(La danza sul Titanic 3). La speranza nella rivoluzione. Di Saverio Terranova

E’ il titolo di un libro di Vittorio Mathieu. Esamina le molteplici ragioni del disagio di una società e sostiene che quando un problema generale e percepito come tale non è affrontato e risolto dalla autorità, la gente non ha davanti a sé che una strada.
Purtroppo adesso i cittadini sanno come la classe politica considera la manovra, un peso che impone alla popolazione ma che non riguarda lei, al riparo dalle difficoltà dei comuni mortali. Questo è successo in Parlamento. E sanno anche da chi sono rappresentati. La sera dell’approvazione della manovra, il Senato discusse sulla proposta del ministro Tremonti di adeguare gli emolumenti del Parlamento alla media europea. I senatori si sono levati tutti come un solo uomo a respingere tale proposta. La ragione? La dignità del Parlamento!
Nei giorni successivi si sono registrate le reazioni dei cittadini, tutte indignate. Come hanno reagito i parlamentari e i loro leaders? Ci hanno spiegato che questa proposta, diminuire i loro emolumenti, è antipolitica, qualunquismo.
Come dicevamo nell’articolo precedente; con tali atteggiamenti non c’è speranza. Con questi parlamentari nominati e non espressi dagli elettori, non ci può essere speranza di sistemare l’Italia, aggiustare il bilancio, pareggiare il deficit e ridurre il debito. Per un motivo semplicissimo: la stragrande maggioranza non si rende conto del pericolo che corre l’Italia; i pochi che se ne rendono conto seguono la maggioranza che vive con orrore il pensiero di vedere cancellati i propri privilegi. D’altronde la maggioranza è in Parlamento o per premio, o per fedeltà, o per carriera. Queste ragioni non consentono l’eliminazione dei privilegi.

L’antipolitica
Chi scrive nel 2001 faceva parte del Consiglio Regionale dell’ANCI, Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Dopo le elezioni per l’Assemblea Regionale si tenne una riunione del Consiglio per definire le proposte da avanzare alla nuova Assemblea. Ad un certo momento giunge con ritardo un nuovo deputato regionale. Il presidente, Leoluca Orlando, nel fargli i complimenti, lo invita a dire qualcosa. Questi, sindaco di un piccolo comune, non ricordo se del messinese o del nisseno, si alzò e pronunciò queste parole: “Appena sono giunto a Palermo, sono andato a Palazzo dei Normanni, e mi sono recato all’amministrazione. Ho chiesto quanto avrei percepito ogni mese. Me lo dissero e io ho telefonato immediatamente a mia moglie dicendole: “Cara, per cinque anni avremo tanto al mese”. Un astante gli disse: “Quanto avrai al mese?”. E lui: “Questo non ve lo dico”. E sedette. Con quali sentimenti di Orlando e di tutti i componenti del Consiglio regionale è facile capire.
Ho voluto ricordare questo episodio perché è altamente significativo delle convinzioni di molti parlamentari quando entrano nel Palazzo. Perché per loro questa è la politica. Quelli che si scandalizzano per i privilegi? quella è antipolitica. A Rosy Bindi, illustre presidente di un grande partito, su cui gli italiani hanno fondato le speranze di una resurrezione dell’Italia, che nella trasmissione di La 7, il giorno 19 luglio, ha ripetutamente insistito su questa definizione, vogliamo dire che se la politica è la voglia irriducibile, con le vene gonfie al collo, di fare arrestare un deputato della maggioranza, mentre ridurre il deficit e diminuire il debito pubblico è antipolitica, allora capiamo perché si è fatta stracciare da Mario Sechi, direttore de “Il Tempo”: forse è giunto per la Bindi il tempo di andare in pensione e lasciare il partito nelle mani di quarantenni, come hanno fatto le democrazie più mature, Stati Uniti e Gran Bretagna.
