L’importanza del medico di famiglia. “UN CALDO POMERIGGIO DI SETTEMBRE”, caso clinico. A cura del dottore Federico Mavilla

La signora Angela è una donna di 57 anni, minuta, mite che seguivo da più di 10 anni. Da sempre sapevo della sua epatite cronica HCV positiva e per tale motivo monitoravo periodicamente i parametri bioumorali ed ecografici . Nel 2008 la comparsa di un’area disomogenea, comitata ad un rialzo dell’alfafetoproteina, mi indusse a telefonare ai colleghi dell’ISMETT per un consulto. Dopo un breve ricovero, la diagnosi di epatocarcinoma in fase iniziale venne confermata. Dopo le prime terapie ablative e chemioterapiche non responsive, la paziente fu tipizzata ed inserita nella lista di attesa per sottoporsi ad un trapianto epatico, qualora si fosse reso disponibile un organo compatibile.
Un caldo pomeriggio di settembre del 2009 arriva nel mio studio una telefonata con voce concitata : “ Dottore è in studio? Sto arrivando!”.Feci appena in tempo a riconoscere la voce della signora Angela, che aveva già riappeso il telefono.
Dopo pochi minuti, la porta della mia stanza si apri all’improvviso, accompagnata dalle voci nello studio : ”Unni va?. Ma chista cu si senti di essere per trasiri senza aspettare ‘u turnu !” “ C’ero prima io.” “Signoraaa! ”
Si trattava della signora Angela, accompagnata dalla figlia, che con voce visibilmente alterata gridò : “ Dottore, che devo fare ? Mi hanno telefonato dall’ ISMETT per comunicarmi che c’è un fegato compatibile e mi hanno dato due ore di tempo per recarmi in Ospedale per il trapianto. Dottore mi aiuti : che debbo fare ? Fra due ore posso vivere o morire : decida Lei per me.”
Nello studio calò improvvisamente un gelo che contrastava con il caldo di quel pomeriggio, il vocio nella sala di attesa si calmò improvvisamente, la segreteria si mise a piangere.
Impietrito dall’ emozione, mi resi conto che il destino di Angela dipendeva dalle mie parole e da come le avrei dette. Mi alzai, andai verso Angela e l’ abbracciai. Confidando nella sua semplice e profonda religiosità, le dissi che se questa era la volontà del Signore, lei non poteva opporsi. Il Signore le stava dando una possibilità.
Angela, tranquillizzata da queste parole, mi ringraziò e andò via, ma solo dopo averle promesso che sarei andato a trovarla al più presto e che la figlia mi avrebbe informato a qualsiasi ora sull’esito dell’intervento.
Tutto andò per il meglio. A distanza di due anni, Angela sta bene: è in buon compenso clinico e , a suo dire, l’unico problema è una sindrome vertiginosa da artrosi cervicale. Quasi irriconoscente, poi, nei confronti del SSN, che le ha garantito un intervento cosi complesso e costoso, si lamenta che il Microser sia a pagamento, ripetendomi sempre il solito ritornello secondo il quale “ ormai il SSN non dà più niente”.
Ultimamente sono stato informato da Maria e dai suoi familiari che, grazie a un’associazione cattolica, erano riusciti a mettersi in contatto con i parenti del donatore ( un giovane di Catania morto in un terribile incidente automobilistico ) e che, assieme a questi ultimi, si erano recati a pregare e a deporre fiori sulla tomba di quel ragazzo, il cui fegato le permette di vivere.
Ho voluto riportare questa mia esperienza per evidenziare il ruolo di primo piano che il medico di famiglia ha nella gestione del paziente che intende sottoporsi a trapianto d’organo, cosi come nel management dei pazienti trapiantati.

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