La danza sul Titanic 4. Con l’acqua alla gola! Di Saverio Terranova

 Chi scrive non è  Nuriel Roubini, il solo economista che in America previde la bolla edilizia e la crisi dei derivati. E’ solo un modesto studioso di storia e di economia che opera però in un laboratorio privilegiato: la CNA, ove si è a contatto giornaliero con le imprese, quelle che lavorano, producono e soffrono in silenzio la crisi del momento. Queste sono lo specchio autentico delle condizioni, crescita, depressione o recessione dell’economia reale. Esse hanno un contatto indispensabile con il commercio di cui si servono e con l’agricoltura che spesso è il termine della loro produzione e a Ragusa, sempre, condizione della crescita economica. E sono lo specchio migliore della società italiana, quella che lavora e produce, essendo oltre il 95% dell’industria nazionale.

Non è strano, dunque, che da sei mesi affermi che siamo sull’orlo del baratro e che occorrono provvedimenti forti per uscire dalla crisi più pericolosa che l’Italia abbia mai vissuta, compresa quella del 1929. Semmai la cosa che sorprende è come queste cose non le abbia capito e forse, ancora, non le capisca la classe politica. La gente si chiede: i parlamentari non capiscono o, capendo, pensano solo al loro benessere e ai loro privilegi? Forse tutte e due le cose. Il 90% dei parlamentari sembrano non capire nulla di economia e finanza pubblica; mentre l’altro 10 % che ne capisce pensa solo alla propria tranquillità: è sufficiente ricordare come hanno votato i deputati per la proposta di abolire il vitalizio; tutti contrari, salvo trentacinque su cinquecento. Tutti, di destra e di sinistra; come per la proposta di abolizione della provincia, respinta con il PD che si astiene. Questa è la nostra classe politica, quella uscita dalle elezioni del 2008, nominata dai leader dei partiti.

E, tanto meno, chi scrive è Gorge Danton che nel 1789 copriva i muri di Parigi con il suo manifesto: “Aux armes, aux armes, citoyens”, per lanciare i parigini all’assalto della Bastiglia. Prevedere non è incitare, come qualcuno ha insinuato. E’ consigliare la classe politica di occuparsi dei problemi dei suoi elettori. Sollecitazione di cui veramente i politici non dovrebbero avere bisogno, essendo il loro dovere primario. Ma, quando lo dimenticano, tutti i cittadini hanno il diritto di ricordarlo. Nella speranza, finora vana, che la sollecitazione sia ascoltata!

Che gran parte della popolazione sia in difficoltà, che il disagio sia diffuso, che la marea della protesta vada montando, questo è sotto gli occhi di tutti. Né di questo disagio sono espressione solo gli indignati. Essi sono una piccola parte neppure molto significativa del malessere sociale attuale. Tanto meno i back bloc, sempre pronti a infiltrarsi dove sorge una protesta spontanea per esprimere la loro idea; si, perché essi hanno una idea: ed è l’anarchia, vuota cornice di una protesta che l’Ottocento aveva dimostrato inutile, e dannosa proprio per le classi proletarie. Il malessere è esteso a molte categorie sociali, oltre ai giovani. E si tratta di  persone dotate di grande dignità, che non scendono volentieri in piazza. Per questo avevo concluso il mio ultimo intervento con il monito della Bibbia: non indurre i propri figli all’ira.

                                        Grazie, Della Valle.

 

Un cumulo di critiche si sono riversate su Della Valle per la lettera ai politici pubblicata sul Corriere della Sera.

Cosa ha detto di così grave? “Lo spettacolo indecente che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani e questo riguarda tutti gli schieramenti politici. Il vostro agire attento solo agli interessi personali e di partito trascurando quelli del paese ci sta portando al disastro e sta danneggiando la reputazione dell’Italia». Non è forse vero questo?

«La classe politica si è allontanata dalla realtà, la crisi economica impone serietà competenze e reputazione che gli attuali politici non hanno, salvo rare eccezioni. Le componenti responsabili della società civile che hanno a cuore le sorti del Paese lavorino per affrontare con la competenza e la serietà necessaria questo difficile momento».

