ISPICA, I BAMBINI CONTESI NON VOGLIONO LASCIARE IL PAPA’

Due bambini contesi dai genitori e l’applicazione delle norme previste dalla legge sono al centro dell’ennesimo braccio di ferro tra burocrazia e logica. Una lotta impari se consumata sul territorio nazionale, una battaglia dai risvolti impensabili se, come in questo caso, i genitori sono di nazionalità diversa. Protagonisti di una storia d’amore finita sono un italiano, C.A., e un’americana, K. K., genitori di due fratellini di 4 e 6 anni, nati figli e cresciuti vittime. Il contenzioso tra marito e moglie, si consuma in Tribunale. I bimbi, ignari, vivono nella casa paterna circondati da nonni e zii. «Nel vissuto dei bimbi non esiste la figura della madre», recita la relazione degli psicologi. Almeno fino alla tarda mattina di ieri. Quando due poliziotti della Squadra mobile di Ragusa si presentano ai nonni chiedendo di consegnare i fratellini all’assistente sociale dell’Ussm (Ufficio servizi sociali minori) di Catania in ottemperanza a un provvedimento del Tribunale dei minori etneo. Un decreto che affida i bimbi alla madre e che prevede, in sua assenza, il ricovero immediato in una Comunità. I nonni si barricano in casa e rifiutano di lasciare i nipotini, mentre gli zii tentano di spiegare ai tutori della legge che il padre è a Catania proprio per un’udienza sull’affidamento dei figli. «Non voglio vìolare la legge, vorrei solo capirla», si sfoga C. A. arrivato a casa con il cuore in gola e frastornato dagli eventi. Eventi giuridicamente cominciati il 19 luglio del 2007. Giorno in cui il Tribunale dei minori di Catania, su richiesta di C. A., emette un decreto in cui «vieta alla signora K. K. di espatriare dall’Italia con i bambini, in attesa dell’istruttoria» e fissa la comparizione delle parti per il 13 novembre scorso. Nel frattempo K.K. denuncia il marito per sottrazione di minori e, secondo quanto racconta C.A., «mette su Internet le foto dei nostri figli che finiscono tra alcuni siti porno». Intanto, lo stesso Tribunale, che aveva vietato l’espatrio dei bimbi, il 14 novembre ne ordina l’immediata consegna alla madre, secondo le disposizioni della convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980. Il giorno dopo, è sempre lo stesso Tribunale a dichiarare «il proprio difetto di giurisdizione» e a revocare il provvedimento di luglio. Il padre avanza richiesta di sospensiva alla Corte d’appello. L’udienza si svolge ieri mattina. C.A. è davanti ai giudici quando il pm firma e consegna ai poliziotti il provvedimento che impone «la consegna dei bimbi alla madre, o in sua assenza e vista l’irreperibilità del padre, a una Comunità». I poliziotti, però, il padre lo trovano. Ed è a lui che chiedono dove sono i figli senza spiegargliene il motivo. C.A. dice che sono con i nonni. Mentre l’udienza viene aggiornata a venerdì prossimo, C.A. riceve la chiamata disperata dei nonni: «Vogliono portarci via i bambini». E’ un turbìnio di telefonate. I bimbi piangono. Ma nessuno si ferma. La legge è legge. L’avvocato Salvatore Giuliano, del Foro di Catania, difensore di C.A., afferma: «E’ assurdo che in presenza di una situazione quantomeno dubbia e controversa, con provvedimenti esecutivi della stessa efficacia giuridica, ma contradditori e contrapposti, si faccia un’azione di forza, strappando due bambini così piccoli al loro contesto». L’altro difensore di C.A., l’avvocato Piero Rustico, sindaco di Ispica, rincara la dose: «L’esecuzione di un provvedimento su minori non può essere attuata alla stregua di un’esecuzione immobiliare. La legge non prevede l’allontanamento con la forza o la violenza». L’avvocato Giuseppe Barletta Caldarera, difensore di K.K. dichiara: «Il Tribunale ha emesso un provvedimento motivato e come tale va rispettato». Arriva la sera, che trova a casa di C.A., la polizia, il sindaco Rustico, l’assistente sociale Blandizi, e il funzionario dell’Ussm Gaglione. Della madre non c’è traccia. I fratellini, spossati e spaventati, restano spettatori sperduti in quel palcoscenico irreale su cui, contro ogni logica, si arrovellano personaggi che dimenticano d’essere padri e non ricordano di essere stati figli. In nome della legge.

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