L’omelia del vescovo di Noto Mons. Antonio Staglianò, tenuta nel Santuario della Madonna delle Grazie e nella quale ha fatto precisi riferimenti alla situazione giudiziaria dell’on. Riccardo Minardo, ha creato a Modica un vespaio. Quasi 4500 persone hanno letto la notizia sul nostro quotidiano on line e oltre 65 commenti di cittadini hanno evidenziato una netta e palese non condivisione dell’intervento del prelato netino. Non volevo esprimere alcuna osservazione, ma in un commento qualcuno ha scritto che l’aspetta: non so perché; per curiosità, perché riconosce che quel scrivo possa avere un peso, perché mi ritiene un credente … per prendersi gioco di me … non lo so davvero. E tuttavia, visto che questo commentatore l’aspetta, mi cimento nel farla, partendo da una premessa, proseguendo con tre osservazioni, e dicendo subito che non potrò essere breve, non per girare intorno all’argomento, ma per porre in essere un pensiero globale. Deluderò i lettori “sbrigativi”, che sono quelli che vogliono subito la risposta: assolto o condannato, giusto o sbagliato, favorevole o contrario. Quando si riflette,infatti, ogni parola va pesata, ponderata e argomentata. So che molti vogliono note brevi: mi dispiace, ma non posso. Preferisco avere un lettore in meno che scrivere senza cognizione di causa. Premessa. Che cosa è, oggettivamente, una omelia? Il messaggio omiletico va pensato in riferimento a chi ascolta e deve svilupparsi in modo da offrire agli uditori elementi per riflettere, meditare e, infine, da attuare nella ferialità della quotidianità. Pertanto gli elementi formali che si esprimono nell’omelia non sono idee astratte, ma simboli e sentimenti significanti di un significato, che debbono raggiungere l’intelletto, gli affetti e la volontà. Dal cosiddetto “pulpito” ogni ministro di Dio, prete o vescovo che sia, è chiamato ad annunciare non una parola “sua”, ma la Parola di Dio, la quale , come afferma San Paolo, è una “spada a doppio taglio”, è una Parola che consola e sferza, esorta e ammonisce, invita alla preghiera e apre alla speranza, perdona e usa misericordia, disperde i superbi di cuore e innalza gli umili, giudica non per condannare ma per invitare alla conversione. Allo stesso ladrone che il mondo e la giustizia romani avevano già condannato per i suoi mali, Gesù dice: “In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso”. Quest’ultima parola di Gesù sulla croce non è, almeno per il credente, una opinione, una sorta di notizia da commentare: è un fatto, un accadimento che dà un messaggio chiaro:la misericordia di Dio non ha confini, va oltre i limiti del ragionamento umano, che fa fatica ad accettare questo fatto. Su questo non possono esserci aggiustamenti né accomodamenti di convenienza.
E vengo alla prima osservazione. Stando a quanto detto nella premessa, ogni omelia è incarnazione della parola nella vita dell’uomo, e se così non fosse la fede, in tal caso, sarebbe “oppio”, “alienazione” come diceva Marx, fuga dal mondo, “consumo di una religione utile ad addolcire l’anima”.
Ogni omelia, dunque, ha sempre una dinamica di impatto con la “polis”( si badi bene che politica viene dal greco “polis”); certo, il vangelo non è un libro di politica, in esso però Gesù di Nazaret insegna “che cos è l’uomo” e quali sono i valori più grandi della vita: giustizia, libertà, uguaglianza, amore, perdono, pace, solidarietà, verità, rispetto della vita dal suo sorgere al morire, tutti valori, umani e cristiani, che, più o meno direttamente, interessano la politica e il governo di un Paese, di una regione, di una provincia, di una città. Cosa ben diversa è, invece, usare l’omelia per scopi non ordinati all’annuncio di questi valori evangelici, come ad esempio “dare indicazioni di voto”, “condannare”, “giustificare o assolvere qualcuno”, potente o meno che sia, “assumere posizioni politico-partitiche. Nel passato ciò è stato fatto, ma non c’è dubbio che con il Concilio Vaticano II si è avuto un forte mutamento di coscienza e si è capito che tutto questo non rientra nella missione della Chiesa.
Seconda osservazione. Nell’omelia del vescovo Staglianò, stando a quanto mormorato dai fedeli che hanno partecipato alla celebrazione eucaristica, è stata avvertita una applicazione della Parola di Dio sulla misericordia sicuramente inopportuna per la notorietà della famiglia cui si è riferita. Nessuno può entrare nelle mente o giudicare le intenzioni del vescovo Staglianò come di ogni persona, ma probabilmente la sua omelia era o voleva essere un riflessione sulla misericordia di Dio, visto che fra l’altro, è autore di una Lettera pastorale proprio sulla misericordia, ma nell’applicazione della parola misericordiosa di Dio credo sia scivolato, consapevolmente o meno lo può sapere solo lui e Dio, su un terreno che, per il terremoto che ha assunto nella città di Modica, poteva o meglio, secondo la mia opinione, doveva evitare di percorrere.
I riferimenti nominali alla vicenda giudiziaria dell’on. Riccardo Minardo, incastonati all’interno del quadro teologico della misericordia di Dio, sono stati infatti interpretati dai presenti alla celebrazione come assoluzione da parte della Chiesa. E se è venuto fuori tutto questo vespaio, è segno che coloro che hanno ascoltato l’omelia hanno capito questo e comunicato questo all’esterno.