La dignità del Parlamento non è negli emolumenti che percepisce. Il Parlamento rappresenta la nazione ed è la garanzia della democrazia, così come la magistratura è la garanzia dello stato di diritto. Questa è la sua grandezza. Ma esso deve rispettare questi sessantacinque milioni di cittadini che rappresenta, che lavorano e pagano le tasse, e ricordarsi che quello che percepisce è tolto loro dalle tasche.

E’ questa la dignità?
Nel 2010 l’assistenza sanitaria ai parlamentari è costata 10 milioni di euro. Si pagano terapie, cure termali, rimborso dei ticket; persino gli occhiali. E’ questa la dignità? Anche gli eurodeputati italiani sono i più pagati di Europa. Hanno capito lo sconcio e il Parlamento ha deciso per la media degli stipendi europei. Ma loro, i nostri deputati, hanno ottenuto che la decisione scatti nella prossima legislatura. Lo stesso vogliono fare deputati e senatori del Parlamento italiano. Ma i pesi decisi per i cittadini scattano subito: i ticket per la sanità sono già in atto. Così l’aumento della benzina.
A proposito di dignità dei parlamentari, la vera dignità che è responsabilità per il ruolo che si occupa, c’è una domanda in un bel libro, uscito nel mese di giugno, autore Antonio M. Rinaldi: “Il fallimento dell’euro?. Quello che non è stato detto”. L’autore ha una grossa esperienza di manager finanziario nella CONSOB e come Direttore generale della finanziaria dell’ENI. E’ un testo coraggioso ma documentatissimo. Sia ben chiaro: l’autore non sostiene che l’euro fosse una iniziativa sbagliata, anzi; ma che è stato realizzato in forma sbagliata, nei tempi e nelle clausole. E a proposito di queste si chiede: i nostri parlamentari, che hanno approvato i parametri di Maastricht in dieci minuti, le avevano lette prima di votare? Probabilmente no. Difatti Romano Prodi, che di queste cose ne capisce, tentò di creare un fronte con la Spagna per costringere Francia e Germania ad essere più attendisti nei confronti delle due nazioni. Ma Aznar rispose altezzosamente che la Spagna avrebbe accettato subito le clausole! Con una chiarezza impressionante e con l’acutezza che l’argomento impone, l’autore esamina tutti gli aspetti della condizione della finanza e della economia italiana dopo l’euro nel panorama finanziario europeo e mondiale. Con una eccezionale ricchezza di particolari.
Ebbene é stata messa un’altra tassa sulla benzina. Ma lo sanno i nostri parlamentari quante tasse insistono su questo prodotto che non è più un lusso ma una necessità di lavoro? Prendo ancora da Antonio Rinaldi: “Incredibilmente ancora oggi paghiamo sul prezzo al litro assurde voci; eccone alcune tra i più significativi esempi: 1,90 per la guerra in Abissinia del 1935, 14 lire per la crisi di Suez del 1956, 10 lire per il disastro del Vaiont del 1963, 10 lire per l’alluvione di Firenze del 1966, 10 lire per il territorio del Belice del 1968, 99 per il terremoto del Friuli del 1976, 75 lire per il terremoto dell’Irpinia del 1989, 205 lire per la missione in Libano del 1983, 22 lire per la missione in Bosnia del 1996, 0,020 per il rinnovo degli autoferrotranviari del 2004, e dulcis in fundo 0,0072 per i beni culturali”( pag. 65). E’serio tutto questo? Ed é possibile che tutto o quasi venga caricato sulla benzina?
E’ probabile che queste cose i parlamentari non le sappiano. Lo ripetiamo con forza: se non si possono abbassare le tasse, non si possono neppure aumentare. Il limone è spremuto; i cittadini non hanno più dove prendere i soldi per le tasse attuali. Immaginarsi per aumenti. Che però ci sono stati! Questa è la tragedia. E allora la nazione chiede a gran voce l’abbattimento della montagna che pesa sull’economia. Perché c’è un altro problema a cui pare che i parlamentari preoccupati della loro dignità non hanno pensato: il rilancio della produzione. Cosa hanno fatto per questo? Hanno deliberato le quote rosa nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e quotate in Borsa. E’ chiaro che, secondo loro, nell’economia italiana ci sarà un formidabile rilancio di produzione dovuto alla presenza di donne chiamate a far parte dei consigli di amministrazione non per meriti ma per obbligo di legge! E’ proprio vero! Se non si riesce a fare cose serie ci si dà alle amenità!
