SCICLI. RITROVATO IL PAVIMENTO IN CERAMICA DI PALAZZO SPADARO

Piastrelle di ceramica pregiatissima, proveniente da Caltagirone, ammassate in uno scantinato, in pieno centro storico, in un luogo che non è stato reso noto per evitare gli appetiti dei ladri. A Scicli, del resto, si rubano persino i ciclamini di via Mormina Penna. L’amministrazione comunale di Scicli ha dato disposizione di inventariare le piastrelle ritrovate senza ancora aver deciso che fare. Del resto non è cosa semplicissima. Negli anni ottanta il pavimento del palazzo fu sostituito: via le bellissime piastrelle e giù il marmo. Solo l’alcova del barone, l’unica stanza in cui sono sopravvissute le lunette sovrapporta, fu risparmiata dall’intervento. A distanza di oltre venti anni viene fuori il vecchio pavimento, o meglio, una parte del vecchio pavimento, anche perché l’altra fu trafugata, e secondo quanto si racconta finì per adornare case e ville private. I soldi per il restauro e il ripristino del vecchio pavimento non ci sono, ma ciò non vieta di progettare un suo recupero anche nel lungo periodo. Acquistato grazie a una legge regionale che consentiva al Comune di impiegare solo il 5% della spesa, il palazzo è appartenuto alla famiglia Spadaro, di origine modicana trasferitasi a Scicli nel XVII secolo, e fu costruito a più riprese durante il 1700. Questo sviluppa il suo prospetto tardobarocco in lunghezza, assecondando l’andamento curvilineo che la strada assume in questo tratto e mantenendo perpendicolare al portone la scalinata interna. La facciata presenta otto balconi con inferriate convesse in ferro battuto con particolari modanature rococò a motivi geometrici e floreali. Questa particolarità delle inferriate è dovuta ad un’esigenza di ergonomicità per facilitare le dame ad affacciarsi dai balconi visti gli abiti sontuosi dell’epoca. La parte sottostante presenta otto aperture tra i due portali intagliati con eleganti modanature. Il portone principale, antistante la chiesa di San Michele Arcangelo presenta una decorazione ricca dove si può vedere il simbolo della famiglia Spadaro, ovvero un leone rampante. Tutta la facciata è impaginata in un telaio di lesene ad ordine gigante. Il prospetto posteriore di via Spadaro (che prende il nome dal palazzo) si presenta più povero, forse usato come ingresso della servitù viste anche le decorazioni. I due balconi, sempre con inferriate convesse anche se di minore ampiezza, sono decorati con mascheroni che rappresentano un vecchio che stringe tra le gambe un quadrupede e un giovane dalla chioma fluente che porta alla bocca un frutto e due galli che sono posti ai lati. Vi è inoltre un terrazzino che collega l’edificio principale con un altro, sul lato opposto della via, formando un ponticello frequentato all’ora dagli innamorati (e proprio il barone Spadaro era solito sbirciarli dai balconi soprastanti). L’ingresso principale presente un’elegante scala a due rampe detta “a tenaglia” opera del capomastro Giorgio Vindigni di Modica, satura di decorazioni policrome sulle pareti e sul soffitto. Le sopraporte del pianerottolo e i lati delle porte d’ingresso sono collocate quattro tele che raffigurano piatti dorati con teste di profilo tra fasce spiraliformi, festoni, ghirlande e puttini. Sulla rampa destra è collocato un dipinto su tela realizzato tra il 1926 e il 1930 da Raffaele Scalia (pittore nativo di Avola che si ispira alla pittura della seconda metà dell’800), raffigurante una donna e tre bambini con la mano tesa per chiedere l’elemosina. Sempre dallo Scalia è la tela collocata dall’altro lato della scala raffigurante una madre con due ragazze nel pieno della tranquillità familiare. La collocazione delle due tele non è casuale. La prima intitolata “Povertà” è stata collocata a lato dell’ingresso utilizzato dalla servitù, la seconda a cui è stato dato il titolo “Ricchezza” si trova a lato dell’ingresso usato dalla famiglia Spadaro. La distribuzione spaziale delle sale al primo piano presenta otto ambienti comunicanti “ad infilata”, che si affacciano sulla via Francesco Mormina Penna mentre nell’ala Nord vi sono dei vani di disimpegno, usati probabilmente come sala del fumo e sala del the. L’ultimo ambiente dell’ala Nord è stato riconosciuto come il luogo dove era collocata la piccola cappella della famiglia di cui non resta alcuna traccia se non due crocifissi del 1400 (in legno e in cartapesta) recentemente restaurati. Viene ricordato che l’altare presente nella cappella riproduceva in scala ridotta l’altare maggiore in marmo intarsiato della chiesa di san Matteo. Tutte le stanze erano pavimentate con maioliche di Caltagirone che richiamavano i colori delle pareti e dei soffitti. La carta da parati che attualmente riveste i muri e i tendaggi riecheggiano i tessuti nel periodo di splendore del palazzo. Della mobilia rimane esclusivamente un credenzone in legno a vetro arricchito da colonne tortili con cornice intarsiata, nonostante fino a poco tempo fa si trovassero, quando ancora il palazzo era di proprietà Spadaro, una collezione di vasi greci e siculi, un medagliere greco-romano e una pinacoteca, nonché parte della mobilia originale. In situ sono una tela sulla volta del salone centrale, adibito in origine a salone da ballo, col tema di Apollo e le Muse (XIX sec), di autore ignoto, e una tela appesa alla parete di fondo che raffigura una scena con Venere e Marte, opera anch’essa dello Scalia, originariamente collocata sul soffitto della scalinata principale. Spicca per la policromia degli stucchi e degli apparati decorativi, la volta a guscio scandita da cornici che inquadrano la tela centrale. Il punto d’incontro tra le pareti e la volta è determinato da una cornice perimetrale verde smeraldo affastellata da stucchi fogliacei che assumono sembianze zoomorfi nella tonalità oro zecchino. Ai quattro angoli della volta, entro cornici a mandorla, prendono vita ritratti di statue mitologiche. Ai lati del soffitto sono evidenti medaglioni ovali con temi allegorici e mitologici. L’imponente lampadario della sala da ballo è in cristallo abbellito con gocce pendenti. Di recente sulla volta sud è stato collocato un arazzo raffigurante l’antico stemma araldico della Contea di Modica (al centro) consistente in un’aquila con le ali spiegate che tiene tra le zampe un nastro con i titoli della sergenzia di Scicli. Ai lati sono presenti due stemmi analoghi della città di Scicli con il leone rampante sui tre colli. L’unico ambiente che si conserva nella fattura originaria è la camera da letto. Si tratta di un piccolo vano quadrato dove è ricavata un’alcova per ospitare l’antico letto a baldacchino. Rimane intatta la pavimentazione in ceramica di Caltagirone nelle tonalità del verde, azzurro, rosa e giallo, e le tele collocate sui sopraporta che raffigurano le virtù familiari. Sul lato sinistro dell’alcova è presente una porticina che permetteva una fuga veloce a chi volesse uscire dal palazzo senza essere visto. Considerato che prossimamente il palazzo verrà adibito come sede della pinacoteca comunale fin da adesso si possono ammirare alcuni dipinti realizzati dagli artisti del gruppo di Scicli.
nella foto Palazzo Spadaro a Scicli
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