SNADIR. IL TAR DEL LAZIO PENALIZZA LA DIGNITA’ FORMATIVA E CULTURALE DELL’INSEGNANTE DI RELIGIONE

Una sentenza che confonde ancora la catechesi parrocchiale con l’insegnamento scolastico della religione. Occorre tutelare l’insegnamento della religione, i loro insegnanti e gli studenti-cittadini che scelgono di lavorare di più, impegnandosi ad incontrare nella scuola una disciplina non meno importante della filosofia e della scienza, che è la religione. Si aprono oggi due percorsi importanti che lo Snadir seguirà con particolare determinazione: il ricorso al Consiglio di Stato e un’azione politico-amministrativa affinché l’insegnamento della religione concorra, assieme alle altre discipline, a determinare la media aritmetica dei voti. La sezione terza “quater” del Tar Lazio, che annulla l’ordinanza dell’ex Ministro dell’Istruzione Fioroni inerente le modalità organizzative ed operative per lo svolgimento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, esclude l’insegnamento della religione cattolica dalla valutazione ai fini dell’attribuzione del credito scolastico. A seguito del ricorso, presentato da 24 soggetti (associazioni di varia estrazione, sia laica che religiosa), la frequenza dell’ora di religione cattolica non concorrerà alla “attribuzione del credito scolastico per gli esami di maturità” e “i docenti di religione cattolica” non potranno partecipare “a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento”. E’ una sentenza che non tiene conto delle decisioni della Corte Costituzionale, che più volte ha ribadito che l’insegnamento della religione cattolica è legittimato nelle scuole della Repubblica italiana a seguito delle nuove motivazioni dichiarate all’art.9, numero 2 delle legge 121/1985. Questi dati significativi sono riassumibili nel riconoscimento del valore della cultura religiosa, nella considerazione che i principi del Cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano e nell’inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nel quadro delle finalità della scuola. Queste motivazioni sono – afferma la Corte Costituzionale (sentenza n.203 del 1989) – coerenti con la forma di Stato laico della Repubblica italiana. La decisione della sezione “quater” del Tar disattende quanto la legge 121/1985 stabilisce riguardo all’insegnamento della religione cattolica, e cioè che tale insegnamento è impartito nel "quadro delle finalità della scuola" ed è "compreso tra gli altri insegnamenti del piano didattico, con pari dignità culturale". Inoltre non considera che anche la Corte Costituzionale ha affermato (sent. 203/1989) e più volte ribadito (sent. 13/1991; sent. 290/1992) che l’insegnamento della religione cattolica è inserito nel quadro delle finalità della scuola ed ha pari dignità culturale con le altre discipline; tutto ciò NON E’ – afferma ancora la Corte – causa di discriminazione. Di conseguenza per la Corte la libertà di religione è garantita dall’esercizio di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica e “le varie forme di impegno scolastico presentate alla libera scelta dei non avvalentisi non hanno più alcun rapporto con la libertà di religione” (sent. 13/1991). E’ una sentenza – quella del TAR – che, in dispregio ai pronunciamenti della Corte Costituzionale, non tiene conto del valore culturale e del carattere non confessionale dell’insegnamento della religione cattolica e ignora che tale disciplina è facoltativa nella scelta ma obbligatoria nella sua collocazione curriculare. Ed è chiaro che il suo inserimento nel piano didattico richiede che i programmi siano definiti a livello ministeriale, le lezioni tenute da docenti (di ruolo e non di ruolo) cui la legge richiede precisi requisiti (culturali e concorsuali), e in orario scolastico. Quindi l’insegnamento della religione cattolica a scuola è modulato secondo le finalità della scuola. Inoltre, i docenti di religione non presentano la religione a dei cristiani ma a degli italiani, cioè non ad una categoria di persone che si qualificano per una adesione ad una confessione religiosa, ma a degli studenti che si presentano a scuola per ricevere dei contenuti culturali. Quando uno studente ha liberamente deciso di avvalersi dell’insegnamento della religione, che è una materia scolastica con dignità formativa e culturale identica a quella delle altre materie, ha DIRITTO a vedersi riconosciuto l’impegno con cui frequenta le lezioni di religione e il profitto che ne trae (vedi sentenze Corte Costituzionale n.13 del 1991; Corte Costituzionale n.290 del 1992; Tar Lazio n.7101 del 15 settembre 2000). A seguito di ricorso, la suddetta sezione del Tar Lazio, contraddicendo un’altra sezione (la terza bis) dello stesso Tar, sospese, nel 2007, gli effetti della Ordinanza Ministeriale n.26/2007 (commi 13 e 14 dell’art. 8) che confermava la valutazione dell’insegnamento della religione nella determinazione del credito scolastico. Il 12 giugno 2007 il Consiglio di Stato, cui il Ministero dell’Istruzione e lo Snadir si erano rivolti in appello, aveva invece confermato che l’insegnamento della religione concorre a pieno diritto alla determinazione del credito scolastico, definendo il ricorso – che oggi la sezione quater ha sostenuto – privo di “sufficiente consistenza”. Già con l’ordinanza n.128 del 1999 (quando era ministro della P.I. Berlinguer) venne stabilito che avvalersi dell’insegnamento di religione cattolica concorreva alla formazione del credito. Il Ministro Fioroni, proprio per porre tutti gli alunni sullo stesso piano circa il momento della valutazione, previde, nella citata ordinanza n. 26/2007, che fosse attribuito il credito anche agli studenti che seguono una disciplina alternativa e a coloro che avessero optato per lo studio assistito. Addirittura l’ordinanza di Fioroni prevedeva la “valutazione dello studio individuale”, a condizione che il relativo tempo risultasse impegnato in iniziative formative certificate dalla scuola secondo modalità deliberate dalla istituzione