Diciamolo chiaro. Quando si parla di riduzione della spesa pubblica non si intende parlare solo degli emolumenti dei parlamentari, che sarebbe poco agli effetti della riduzione del debito, e che però è un punto di partenza da cui non ci si può assolutamente sottrarre; ma di un gigantesco cumulo di spese destinate a tenere in piedi una struttura parassitaria che serve solo ai politici di carriera per avere i sostegni indispensabili alla loro ascesa: i valvassori e i valvassini dei feudatari nell’età feudale. E’ questa montagna che si deve demolire se si vogliono riportare i conti in ordine: pareggiare il deficit e abbassare il debito.
E la montagna dello sperpero è paurosa.

Lo sperpero
Lo sperpero di denaro pubblico è un capitolo che provoca non tristezza ma indignazione. Perché sono soldi pagati allo Stato da noi cittadini, che a volte ce li togliamo di tasca con difficoltà, e che ciò nondimeno versiamo allo Stato perché convinti che questo è il nostro dovere, convinti che lo Stato li impiegherà nei servizi necessari ai cittadini, in opere pubbliche, nel sostegno ai bisognosi.
E invece! Che cosa vediamo?
Abbiamo un Parlamento formato, tra Senato e Camera, da 945 persone che costa ai contribuenti 2.336. 321.075,00, cioè due miliardi, trecentotrentasei milioni, duecentoventunomila, settantacinque euro. Il Parlamento è importante, è la garanzia della democrazia se tornerà ad essere eletto dal popolo e non dai leader dei partiti; ma un costo simile non è assolutamente giustificato. Per i pranzi dei senatori spendiamo tre milioni di euro l’anno; per i pranzi dei deputati sei milioni 130 mila euro; paghiamo anche tre milioni trentasette mila euro per i viaggi dei parlamentari scaduti dal mandato, cui spettano oltre i viaggi a carico dei contribuenti anche agende e benfit di altra natura. Nel 2010 abbiamo pagato 3 milioni e centomila euro per rimborsi per spese dentarie. Paghiamo poi 219 milioni 450 mila euro per le pensioni di coloro che sono cessati dal mandato: 1813 ex parlamentari percepiscono una pensione media di 6000 euro. C’è addirittura un signore che percepisce 3000 euro per un solo giorno di presenza in Parlamento!
I contributi ai partiti sono un’altra voce che provoca sdegno: si danno 2 euro per elettore, quando in Germania si da 0,80 € ; non solo, ma il lauto contributo si da anche a partiti che non esistono più (la Margherita). Le scorte sono attribuite anche a personalità cessate dal loro mandato, ad esempio Bertinotti.
Si aggiunga che abbiamo in Italia 72 euro parlamentari, 21 presidenti di regione, 119 presidenti di provincia, 8000 sindaci, 860 assessori provinciali, 32 350 assessori comunali, 1000 consiglieri regionali, 3200 consiglieri provinciali, 120 mila consiglieri comunali e 25 mila consiglieri circoscrizionali.