«Alla parte migliore della politica e della società civile che si impegnerà a lavorare in questa direzione diremo grazie. A quei politici che si sono invece contraddistinti per la totale mancanza di competenza e di amor proprio per le sorti del Paese saremo sicuramente in molti a voler dire “vergognatevi”».

E anche ironia e sarcasmo:  scarparo, Mr Tods…La dichiarazione di Rosy Bindi è significativa della arroganza che ormai fa parte dello stile di questi politici: “Pensi a rispettarmi perché lei compro le sue scarpe!”  Però ha ragione, perché lei con l’emolumento di parlamentare può comprarle, il popolo no! Ma questa dichiarazione, e ancor più la sua indignazione, dimostra quanto la Bindi e gli altri della casta sono lontani dai cittadini, dal loro pensiero e ancor più dai loro problemi. C’è un muro, più alto di quello di Berlino, che separa questi signori, rinchiusi nel palazzo, dai cittadini che poi sono stati i loro elettori.

Un’altra reazione è quella di Curzio Maltese. Veramente pietosa! Però, nella sua meschinità, è maliziosa. Maltese rileva che “in una trentina di righe l’appello di Della Valle contiene almeno sette errori, due anacoluti,una decina di ripetizioni, più incongruenze varie”. Ma veramente pensa il giornalista di Repubblica che la serietà dell’appello, nella gravità del momento che la nazione sta vivendo per colpa di questi politici, sia compromessa da errori e anacoluti? Abbiamo il leader di un partito che non conosce né la grammatica, né la sintassi; pontifica su problemi di cui non sa niente, assume posizioni contro gli interessi nazionali, e i suoi seguaci non si  scandalizzano. La sostanza però è di grande impatto sociale e politico: il paese agonizza e i politici non sono all’altezza del momento!

Ma forse l’ironia è solo il tentativo di ammantare la vera accusa: l’antipolitica di cui si macchia Della Valle.

Dr. Maltese, lasci questa accusa a Rosy Bindi e ai politici vecchi e stantii come lei. L’appello non è antipolitica, ma anti politici: contro questi politici. E’ la voglia e la ricerca della migliore politica, quella che gli italiani invocano per salvare il loro lavoro e i loro risparmi: persone oneste, preparate, disinteressate, orgogliose solo di servire il loro paese. Con questo amor proprio: servire il paese. Come vede anch’io mi perdo in ripetizioni. Ma se i politici non capiscono, che fare?

Della Valle ha scritto quello che pensano gli italiani, quelli che non hanno i soldi per potere compare una pagina del Corriere. Egli ha dato voce a tutti coloro che non la hanno. Invece di far ironia, era meglio riflettere alle cose che ha detto. La classe politica attuale è penosamente limitata e screditata. L’invito di Della Valle è semmai un atto di fiducia che la maggior parte della gente non ha più. Perché la casta ha dimostrato di avere a cuore solo i propri interessi. Per loro, salvati questi, la nazione può affondare, come sta rischiando.

 

                         Al capezzale dei tre ammalati

 

Ogni tanto si riuniscono i rappresentanti delle nazioni che costituiscono l’Europa per curare tre ammalati che ormai destano preoccupazioni: l’euro, le banche e gli Stati.

Però, l’euro non è ammalato. Checché ne pensi Berlusconi é una moneta forte. Ammalati sono coloro che ne fanno uso: gli Stati e le banche. Gli Stati per i debiti sovrani, le Banche per le speculazioni folli e gli sperperi, cioè gli emolumenti dei manager.