scolastica medesima. Altro errore della sezione quater del Tar Lazio è quello di considerare il credito scolastico e il credito formativo come due valutazioni diverse. Ma come invece – giustamente – afferma il Consiglio di Stato (sent. 3290/2005), il credito scolastico ha “valenza onnicomprensiva e, dunque, anche del credito formativo”. Nel credito scolastico sono individuabili quattro elementi: l’insegnamento della religione cattolica (ovvero la materia alternativa o lo studio individuale assistito), l’impegno ed interesse nella partecipazione al dialogo educativo e alle attività complementari ed integrative, l’assiduità della frequenza scolastica e il credito formativo. Ci si rende facilmente conto che una valutazione positiva, in tre ambiti su quattro, permette di vedersi assegnato il credito scolastico. Quindi se uno studente meritevole ha partecipato al dialogo educativo, ha frequentato con assiduità le lezioni e ha svolto delle attività valutabili nel credito formativo, potrà vedersi assegnato il massimo del credito scolastico definito nella banda di oscillazione a seguito della media dei voti. Risulta allora veramente difficile capire in cosa si concretizzi la discriminazione da tante parti paventata. Questa sentenza, invece, avrà come conseguenza quella di premiare e incentivare il disimpegno, penalizzando gli studenti che scelgono di seguire un percorso didattico che li porta a capire e comprendere come gli uomini abbiano vissuto il loro rapporto con l’Altro e come tutto ciò abbia lasciato un affascinante segno di presenza nella loro cultura: nella pittura, nella musica, nella letteratura, nella filosofia, nelle religioni, nel cristianesimo. La sentenza del Tar afferma che “sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”. Ma è proprio tale premessa – come abbiamo già abbondantemente chiarito – che risulta oggettivamente infondata in quanto confonde la catechesi parrocchiale con l’insegnamento scolastico della religione: quest’ultimo non attiene alla fede individuale né ha lo scopo di generarla. E’ un insegnamento che lo Stato garantisce a tutti coloro che non vogliono restare in una condizione di analfabetismo circa i fatti e i “significati” religiosi, a partire dai testi sacri del monoteismo fino agli eventi dei giorni nostri. Occorre assolutamente tutelare il diritto degli studenti a vedere riconosciuto il profitto conseguito a seguito del loro impegno di studio nel corso di un intero anno scolastico, sia che si tratti di religione cattolica che di materia alternativa (quindi la quasi totalità degli studenti) oppure di studio individuale assistito, affinché non debbano subire loro una grave discriminazione nei confronti degli studenti che hanno scelto il nulla, ovvero uscire da scuola per andare al bar o in sala giochi. E’ questa la scuola che vogliamo? Noi, avendo a cuore la formazione dei nostri studenti e la dignità professionale degli insegnanti, vogliamo impegnarci per una scuola non selettiva ma esigente, aperta al dialogo ed al confronto, capace di essere spazio culturale e di crescita umana. In questa disputa ferragostana abbiamo accolto con favore le dichiarazioni, come quella di Massimo Cacciari, che vorrebbero obbligatorio l’insegnamento della religione, ma non possiamo accettare che i docenti di tale disciplina siano sottratti alla verifica dell’idoneità canonica. Se siamo convinti assieme a Cacciari che la religione è un linguaggio fondamentale e che “è indecente che un giovane esca dalla maturità sapendo magari malamente chi è Manzoni, chi è Platone e non chi è Gesù Cristo”, allora occorre intervenire sul 10% che non si avvale dell’insegnamento della religione cattolica offrendo loro un insegnamento alternativo che esponga almeno le visioni delle grandi religioni monoteistiche. Insomma, chi oggi sceglie l’insegnamento della religione cattolica ha la certezza che il docente è qualificato, in quanto è doppiamente verificato: da parte dell’Ordinario diocesano e dal parte dello Stato (infatti dal 2005 sono in servizio circa 15.000 insegnanti di religione a seguito di superamento di concorso pubblico). Chi sceglie la religione sa che gli sarà impartito un insegnamento rispettoso delle finalità della scuola e correttamente inserito nella tradizione cattolica. Ma è altrettanto vero che coloro che non scelgono l’insegnamento della religione hanno il diritto di avere strumenti adeguati per comprendere una cultura che è profondamente intrisa di motivi “non terreni”. Infine, mi sembra che continuare a difendere la presenza dell’insegnamento della religione nell’attribuzione del credito scolastico sia in fondo poca cosa per una disciplina alla quale è già stata riconosciuta ampiamente piena dignità formativa. Occorre eliminare il riferimento all’art.4 della legge 824/1930 e all’art.309, comma 4 del D.L.vo 16 aprile 1994 n.297, dove si afferma che per “l’insegnamento della religione cattolica, in luogo di voti e di esami, viene redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, per gli alunni che di esso si sono avvalsi, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l’interesse con il quale l’alunno segue l’insegnamento e il profitto che ne ritrae”. Siamo convinti che occorre superare tale disparità e dare piena dignità disciplinare all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Auspichiamo che presto tale disciplina curriculare concorra, assieme alle altre, a determinare la media aritmetica dei voti. Occorre quindi tutelare l’insegnamento della religione, i loro insegnanti e gli studenti-cittadini che scelgono di lavorare di più, impegnandosi ad incontrare nella scuola una disciplina non meno importante della filosofia e della scienza, che è la religione. Si aprono oggi due percorsi importanti che lo Snadir seguirà con particolare determinazione: il ricorso al Consiglio di Stato e un’azione politico-amministrativa.

 

nella foto il segretario nazionale dello Snadir, Orazio Ruscica

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