Per rispondere a questa domanda non occorrono molte parole, ma basta soltanto citare le cifre di quella che fu definita, in Iraq, anch’essa una missione di pace : i morti degli alleati in guerra sono stati 4.188 e i feriti oltre 28.000, almeno fino al 1º dicembre 2007, mentre per le perdite irachene si va dai circa 30.000 morti cui ha accennato il presidente Bush in un discorso del dicembre 2005, ai circa 650.000 stimati in uno studio apparso nell’ottobre 2006 sulla rivista medica Lancet. E questi sono quelli che si dicono! Chissà quanti sono quelli neanche menzionati.
Dunque, in Italia, dal caso Ruby, che è un caso di morale sessuale, si è passati alla guerra in Libia, che è un caso di morale sociale. Ci voleva Gheddafi per farci disintossicare un po’ da tutto il fango che si è alzato attorno al Premier. I media nazionali si stanno infatti un po’ riposando, e dal giuoco sessuale sono passati al giuoco delle armi. Solo che le armi producono vittime. Sì, perché è da alcuni giorni che la guerra in diretta TV con bombe e missili che volano nei cieli della Libia si presenta agli occhi degli italiani, i quali così come si sono assuefatti agli scandali sessuali del Presidente del consiglio cominciano ad assuefarsi alle bombe, alle morti di donne e bambini,agli sbarchi di profughi che pare stiano sfiorando i 50 mila. Certo, dicono, bisogna fermare il dittatore, e se per fermare il dittatore Gheddafi ed impiantare la democrazia devono morire migliaia di persone innocenti, pazienza! Ci eravamo illusi che il Presidente degli Stati Uniti Obama avesse operato una discontinuità con il passato e con la famiglia Bush, e invece, quasi ad onorare il Premio Nobel per la pace che gli è stato consegnato, anche lui abbraccia la via militare per esportare democrazia, proprio come il suo predecessore in Iraq. E i suoi alleati, paesi civili come la nostra Italia, la Francia, la Gran Bretagna e quelli che all’ONU hanno votato la risoluzione per l’intervento armato in Libia, parlano di “missione di pace”, e tutti i politici, i rappresentanti delle Istituzioni, i giornalisti la usano quotidianamente e come un “ritornello” che deve risuonare nelle nostre orecchie, per convincerci che la risoluzione internazionale è da intendersi come una missione di pace. Per favore, politici, Governo, opposizione, colleghi giornalisti non continuate a giocare con le parole, non offendete l’intelligenza oltre che la filologia.
Il termine “missione” ha una radice teologica e biblica e non ha nulla a che vedere con l’uso delle armi; la missione, nell’ordine della teologia, è la risposta ad una vocazione e la storia ci dice che nel passato se ne è fatto un uso anche distorto perfino da parte dei missionari cristiani che sono stati parte integrante del colonialismo, ad esempio durante la colonizzazione europea delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia; a volte il risultato è stata la distruzione di intere arcaiche culture, religioni e tradizioni dei popoli conquistati. Io rispetto le idee di coloro che vedono nella guerra un mezzo estremo ma necessario, ma non posso assolutamente accettarle; di fronte alla guerra che semina morti per me non ci possono essere“se” e “ma”. Bastano i costi umani della guerra in Iraq a farci indignare. In questi giorni, mentre vedo in televisione i caccia bombardare la Libia e carri armati sparare a destra e a manca, penso che un carro armato costa come 4.000 mila tonnellate di riso, una quantità di cibo che nel Terzo Mondo permetterebbe la sopravvivenza di 24.000 persone per un anno. Penso che con il prezzo di un caccia a reazione si potrebbero aprire 40.000 mila farmacie di villaggio; che una delle odierne bombe di media potenza(un megatone) è 80 volte più potente della bomba di Hiroschima. In 25 anni l’ONU, l’OMS, la FAO e l’Unesco hanno ricevuto da tutto il mondo l’1,3% della spesa annuale per gli armamenti. Le spese militari di una sola mezza giornata sarebbero sufficienti a finanziare l’intero programma di eliminazione della malaria patrocinato dall’Organizzazione mondiale per la sanità. E se andiamo un po’ più lontano: nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili e 95% militari. Nella seconda guerra mondiale morirono civili per il 48% e militari per il 52%. Nella guerra in Corea 84% civili e 16% militari. Ecco, cari lettori, i risultati di quelle che una volta si chiamavano “guerre”, oggi si chiamano “missioni di pace” oppure “operazioni militari internazionali”. Date pure il nome che volete, il risultato non cambia. Ma si può importare la democrazia lì dove c’è dittatura, se dobbiamo credere che questo è il vero motivo e non il controllo del petrolio, con strade alternative alla guerra? Fino quando il numero dei morti è così alto, la guerra è veramente un orrore indegno di un mondo che si definisce civile.
L’OSSERVAZIONE DAL BASSO………di DIRETTORE. CRISI LIBICA:DALLA GUERRA ALLA MISSIONE DI PACE?
- Marzo 23, 2011
- 3:24 am
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