RICOGNIZIONE DI CATACOMBE E IPOGEI PRESENTI NELL’IBLEO CON L’UTILIZZO DI TECNICHE INNOVATIVE. A “ERGASTERION-FUCINA DI ARCHEOLOGIA” GIOVANI STUDIOSI AL PASSO CON I TEMPI PER CATALOGARE LE EVIDENZE FUNERARIE

Un’attenta ricognizione tra le catacombe e gli ipogei del Ragusano. Utilizzando una metodologia assolutamente innovativa. Che ha fatto del nuovo approccio scientifico basato sul puntamento Gis e sulle carte a zoom dinamico il proprio punto di forza. Sono archeologi al passo con i tempi i giovani studiosi che hanno animato, ieri sera, nell’auditorium di San Rocco, a Ragusa Ibla, il secondo appuntamento di “Ergasterion – Fucina di archeologia”, il ciclo di incontri promosso dalla sezione del capoluogo ibleo dell’associazione “SiciliAntica”. E’ stata Clorinda Arezzo, specializzanda in Archeologia medioevale alla Cattolica di Milano, ad illustrare ai numerosi partecipanti i passi avanti compiuti sul fronte del censimento, della catalogazione e della documentazione relativa alle evidenze funerarie presenti in territorio di Ragusa. L’archeologa ha chiarito che l’applicazione pratica della nuova metodologia ha prodotto modelli relativi a due zone site a sud-ovest del capoluogo: la prima area, nota dalle carte topografiche come contrada Sant’Anna, contrada Mieta e contrada Scifazzo, localizzata nell’ambito della cava Renna; la seconda conosciuta con il nome di contrada Carnesala-Tresauro. “Una metodologia di sicuro interesse – ha chiarito Arezzo – che apre una serie di riflessioni che potranno guidare le future ricerche”. Di affinità esistenti tra le tipologie funerarie maltesi e iblee, dal IV al VI secolo, ha parlato Maria Domenica Lo Faro, specializzata in Archeologia post-classica presso l’Università di Bari, dottore di ricerca nello stesso Ateneo. “Perché queste analogie? – si è chiesta Lo Faro – una delle ipotesi già esposte nel tempo, e che tuttavia è difficile verificare, è che esistessero delle maestranze che in qualche modo riuscivano a trasmettersi il sapere in questione optando per scelte monumentali particolari che testimoniano affinità specifiche. Alla base di queste trasmissioni potevano esserci scambi commerciali tra le due comunità, quella maltese e quella iblea. Ma non sempre le notizie che siamo riusciti a verificare in proposito sono state così chiare”.
Monica Carbone, laurea specialistica presso l’Università di Palermo, sede di Agrigento, si è invece soffermata sulle “testimonianze archeologiche tardoantiche più evidenti conservate nel paesaggio archeologico di Scicli che risultano essere di tipo funerario e comprendono prevalentemente cimiteri ipogei risparmiati lungo le pareti delle cave. Lo studio sui cimiteri paleocristiani ipogei delle contrade Donnafridda e Biddiemi lungo la cava Sant’Antonino nell’altopiano ibleo – ha aggiunto – è stato effettuato attraverso il censimento e l’analisi strutturale delle camere ipogee per poterne comprendere le dinamiche evolutive partendo dalla configurazione planivolumetrica. Si tratta di due aree archeologiche che distano solo 3-4 km dal centro urbano; sono solcate da un asse vallivo portante, il Mothycanus, che scorrendo da Modica a Scicli si pone come il baricentro di un territorio che cela gelosamente uno dei migliori esempi di habitat naturali sopravvissuti alle trasformazioni antropiche. Le necropoli, in qualche caso, sfruttano precedenti tombe preistoriche, del tipo a tholos, che in epoca paleocristiana sono state ingrandite per fungere da cimiteri”. Infine Carmelo Scafè, laureato in Archeologia all’Università di Ravenna, ha fornito gli elementi di una ricerca avente per obiettivo quello di accrescere la documentazione archeologica relativa al fenomeno rupestre nell’ambito del territorio della città di Ragusa, nonché quello di fornire, tramite l’analisi dei dati ricavati dall’indagine territoriale, un quadro quanto più dettagliato ed esatto possibile sull’evoluzione del popolamento del territorio nelle immediate vicinanze del capoluogo. Scafè, inoltre, ha esposto i risultati della ricerca sul campo che ha condotto a svariate riprese nell’arco dei 14 mesi tra il luglio 2005 e il settembre 2006 lungo il “corso” di Cava San Leonardo con l’obiettivo di fornire uno spaccato quanto più attendibile del contesto in cui nacque e si sviluppò la cultura rupestre o, più in generale, l’abitudine di ricavare ed utilizzare gli ipogei.

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