Parlamento: due richieste di arresto. Una passa, l’altra no. L’on Papa, magistrato, (PDL) va in carcere, l’on. Tedesco(PD) rimane al suo posto e anzi aggiunge: “non ho alcuna intenzione di dimettermi”. Un caso veramente assurdo e imbarazzante. Per tutti: centrodestra e centrosinistra, e che la dice lunga sul modo con il quale le coscienze dei parlamentari si approcciano alla giustizia. Si specula anche dopo il voto, alcuni vanno alla lite, volano gli insulti. Certo è che il Parlamento italiano e l’Italia che esso rappresenta ha scritto una brutta pagina di storia. Domanda: i parlamentari hanno letto le tre quattromila pagine dei fascicoli della magistratura prima di votare? O si sono fidati di quello che gli hanno raccontato i colleghi di partito della Giunta per le autorizzazioni a procedere? O hanno votato dopo aver letto i titoli dei giornali con i capi di accusa? O eseguendo ordini di scuderia? Noi non possiamo saperlo, né lo vogliamo sapere. Certo è, al di là di ragioni e sentimenti, che il popolo italiano va sempre credendo meno non alla giustizia, ma al “modo” con il quale viene fatta nel nostro Paese.
Certo e altresì che “fare il giudice – come diceva Sciascia – è un mestiere terribilmente difficile”. Esistono infatti alcuni nodi problematici fondamentali.
Primo: chi è il giudice? Una figura ieratica, sacrale che, alla stessa strega di un prete che dispensa le leggi divine, dispensa invece le leggi umane dello Stato? O è un uomo con le sue ansie, le sue passioni, le sue idee politiche, i suoi sentimenti , i suoi turbamenti, le sue notti insonni perché sente il peso schiacciante della responsabilità di decidere in una o in un’altra direzione? Secondo: un problema di prassi etica: che tipo di giustizia incarna il giudice? Una giustizia sempre giusta o a volte anche una giustizia ingiusta?
Ognuno tiri pure la coperta dalla parte che vuole, ma una cosa è oggi urgente: c’è bisogno di una giustizia giusta, giusta perché faccia rispettare la legge in modo eguale per tutti, giusta perché possa fare andare in galera dopo che sia stata provata la colpevolezza. Ecco alcuni casi del modo come procede e funziona la giustizia in Italia: l’on Mannino, prima Repubblica, 22 mesi di carcere senza essere colpevole: poi assolto.
On. Cuffaro: indagato per mafia con grossi capi di imputazione: nessun giorno di carcere preventivo, poi condannato e ora, giustamente, in carcere. E ancora: il caso di Sandro Vecchiarelli di Dervio, piccolo paese del Lecchese, che dopo 584 giorni di carcere viene assolto; il caso di un maresciallo dei carabinieri, Gian Maria Doneddu che viene arrestato il 10 giugno 1997 a causa di una trascrizione sbagliata che inseriva erroneamente il suo nome nel verbale di un interrogatorio di un pentito e che dopo un lungo iter nel 2009 è stato scagionato e assolto.
Ciancimino junior, figlio del boss Vito, prima viene rinchiuso in carcere perché trovato con tritolo e detonatori per fini criminosi, poi lascia il carcere: sono sufficienti i domiciliari, dice il giudice. Un quadro non certo esaltante!
Per chiudere la mia osservazione, mi piace, infine, ricordare alcune figure di giudici. Quella del giudice protagonista del romanzo “Gli Dei hanno sete” di Anatole France, scrittore francese Premio Nobel per la letteratura nel 1921.
All’inizio della sua opera il giudice è comprensivo e indulgente, ma via via che si convince di avere una suprema missione di giustizia salvifica, moltiplica le condanne capitali persuaso che nel suo giudicare vengano a coincidere etica, giustizia, interesse dello Stato, amore per l’umanità.
E ancora, come non riprendere la commedia spagnola “Fuente Ovejuna”, del 1612, del poeta e scrittore Lope de Vega. Fuente Ovejuna era una città sotto il tallone di un tiranno che, tra le altre angherie, pretendeva di esercitare lo jus primae noctis. E chi non obbediva , veniva ucciso. Alcuni abitanti del paese un giorno però si ribellano e ammazzano il tiranno. Una volta al cospetto del giudice, i trecento abitanti si dichiarano tutti ugualmente colpevoli. Il giudice non aveva che due possibilità davanti a sé: o decretare la morte dell’intero paese o mandare tutti liberi. Scelse questa seconda soluzione, rifiutandosi di condannare degli innocenti assieme ai veri colpevoli.
E non si possono non ricordare, infine, quei due giudici descritti dal Manzoni, ossia Monti e Visconti, “uomini di cui tutta Milano venerava l’integrità, l’illibatezza, l’ingegno, l’amore per il bene comune , lo spirito di sacrificio e il grande coraggio civile”; ebbene, di questi onesti giudici il Manzoni, nella sua “Storia della colonna infame”, racconta che mandarono a morte, perché colpevoli di essere stati degli untori, degli innocenti, costretti, con atroci torture, ad accusarsi l’un l’altro, al punto tale che uno di loro, stroncato dalla tortura, disse agli aguzzini: “Ditemi cosa volete che io dica”. E i giudici glielo dissero, cosa volevano sentirsi dire. Leggendo La “Colonna infame” del Manzoni viene pertanto da domandarsi che giustizia fosse quella che imboccava al presunto reo la confessione.
Quei giudici, Monti e Visconti, erano due onestissimi giudici chiamati dal Senato milanese a cercare i colpevoli della diffusione di una peste che assolutamente si voleva e si credeva importata in città da nemici esterni. Furono giudici perciò, consapevolmente o inconsapevolmente, politici!
L’OSSERVAZIONE DAL BASSO……… di DIRETTORE. GIUSTIZIA E POLITICA IN PARLAMENTO: PAPA(PDL) ARRESTATO, TEDESCO(PD) SALVATO
- Luglio 22, 2011
- 8:40 am
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