All’indomani dei festeggiamenti in onore di San Giorgio ci chiediamo: cosa c’è della festa di San Giorgio che stupisce e affascina? Il suo carattere leggendario prima di ogni cosa. Ma la leggenda, di cui si è già avuto modo di parlare, non è che la minima parte del culto del Santo definito Patrono di Modica. Ricordiamo infatti che anche il suo martirio ha del leggendario: martirizzato sotto Diocleziano, per aver distribuito i suoi averi ai poveri, per essersi proclamato cristiano davanti alla corte e per non aver sacrificato agli idoli, fu imprigionato. In prigione gli apparve Dio che gli predisse sette anni di tormenti, tre volte la morte, e altrettante volte la resurrezione. Tagliato in due da una ruota irta di chiodi e spade, risuscitò e convertì i pagani. Il suo culto fu introdotto in Sicilia, pare, dai normanni. Da subito incontrò il favore degli isolani per il suo carattere combattivo e per la sua giovane età. Ricordiamo che in occasione della festa i giudici potevano graziare i condannati a morte.
Questo breve sunto del carattere e delle vicende del santo crea le giuste premesse per una migliore comprensione del fervore che infiamma coloro che prendono parte alla processione. Una processione che ogni anno con grandi fasti e spettacolarità si aggira per la città . Uno dei momenti tra i più significativi dell’intera processione, è quello che coincide con l’entrata in chiesa del simulacro. Preceduto da un mezzo busto del santo, un reliquiario in argento, fa il suo ingresso il simulacro di San Giorgio. Quello è il momento più coinvolgente per l’assemblea che all’improvviso interrompe e tace. Poi come in un solo batter di mani scroscia un applauso e l’organo che suona a festa sottolinea l’entrata del cavaliere che brandisce “a spatulidda riali” si tratta di una spada corta. Ai piedi del cavallo un drago morente poggia su una enorme macchia rossa, i portatori. Affaticati ma determinati non interrompono il loro incedere incitato dalle urla dei devoti che chiamano “Giòggiu” il santo dimenticando la riverenza dovuta ad una personalità del suo rango e recuperando invece la goliardia tipica dei compagni di battaglia. Sì perché di questo si tratta, di ritrovarsi tutti uniti nella figura di un giovane che ha sconfitto il male a nome del Dio vivente e che rappresenta tutti coloro che vorrebbero ma non hanno il coraggio di combattere. La processione prende ad inscenare una teoria di giri per la chiesa ad ogni passaggio della statua è un incalzare di ovazioni e di incitamenti: “A chhi nun puttuamu a nuddu?” risponde l’assemblea “Giòggiu, Giòggiu”. È un dialogo tra i portatori e i fedeli i quali dimentichi di stare in chiesa urlano come allo stadio. Ma non è irriverenza: è entusiasmo e partecipazione. Poi nella stanchezza generale, nel caos di un organo che ripete le sue note di ballata, applausi e urla. i portatori sfilano dalla base della statua due immense travi e stanchi si accasciano abbracciandosi e lasciandosi andare in commenti che tutti immaginano . Anche quest’anno San Giorgio chiude le immense porte della chiesa lasciando in tutti il gusto della condivisione che in questo caso crea appartenenza ad una città che in altre occasioni pericolosamente va dimenticando le sue tradizioni più antiche.
foto giovanni antoci