essere collocata senza vera necessità in quaresima). Senza dire di feste che, in questi giorni, sono state inventate per un fine propagandistico e collocate ancora una volta in giornate che già avrebbero il loro significato. Ora, quanto al primo maggio, ci pare importante non perdere il senso di una festa che mette al centro il valore del lavoro. Il lavoro, infatti, non è solo fonte di sussistenza e di guadagno: nel lavoro l’uomo realizza anzitutto la propria vocazione a continuare l’opera della creazione. Con i tratti della bontà e della bellezza. Da qui il suo carattere di diritto e di dovere, sancito dalla nostra Costituzione repubblicana agli articoli 1 e 4, da qui la continua attenzione anche della comunità cristiana a questo tema. 2.L’invito ricorrente che come Caritas abbiamo fatto il primo maggio è stato quello di tenere vivi un serio confronto sul tema del lavoro e un corale impegno a superare tutte quelle forme con cui si umilia la dignità dell’uomo: il clientelismo, il precariato, il lavoro nero. Si tratta di un invito sofferto e fermo, che nasce dall’ascolto continuo di tante situazioni di disperazione per le quali non basta un aiuto immediato (che pure si cerca di dare) ma per le quali occorre una politica seria che accompagni e governi i processi dell’economia. 3.All’invito abbiamo cercato di unire alcuni segni, favorendo forme di lavoro per i più deboli o forme cooperative che hanno permesso a giovani e meno giovani di lavorare con grande dignità e soddisfazione. Al più presto rilanceremo forme più organiche di impegno e di animazione, in collegamento con il progetto Policoro (così chiamato dalla città della Basilicata in cui è stato avviato). Si tratta di una serie di iniziative – promosse dall’Ufficio della Conferenza episcopale italiana per la pastorale sociale, dal Servizio nazionale di pastorale giovanile, dalla Caritas Italiana – tese a formare animatori e ad accompagnare esperienze di lavoro soprattutto nel Meridione d’Italia.

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