Nessuno intende cancellare tutte queste espressioni dell’autogoverno comunale e regionale. Ma a che servono le province? A che servono i consiglieri circoscrizionali? A che servono le comunità montane? A che servono i parchi moltiplicati a dismisura per creare consigli di amministrazione, dipendenti e revisori? A proposito delle province che tristezza vedere un uomo della statura di Valerio Onida che le difende ( Corriere della Sera, 23 luglio 2011)! A me ricorda le grandi società produttrici di tabacchi, che negli anni ’50 ingaggiavano scienziati per sostenere che il tabacco non è dannoso alla salute. Che anzi, perché non accorpare i piccoli comuni inferiori a 15.000 abitanti? Resterebbero tutte le strutture amministrative, ma si eviterebbero quelle politiche. Ma ci vogliamo ricordare che il debito pubblico è giunto al 120% del PIL? O riteniamo di potere continuare così, attingendo bond dal mercato finanziario, con la minaccia sul capo della nazione della spada di Damocle dei grandi speculatori che in qualunque momento potrebbero portarci al défault? Per favore, siamo responsabili!
E perché dobbiamo pagare i portaborse ai deputati, i locali per i loro uffici? Spaventosa poi la spesa per le consulenze. Che senso ha dare al sindaco o al presidente di una regione la possibilità di nominare consulenti fuori dell’organico dell’ente? E’ ovvio che essi nomineranno il loro staff elettorale per remunerarlo dell’appoggio prestato. Forse anche in questo il primato spetta alla Sicilia. Primati negativi, perché nel PIL siamo gli ultimi d’Italia; a parte lo stipendio del Presidente che è il più alto fra le regioni italiane. La Sicilia del 12 luglio illustra con abbondanti particolari consulenze indefinibili: “Nel primo semestre del 2011 la voce consulenze della Regione siciliana supera il milione e duecentomila euro, frutto di 103 incarichi richiesti dai vari assessorati”.
Ma oggi le fanno anche i comuni. Prima della riforma Bassanini non era possibile nominare consulenti se non a tempo e per un preciso progetto che poi sarebbe stato esaminato dal Consiglio. Oggi invece le consulenze non si contano. E gli scandali neppure. Il recente scandalo di Parma vede implicata una signora che sembra avere guadagnato e fatto guadagnare molto. Così scrive La Repubblica: “Corruzioni, mogli e compagne tra assunzioni, viaggi e favoritismi”.(19 luglio 2011)
Passiamo alle pensioni: i pensionati in Italia sono 18 milioni; di essi la metà riceve 500 euro al mese, e ci sono famiglie che vivono con pensioni anche inferiori, mentre ci sono in Italia esponenti della politica, delle professioni e della finanza che hanno pensioni che offendono la stessa dignità di un paese. Solo per citarne qualcuno: Giuliano Amato percepisce 31 mila euro al mese; Luciano Violante 16680; l’ex presidente Scalfaro 15 mila; il banchiere Masera 18 mila euro mensili; e anche in Sicilia non si scherza con Fabio Granata, andato in pensione a 50 anni, che prende una pensione da 8 mila euro, ovviamente oltre allo stipendio di deputato.
Si può continuare così?
Lo spreco nella RAI è un capitolo a sé. Fabio Fazio percepisce circa 2 milioni l’anno; Antonella Clerici 2 milioni 554 mila 890 euro in due anni; Bruno Vespa un milione duecento mila; Pippo Baudo 900 mila; Serena Dandini 700 mila; Mara Venier, Lorella Cuccarini e Paola Perego 600 mila; Santoro 632 mila; a Gianni Morandi per cinque giornate al festival di Sanremo 800 mila euro; ma Sanremo è generoso con tutti (con i soldi degli italiani): una certa Belen Rodriguez ha ottenuto 400 mila euro per la partecipazione e 384 mila Lorella Cuccarini per lo stesso motivo. Ma il record è di Bonolis che l’anno precedente ha avuto 1 milione di euro. Dicono che questi nomi portano pubblicità e quindi soldi. Ma allora si faccia della RAI una televisione commerciale, si abolisca il canone e poi paghi chi vuole e quanto vuole. Ma questo con i soldi dei cittadini non è possibile!
Ci sono poi ottomila società controllate dallo Stato e dagli enti pubblici. Ottomila è un numero pauroso se si pensa che cosa c’è dietro, con presidenti, consigli di amministrazione, collegi sindacali: tutta gente che deve essere pagata. Dato per scontato che alcune di esse siano utili e altre necessarie, ma veramente non è possibile ridurle drasticamente eliminando quelle inutili, quelle datate, quelle superflue, e accorpando quelle che sono assimilabili per oggetto sociale e finalità pubblica?