Le banche, abbiamo visto che da tre anni, in Francia, Germania, Inghilterra,  Scozia, Olanda, Belgio, per parlare degli Stati che si autodefiniscono virtuosi, le banche, perché in pericolo di défault, sono salvate dai governi, cioè con i soldi dei contribuenti. Cito solo il colosso tedesco HRE, Hipo Real Estate, nazionalizzato. Siamo all’assurdo: il liberismo, una volta verbo assoluto dell’Europa unita, oggi  viene abbandonato per il protezionismo! Ma d’altronde, perché la Grecia, che è un piccolo Stato e una piccolissima economia, non si lascia fallire? L’Argentina, dopo il fallimento, si è ripresa alla grande. La Grecia non si lascia fallire perché salterebbe la zona euro? Ma c’è qualcuno in Europa che crede ancora a questa favola? La verità é che i bond greci sono per la massima parte in mano alle banche tedesche e francesi: queste sì che salterebbero in aria! Già hanno reagito duramente contro la decisione di rinunciare al 50% degli interessi sul debito greco; il che fra l’altro conferma la perplessità di coloro che hanno dubitato che la Grecia potesse restituire tutti questi prestiti: in maggio 110 miliardi di euro; e in luglio altri 109 miliardi. E ancora ne occorrono.

Poi gli Stati. Tutti, più o meno, hanno un debito pubblico eccessivo, non solo per i parametri di Maastricht, ma anche per il peso che grava sulle economie dei loro paesi. E’ tutto l’Occidente che è in grosse difficoltà per un debito pubblico eccessivo e per una crescita bassa. Tant’è che oggi si chiede l’aiuto della Cina. La quale si dice sia ben disposta, anche se, alla telefonata di Sarkozy, U Jin Tao si è mostrato piuttosto renitente. E’ più che probabile che concederà i cento miliardi di euro chiesti. Ma a quale prezzo? Nessuno regala niente. Vuole essere riconosciuta nella area commerciale; il che significa libertà di ingresso dei suoi prodotti in tutti i paesi dell’Occidente senza limiti né dogane. E’ proprio un bel guadagno!

Se questa è la condizione dell’Occidente, l’Italia è quella messa peggio. Anzi proprio male! Ha il debito pubblico più alto del mondo, o quasi: il 120% del PIL. Qualcuno ha pensato di abbassarlo? Solo Prodi: durante il suo governo il debito era sceso a 102 %. E, grazie a un certo Mastella, il suo governo è stato messo in minoranza e mandato a casa. Berlusconi lo ha portato al livello attuale. Con i danni presenti e i pericoli che incombono.

Come ne usciremo? Se ne usciremo!

               Tre uomini in barca (per non parlar del cane)

 

Il brillante romanzo di Ierome K. Ierome, ricco di fine ironia anglosassone,  descrive tre personaggi appunto in una barca, che si sollazzano pescando. Questi però non avevano le responsabilità dei tre nostri governanti che sono alla guida della barca in cui si decidono le sorti di un nazione di 65 milioni di cittadini: Berlusconi, Bossi e Tremonti; ogni tanto c’è anche Calderoli.

Sono in grado di tenere la barra in un mare durante una tempesta furiosa, tirarla fuori dal pericolo di naufragio, e guidarla verso lidi più sereni? Questo si chiedono gli italiani.

Berlusconi è un grande imprenditore. Ma in quasi venti anni ha dimostrato di non essere un uomo di governo e di non essere riuscito a diventarlo. Ha vinto perché, nell’affondamento dei partiti del centro democratico nel 1993, egli ha saputo interpretare il sentimento degli italiani e soprattutto le loro paure, e si è presentato come espressione politica moderata, che è quello che gli italiani vogliono. Ma seppur capisce i bisogni della nazione, non riesce a mantenere quello che promette e si affida ai proclami creando attese  e speranze che riescono a fornirgli i consensi necessari e lo illudono. E intanto il paese affonda.

Bossi è quello che tutti sanno. Alcuni fatti sono talmente gravi che dovrebbero convincere chiunque a non farlo mai partecipare ad un governo: il pagamento da parte dello Stato delle multe dell’Europa ai coltivatori del Nord per le quote latte; la difesa delle pensioni di anzianità. Ovviamente per non dire altro: secessione, un milione di fucili etc…
        Tremonti sembrava l’uomo adatto per l’arduo compito di risanare le finanze dello Stato, anche se aveva commesso un errore pauroso: portare nel 2002 il costo del lotto da mille lire a un euro, veicolando il messaggio che un euro equivaleva a mille lire e non a 1936. Ma ha avuto il merito di avere evitato la dilatazione della spesa pubblica. Poi però non è riuscito a proporre alcunché per la crescita dell’economia e ha consentito due manovre assolutamente inutili, o quasi, agli effetti di tranquillizzare i mercati e l’UE. La lettera, dichiarazione di intenti, all’Europa dimostra che ancora è tutto da fare. Non era lui che poteva salvare l’economia italiana.

