La vision e la mission del Piano Strategico Mare e Monti. Parla l’Assessore Giorgio Vindigni. Un progetto di sviluppo che vede insieme Ragusa, Giarratana, Monterosso, Chiaramonte e Scicli

“Un’isola nell’isola”, o anche “dell’altra Sicilia” o di modello “Sud-est”. Spesso è stato indicato il modello di sviluppo “ragusano” come un caso di successo da esportare, da seguire e, del resto, i “primati” caratterizzanti l’area sono tanti ed emersi con una certa evidenza nel corso dell’analisi di contesto realizzata negli scorsi mesi e degli approfondimenti effettuati durante lo svolgimento delle attività di concertazione e partecipazione previste dal Piano Strategico “Terre Iblee Mare e Monti”, che coinvolge i comuni di Ragusa, Giarratana, Monterosso Almo, Chiaramonte Gulfi e Scicli. A illustrare la vision e la mission del Piano è l’assessore allo sviluppo economico del Comune di Scicli, Giorgio Vindigni. Nel 2007, il tasso di evoluzione della base imprenditoriale nella Provincia di Ragusa (dato dal rapporto tra tasso di natalità e tasso di mortalità delle imprese) risulta pari all’ 1,8 (decima prestazione a livello nazionale). Tale valore è determinato non tanto da una natalità modesta (7,6), bensì di un tasso di mortalità che si è rilevato sestultimo in ambito nazionale (5,8). Alla fine del 2007, secondo i dati forniti da Unioncamere, il tasso di disoccupazione nella provincia di Ragusa (8,3%), si colloca su livelli decisamente inferiori rispetto alla media regionale (13%), risultando di poco superiore al dato di riferimento nazionale (6,1%). Anche con riferimento all’occupazione, nel 2007 la provincia di Ragusa si discosta dal resto della regione, detenendo un tasso di occupazione di ben 10 punti superiore al dato regionale. Il sistema produttivo locale evidenzia altre interessanti peculiarità: rispetto alle altre province si verifica infatti la inconsueta contemporanea presenza di un basso indice di dotazione di infrastrutture economiche ed una buona performance in termini di prodotto interno lordo ed occupazione. Tuttavia, è ben oltre la ricaduta locale della crisi finanziaria ed economica del 2008-2009, già alcune indagini sistematiche svolte negli anni precedenti avevano messo in rilievo alcuni segnali critici per la tenuta dell’economia iblea. In particolare, sulla scorta delle rilevazioni interprovinciali svolte periodicamente dall’Istituto Tagliacarne era emersa l’opportunità di distinguere due fasi dai caratteri specifici nella recente dinamica economica della provincia di Ragusa che proviamo a compendiare nelle due seguenti espressioni: il decennio delle aspettative, anni ’90; e gli anni del “sorpasso in negativo” (2000-2006). I dati al riguardo elaborati dal Tagliacarne-Unioncamere mostrano come per l’anno 2006 il Pil procapite delle province siciliane (in milioni di euro), rispetto al decennio precedente, mostra uno “scivolamento” nella graduatoria delle provincie italiane di Ragusa di una decina di posti (dal 74° all’86°). Ciò è anche l’effetto del sorpasso (in negativo per Ragusa) da parte di alcune province siciliane (Siracusa, Trapani, Messina). Un dato “critico”, questo, ma anche interessante, per lo più sottovalutato nelle ricostruzioni giornalistiche e di “maniera” che enfatizzano, a questo punto acriticamente, la specialità del caso Ragusa, del modello sud-est, dell’isola nell’isola. Se i dati relativi al decennio scorso sembrano confermare quanto avrebbe sostenuto nel settembre del 1999 il rapporto annuale del “Sole-24 ore” (6 settembre 1999) che definiva la provincia di Ragusa una sorta di “isola felice” rispetto al perdurante ristagno economico del resto della Sicilia e di gran parte del Mezzogiorno, qualche nube si addensa all’orizzonte se lo sguardo si sposta agli anni più vicini (periodo 2000-2006). Mentre la crisi del 2008 ha lasciato poco dubbi sull’esistenza e l’incidenza di questi elementi negativi, come emerge anche da comunicazioni preoccupate di fonti primarie. Analisi più recenti e più approfondite, anche nell’ottica del lungo periodo, sembrano problematizzare oltremodo questa visione standard della nostra realtà economica e sociale: “i caratteri originali di questo modello di sviluppo dell’area iblea, da molti osservatori definito il “sudest” dell’Italia (per analogia con la contemporanea crescita del nord-est) sarebbero costituiti da un settore agricolo avanzato e finalizzato all’esportazione, da un tessuto di piccole e medie imprese competitive ed in grado di integrarsi in un sistema agro-industriale, da un contesto di relazioni socio-culturali positive che trovano le loro radici in un rapporto storicamente equilibrato tra città e campagna” (G. Barone, Città e campagne dell’area Iblea (XV-XX secolo). Se Gli anni ’90 ci presentano la provincia di Ragusa a pieno titolo collocata nelle aree dinamiche ad alto reddito, sia con riferimento al contesto regionale che meridionale, gli anni più recenti, 2000-2006, segnalano invece dinamiche di diverso segno o, comunque, più ambigue. Anche se probabilmente è presto per parlare di tendenze in via di strutturalizzazione, piuttosto che di andamenti certamente critici ma congiunturali. Inoltre, sotto il profilo qualitativo (e non meramente statistico-economico) vanno richiamati fenomeni e processi, del resto in gran parte noti. A partire dal nanismo delle imprese e da un motore dello sviluppo per lo più basato sul primario e sul terziario, che finiscono per costituire nodi critici. Anche il quadro della disoccupazione giovanile (e femminile), pur non drammatico, non è certo rassicurante. La domanda di lavoro espressa dall’economia ragusana si mostra largamente incapace di tesaurizzare un’offerta di lavoro giovane, soprattutto femminile, che negli anni recenti ha in buona parte recuperato il divario di qualificazione che la separava dalla media nazionale. Per non parlare, delle difficoltà delle imprese di innovare e di investire in alta tecnologia e in capitale umano qualificato e delle difficoltà di import-export delle nostre aziende agricole, che dipendono dalle condizioni endogene caratteristiche delle imprese iblee, ma anche dalle condizioni esogene, come non pensare alla carenza di dotazione infrastrutturale della Provincia. Questo ultimo punto va richiamato, nonostante i passi avanti la dotazione infrastrutturale dell’area è ancora tra le più deboli delle province italiane, anche se non la nostra aerea non si colloca più al penultimo posto tra le 103 province italiane per dotazione di infrastrutture e vie di comunicazione com’era ancora alla fine degli anni ’90. Del resto, proprio oggi, nel clima generale di crisi economica nazionale e internazionale e in presenza di carenze infrastrutturali evidenti, appare opportuno indirizzare gli sforzi e le politiche economiche e pubbliche verso una maggiore “apertura”. Il 2008 ha già dato più di un segnale negativo e sembra quindi il momento opportuno per programmare la promozione delle eccellenze al fine di rafforzare l’identità dell’area e di realizzare di investimenti in settori innovativi. Il nuovo modello di sviluppo che si propone deve essere: maggiormente orientato all’esterno, pur rafforzando il legame del mondo sociale ed economico con il territorio, valorizzando l’esistente e puntando sul processo di adeguamento delle infrastrutture materiali e immateriali; – improntato alla sostenibilità declinata nei suoi diversi aspetti: ambientale, sociale, economica.

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