Che dire poi dei manager degli enti statali e della finanza italiana? Cifre da fare tremare. A Geronzi sono stati dati per la sua uscita da Unicredit 20 milioni di euro, e per la sua uscita da Generali un milione e 600 mila; sempre da Generali a Bernheim un milione di euro; a Cimoli per il fallimento dell’Alitalia 7 milioni di euro: d’altronde c’era abituato: uscito dalle FF SS ha avuto una liquidazione di 4 milioni 564 mila euro: a Profumo per la sua uscita da Unicredit sono stati assegnati 40 milioni di euro; d’altronde il poveretto percepiva di stipendio 4 milioni di euro! C’è un concetto che non è voluto entrare nella mente dei governanti italiani: il denaro depositato nelle banche è in massima parte dei risparmiatori. Le banche non sono un’azienda come la FIAT o la Pirelli. Non possono disporre dei soldi, loro affidati, come loro proprietà e assegnare ai manager queste scandalose liquidazioni. Certo! La concezione capitalista dell’impresa è quella che consente di dare stipendi e salari di fame ai dipendenti ed emolumenti vertiginosi ai padroni o ai manager. Ma non verrà un giorno in cui si porrà termine a queste scelleratezze? E questo giorno non può essere quello odierno: quando l’economia mondiale rischi di franare per dare vita a un mondo di povertà mai prima conosciuto?

Il ministro Tremonti

Aveva proposto al Senato l’adeguamento degli emolumenti alla media europea. Abbiamo visto l’indignazione che si è sollevata.
Adesso ha inviato una lettera ai capigruppo delle due camere per indurli a ridurre gli emolumenti parlamentari del 10%. Per favore, sig. ministro, non offenda l’intelligenza e la sensibilità del popolo italiano. Qui non si tratta del 10%, ma della media europea; questo soltanto è giusto, il resto è una beffa. I parlamentari tedeschi prendono 8252 euro, e rappresentano la ricca Germania. E credo che abbiano dignità non inferiore a quella dei parlamentari italiani.
Abbiamo ammirato Tremonti quando ha resistito alle richieste dei vari ministeri di dilatare la spesa. Quanto meno ha evitato il tracollo.
Oggi deve smettere l’atteggiamento di un Mosè sceso dal Sinai con le tavole della legge. Non ci sono in economia tavole della legge, ma opinioni più o meno efficaci. E lui ne ha sbagliato molte: i Tremonti bond per le banche, mentre nulla, o quasi, ha fatto per l’economia reale, con il risultato che il PIL è immobile; ha tagliato i posti nella scuola gettando nel lastrico decine di migliaia di insegnanti; e, soprattutto, ha predicato la finanza creativa, inducendo molti enti locali ad acquistare derivati, cioè titoli spazzatura. Ebbene i provvedimenti adottati sono solo strumenti finanziari destinati ai mercati, ma non all’economia del paese. Non c’è in essa traccia di una politica economica.
L’obiettivo di ogni politica economica in ogni frangente è: provocare una maggiore crescita economica, spingere l’occupazione, e garantire stabilità finanziaria. Anche nel momento attuale gli obiettivi non cambiano. C’è una contingenza che costringe all’impiego di provvedimenti che non occorrerebbero in una fase di crescita costante. Ma non si possono tralasciare le iniziative atte a mettere in moto la produttività della nazione. Senza la quale l’Italia è condannata alla recessione che c’è già e al declino che si profila.
Tremonti ha detto che l’economia del paese è fatta di Bilancio e di PIL; lui ha fatto il bilancio, gli altri facciano il PIL. Non siamo d’accordo, sig Ministro! Nel bilancio è previsto il cuneo fiscale sulle imprese che blocca la produzione, e quindi il PIL; allora lei lo riduca e lo renda sopportabile per le imprese che produrranno di più e, soprattutto, non chiuderanno e non delocalizzeranno.