D’altronde quali provvedimenti conteneva l’ultima manovra, quella che doveva correggere la prima, assolutamente inutile? I più rilevanti: “Innalzamento dell’età pensionabile, aggiornamento degli studi di settore, tagli agli enti locali, e l’aumento di un punto dell’IVA”. Una manovra di 58 miliardi?

L’aumento dell’IVA è scandalosa: sostituisce il contributo di solidarietà che avrebbero dovuto pagare, in proporzione crescente, coloro che percepiscono più di 90 milioni di euro. Ma che c’era di scandaloso?  Un farmacista modicano ha confidato a un suo amico: alla fine se pagavamo 5 mila euro in più, non ce ne accorgevamo neppure. Ma non si è fatto. Non c’è l’abolizione delle province, delle comunità montane, la riduzione del numero dei parlamentari, dei loro stipendi da equiparare alla media europea, degli organici dello Stato e degli enti locali, a cominciare dalle regioni, degli emolumenti dei consiglieri regionali, dei loro vitalizi, etc. Tutto quello che oggi la gente non accetta più, e che darebbe un forte taglio alle spesa pubblica. Invece al solito si mettono i provvedimenti inutili, e quelli dannosi con i tagli lineari: ad esempio la scuola. Uno Stato che non ha al primo posto del suo programma scuola e lavoro è uno Stato senza valori che governa una società senza futuro.

Un provvedimento inutile e sicuramente dannoso è l’abolizione dei tribunali cosiddetti minori. Fra di essi c’è quello di Modica. Domanda: quali benefici apporterà alle finanze dello Stato? Lo stipendio del presidente e del procuratore. Tutto qua. E il danno? Si dovranno trovare nuovi locali a Ragusa, abbandonando lo splendido Tribunale di Modica, e questo è il minore. La gravità del provvedimento non è nel distruggere sette secoli di storia e di civiltà; sette secoli in cui nella capitale della contea c’erano tutti i gradi di giustizia, c’era persino la Suprema Corte, appannaggio del re di Sicilia, presenza che infuse nel territorio della contea, oggi provincia di Ragusa, la cultura della legalità che le ha fatto meritare l’epiteto di “provincia babba”, di cui va giustamente fiera.

La gravità di questo provvedimento è nello sforzo del governo di annientare la giustizia: nel Tribunale di Ragusa i ritardi nell’amministrazione delle giustizia sono tre o quattro anni; aggiungere il comprensorio di Modica, 120 mila abitanti, significa paralizzare  un Tribunale, stretto, congestionato, privo di parcheggi, in cui un avvocato impiega due o tre ore per depositare una citazione, in cui si fa la fila davanti alla cancelleria. Mentre si cerca di ridurre i tempi della giustizia, nella negletta provincia di Ragusa si allungano e si prepara un futuro di sonno della legalità. Quando durano in Italia i tempi di un processo civile? A Venezia, abbiamo letto, si stava celebrando un  processo dopo 12 anni, e non si è potuto perché i topi avevano distrutto nel frattempo il fascicolo! C’è un processo civile che dura da 21 anni, e l’attrice, una signora di 97 anni, ha visti rinviare l’udienza definitiva al 2014! Quando lei compirà 100 anni. IL ritardo dei processi civili è una delle ragioni che scoraggiano gli investimenti stranieri. D’altra parte, la logica è sempre quella: ridurre i fondi a polizia e carabinieri, ora ridurre anche la loro presenza sul territorio, come è successo col presidio di Frigintini, contrada ove risiedono e lavorano circa 5000 persone; e come pare che debba succedere anche a Marina di Modica, seimila alloggi che resteranno privi di qualunque tutela; persino le capitanerie di porto mancano della benzina; certo qualcuno manca del telefono. