L’OSSERVAZIONE DAL BASSO di Direttore. ALLA RICERCA DEL SINDACATO PERDUTO

“Le leggi, purtroppo, sono come le ragnatele: le mosche grosse le sfondano, mentre le piccole vi restano impigliate”. Pensando a queste parole di Solone, legislatore, giurista e poeta greco antico di Atene, mi sono accostato alla notizia che è stata pubblicata a pag. 9 del giornale di Sicilia del 7 febbraio 2010, a firma di Gianni Nicita. Notizia veramente “scioccante”.
E lo “schoc” è dettato dal fatto che quanto viene riportato nell’articolo coinvolge un sindacato come la CGIL iblea, una grande e storica forza sociale di tutto rispetto e di invidiabile capacità propulsiva nel quadro di battaglie per la legalità, la giustizia, l’affermazione dei diritti del lavoratori.
Se veramente quanto denunciato, a distanza di anni, da una dipendente del sindacato, Romina Licciardi, nel corso di una conferenza stampa, dovesse trovare conferma processuale, ci sarebbe da riflettere molto.
Accuse come “tentata violenza e mobbing” nei riguardi di esponenti sindacali della CGIL, lasciano con il fiato sospeso, se si pensa che proprio il ruolo del sindacato è quello di difendere i lavoratori dal mobbing e dai soprusi che certi datori di lavoro pongono in essere nei confronti dei loro dipendenti quando debbano cercare di sbarazzarsene.
Quel che, a lettura avvenuta di questa notizia, sorge come riflessione non è tanto se il fatto denunciato è vero o falso, questo dovrà stabilirlo la Procura della Repubblica, quanto apprendere come proprio all’interno del mondo sindacale accada quello che ogni sindacato, non solo la CGIL, denuncia come grave e lesivo della dignità dei lavoratori.
Mi riferisco, ad esempio,ad alcuni passaggi di quanto affermato dalla Licciardi e riportato nell’art. di Nicita, e precisamente: “La mia vita lavorativa nella CGIL inizia nell’ottobre del 1998 e fino al primo marzo del 2000 si esplica in nero. Poi, sono stata assunta a tempo indeterminato con contratto part-time, ma nella realtà full-time con livello di inquadramento E”.
Ma se un sindacato, magari per far quadrare i conti, fa lavorare in nero una persona, o sulla carta gli fa un contratto part-time mentre nella realtà e full-time, non dovrebbe essere più comprensivo e clemente quando questo accade nelle piccole e medie imprese, dove spesso i datori di lavori, che vengono dipinti solo come sfruttatori e approfittatori degli operai, ricorrono anch’esse ad alchimie contrattuali per far quadrare i loro conti?
“Medico cura te stesso”, sarebbero le parole, di radice evangelica, più appropriate per definire tali accadimenti.
Ad ogni buon conto, le accuse di tentata violenza e mobbing dovranno trovare conferma, ma se una persona lavora in nero o con un contratto non rispondente al vero, questo non è una impressione, ma un fatto sicuramente deducibile da dati concreti e realmente definibili.
Dunque, a mio giudizio, non è il fatto di cronaca che lascia stupiti, quanto la constatazione amara circa il ruolo del sindacato in genere nella società contemporanea.
Pensando alle giuste, condivisibili e grandi battaglie sulla legalità e la giustizia che la CGIL iblea , prima ancora che altre sigle sindacali, si è intestata coinvolgendo cittadini, giovani, istituzioni, forze politiche e sociali, spiace dover leggere notizie come quella che stiamo commentando.
Poiché in tutte le articolazioni della nostra società quali politica, istituzioni, sindacato, associazioni, gruppi, movimenti ecc… è inimmaginabile che si possa avere la presunzione di puntare il dito per dire “il bene è di qua e il male di là”, forse la cosa più opportuna sarebbe quella di evitare, visto che chiunque prima o dopo potrà capitarvi, di dare giudizi e sentenze definitive di natura morale, perché l’uomo, ogni uomo, che sia di questa o di quell’altra opinione politica o sindacale, che sia credente o meno, che sia un cittadino qualunque o un uomo pubblico, porta dentro di sé una fragilità umana che appartiene a tutti e che si trascina con sé ovunque egli opera come cittadino.
E chiudo le mie osservazioni con una frase del poeta latino Orazio: “Esiste una misura in tutte le cose: e ci sono dei precisi confini al di qua o al di là dei quali non può esistere il giusto”.

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