Allora, sig. Ministro, compia oggi un grande gesto, l’unico che occorre veramente all’economia: faccia qualcosa per le imprese. Mi rendo conto, come tutti, della difficoltà che presenta questo compito. Ma tutti sappiamo che non sarà possibile neppure sistemare i conti pubblici senza la crescita. E sappiamo anche che nell’attuale manovra non c’è alcuna spinta innovativa che sostenga la ripresa, garantendo i vincoli esterni della finanza. Allora, faccia l’unica cosa possibile: imponga grossi tagli alla spesa pubblica, con una vera rivoluzione delle abitudini della politica, e impieghi le risorse ottenute per ridurre sensibilmente il cuneo fiscale delle imprese, vero impedimento alla crescita della produzione.

Che fare ?

Così Lenin titolò il suo manifesto per la rivoluzione sovietica. Oggi è indispensabile una rivoluzione: nella mente dei governanti e in quella dei cittadini, che debbono convincersi definitivamente che la cosa pubblica non è una mensa a cui sedersi per banchettare, ma un’arena in cui si serve la nazione. Anche i cittadini. Perché quando la stessa Repubblica può scrivere “Un milione di cittadini a libro paga dello Stato” allora si capisce veramente che la spesa pubblica è il più grave danno per l’economia italiana.
Per favore, signori parlamentari, non prendete in giro i cittadini con la riduzione del 10% dei vostri emolumenti! Sfruttare i cittadini è grave, ma umiliarli è peggio.
Quello che ha scritto Mario Pirani su La Repubblica sembra la soluzione giusta per fare partecipare la classe politica ai sacrifici che in questo momento si impongono alla cittadinanza, ma anche per ricondurre a dignità, questa sì, gli emolumenti pagati dallo Stato: “Si tratta di proporre e affermare misure drastiche, prima delle quali deve essere il dimezzamento netto di tutti gli stipendi ed emolumenti legati alle funzioni di rappresentanza. Eguale decisione deve essere estesa a tutti gli incarichi politici di ogni ente pubblico e parapubblico. Cessazione, inoltre, di ogni benefits, collegato alla rappresentanza, se non per le alte cariche dello Stato e degli enti locali: ad esempio auto blu al ministro ma non al sottosegretario. E così via”.
D’altronde, è ormai scontato che oggi non si salvano i conti pubblici della nazione se non con tagli alle spese della pubblica amministrazione. Ma non possono essere tagli simbolici: il 10% agli stipendi dei deputati, il 5% alle più ricche pensioni, Non ci dice niente il fatto che il presidente Obama abbia proposto al Congresso migliaia di miliardi di tagli alle spese pubbliche senza imporre un dollaro di tasse? E la sua affermazione, che oggi il peso della salvezza dell’economia debbono sopportarlo coloro che più ne hanno beneficiato, cioè i più ricchi? E’ questa la strada e bisogna avere il coraggio di percorrerla fino in fondo, così come gli italiani hanno avuto la sensibilità civica di pagare negli anni ’90 somme enormi per rientrare nei parametri di Maastricht,compresa la tassa per l’Europa.

La speranza nella rivoluzione

Nel 1789 in Francia il popolo aveva fame. Letteralmente. Voleva pane. E nessuno gliene dava. Malgrado la presa della Bastiglia, la corte stava a Versailles e continuava la vita brillante attorno alla regina. I nobili non avevano capito che quando il Clero si unì al terzo Stato, tutto in Francia era cambiato: la rivoluzione era in atto. Allora le donne di Parigi marciarono su Versailles, con i figli affamati in braccio, vi entrarono, e costrinsero il re e la sua famiglia a tornare a Parigi, alle Tuileries. La bella vita era finita. La rivoluzione si avviava verso il suo tragico epilogo. Quando gli ufficiali dell’esercito mercenario si riunirono a Versailles attorno alla regina per giurare che sarebbero morti tutti prima di consentire una qualunque offesa a lei, anche allora non si resero conto che le preparavano la ghigliottina.