Proprio per la delicatezza della vicenda, il riferimento alla famiglia e alla persona dell’on. Riccardo Minardo, che in sede giudiziale ci auguriamo possa dimostrare la propria estraneità, ha suscitato malumore ed è stato inteso come una sorta di attenzione particolare al deputato regionale e non anche alle altre famiglie coinvolte nell’indagine.
E vengo all’ultima osservazione. I commenti alla notizia, come sempre, sono stati alcuni pacati e riflessivi, altri istintuali, altri hanno esorbitato dall’argomento, altri cattivi e al limite del rispetto. Pochissimi si sono firmati. Perché? Posso capire che quando si critica un amministratore, un politico, un datore di lavoro, una persona influente si ricorra all’anonimato per “paura di una ritorsione”, ma di fronte ad un Vescovo, quali paura si dovrebbe avere di dire apertamente il proprio pensiero, visto che egli vuole farsi annunciatore della misericordia di Dio? Se un uno non è d’accordo con il fatto che si utilizzi il pulpito in modo diverso dal fine per cui esso ha ragione di esserci, che paura c’è a dirlo apertamente? Se il non condividere o condividere è fatto con dignità, serietà di ragionamento, argomentazioni riflessive, perché nascondersi dietro uno pseudonimo? Tutti quelli che hanno commentato, se incontrassero il Vescovo di persona avrebbero il coraggio di dirgli quello che hanno scritto? Se io pensassi e scrivessi, e sarei libero di farlo, che tutti coloro che hanno “rimproverato” al vescovo la sua omelia o che hanno stigmatizzato suoi atteggiamenti non graditi, sono persone “vili”, “codardi”, che tirano il sasso e poi ritirano la mano, non mi farei io, forse, giudice di loro? E, pur avendone motivo, chi sono io per poter giudicare il perché queste persone accusano e attaccano in modo anonimo? Forse con l’anonimato non occorre molto riflettere, basta dar seguito ai propri sentimenti, agli istinti, ai propri sfoghi, alle proprie rabbie che possono essere anche legittime e giustificabili, ma che non possono essere svincolate mai dalla riflessività della ragione.
A un uomo di chiesa, purtroppo, può accadere anche questo, come ad ognuno di noi. Sarebbe meglio che non accadesse, ma se succede, occorre sempre trovare la strada giusta per esprimere il proprio dissenso. Quando si parla della chiesa, nel bene o nel male, esistono due prospettive(do per scontato cosa si intende per prospettiva): una teologica, che è quella di Gesù Cristo, il quale, per chi crede, non è un saggio, un maestro di morale, un personaggio della storia, ma il figlio di Dio. Gesù, nei vangeli, è il fondatore della chiesa come comunità di persone, l’ha costruita su uomini fragili e peccatori non impeccabili, perché egli è il Dio dell’amore e della misericordia. Misericordia è un termine che si compone di due parti: miseria e Kardia(cuore). Ebbene la miseria, nella chiesa, è dei fedeli, della gerarchia,, suore e laici, il cuore che ama e perdona è quello di Gesù, il quale, proprio perché è Dio e non solo uomo, questa miseria da un lato la condanna e la denuncia non difendendola, dall’altra la assume per redimerla e per cambiarla con l’amore e il perdono. Gesù non difende i peccatori, le prostitute, i malfattori, i ladroni,(non avrebbe potuto perché il male è oggettivo e non si può difendere, e, anzi, chi lo fa deve pagarne le conseguenze), ma assume un atteggiamento divino in base al quale la persona che ha fatto il male, che ha predicato bene e razzolato male, che ha detto una cosa e ne ha fatto un’altra, se si converte, cioè si pente e cambia vita, agli occhi di Dio è come se non avesse commesso nulla. Insomma, ha il suo perdono. La seconda prospettiva che si può avere quando si parla di chiesa è quella storico- sociologica, in base alla quale la chiesa è vista come una mera istituzione umana, una agenzia socio-religiosa dove si organizzano “cose religiose”, si amministrano sacramenti, si curano interessi e affari per sopravvivere, dove i fedeli consumano il sacro e dove preti e laici, che gestiscono il sacro, debbono saperlo gestire con impeccabilità. Mentre nella prospettiva teologica Dio condanna il male ma si dimostra Padre che che manifesta misericordia verso chi ha sbagliato, nella prospettiva umana chi sbaglia è spesso condannato, non solo, e giustamente, dal punto di vista giuridico, ma anche da punto di vista etico: in pratica non si accetta né tantomeno si crede che egli in coscienza possa pentirsi di quello che ha fatto ed essere riabilitato. Ognuno, in base alle proprie convinzioni, può scegliere la prospettiva che vuole, ma non può confonderle. Chi sceglie la prospettiva di Gesù penserà come lui e , quindi, non si scandalizzerà se nella Chiesa accadono episodi come quelli raccontati come non si è scandalizzato Gesù che di fronte alla donna adultera che i farisei volevano lapidare ha detto “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Chi invece sceglie quella storico-sociologica si scandalizzerà, proverà disagio e fastidio , e ha ragione di provarlo, ma è lontano dal pensiero evangelico. Il primo che ha provato fastidio di fronte al tradimento di Pietro che lo ha rinnegato tre volte, è stato Gesù, ma questi, come dicono i vangeli, nonostante il tradimento di cui Gesù stesso fu vittima, pagò per primo, si voltò, lo guardò e lo amò. Ognuno inserisca l’omelia del vescovo Staglianò nella prospettiva che vuole!
L’OSSERVAZIONE DAL BASSO……… DI DIRETTORE. L’OMELIA DEL VESCOVO DI NOTO MONS. STAGLIANO’ E I MALUMORI DEI FEDELI
- Maggio 24, 2011
- 10:13 pm
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