In Italia si ha la sensazione che la classe politica non abbia capito una cosa elementare: i contribuenti non intendono pagare il prezzo salato del risanamento mentre continuano i costi assurdi della politica. Quando un deputato come Pionati a La 7(19 luglio) dichiara che è d’accordo con Crosetti il quale ha definito i costi della politica “pura demagogia”, e rincara la dose dicendo che è “giacobinismo”, di Rosy Bindi abbiamo parlato, Fassino del PD afferma che si accorperanno le province inferiori a 500 mila abitanti; quando ci dicono che l’Italia in questi tre anni ha aumentato il debito pubblico solo del 14%, mentre l’Inghilterra lo ha aumentato del 40%, significa che o non hanno capito proprio niente o vogliono prendere in giro gli italiani, e che intendono continuare nelle loro posizioni senza tenere presenti le richieste della cittadinanza. Quando in tutta la trasmissione, come nelle altre, nessuno si pone il problema di come rilanciare la produzione, perché non hanno capito che senza crescita non ci sarà mai sistemazione dei conti, allora non c’è speranza. Questa classe politica non può dare nulla. Può solo continuare a distruggere le risorse della nazione.
E allora in chi o in che cosa sperare?
La democrazia non è solo un ordinamento costituzionale. E’ soprattutto un modo di intendere la convivenza sociale, un’atmosfera che si sente propria, in cui si è immersi come pesci nell’acqua, una società in cui l’individuo si sente cittadino, perché in essa è possibile realizzare la propria vita. Ma se un giovane, dopo avere studiato, si trova senza alcuna speranza di realizzarsi in una professione; quando un uomo non ha lavoro e vede la sua famiglia soffrire nell’indigenza; o lavora dalla mattina alla sera e vede le sue risorse divorate da uno stato spendaccione in cui pochi gavazzano con i suoi soldi; o dopo aver lavorato una vita si accorge che nella vecchiaia è destinato ad una vita di stenti, allora la democrazia diventa un abito di estranei che non intende più indossare.
La fine del ceto medio, una fine annunciata con la depressione degli stipendi degli impiegati pubblici, con la declassifica della piccola impresa abbandonata a se stessa nel momento più difficile del dopoguerra, con lo scoraggiamento dei professionisti nei tentativi di creare la giungla delle loro attività, con la perdita del potere di acquisto dei consumatori che accorcia le possibilità di sopravvivenza dei commercianti; una fine dalle conseguenze gravissime di cui nessuno si preoccupa, come se gli accadimenti umani fossero sempre avvenimenti ineluttabili, e non anche fatti creati dalla volontà dell’uomo o dalla sua incapacità di gestire i momenti difficili che la storia gli presenta, sarà una delle determinanti di una crisi sociale che potrebbe sforare in una deflagrazione politica senza precedenti. Poiché i fatti della storia difficilmente si realizzano come vengono programmati o anche soltanto previsti.
Nel marzo 1917 gli operai di San Pietroburgo si ribellarono contro lo zar divenuto un nemico allorché nel 1910 aveva fatto sparare sulla folla dolente guidata da un pope a lui fedele che gli portava una petizione, e fu la rivoluzione che cacciò lo zar. Non era la rivoluzione sovietica, ma quella democratica che però ebbe come leader Kerenskij. A Lenin fu facile organizzare quella bolscevica.
In Italia il fascismo fu imposto con la violenza dal connubio agrari-industriali; ma seppe conquistarsi anche le masse di operai e contadini che erano stati più avversari che estranei, se è vero che nel 1938, come ha scritto Pietro Nenni, il consenso al fascismo superava il 90% nelle intenzioni degli italiani. C’è una frase nella Bibbia che dice: Non inducete i vostri figli all’ira.

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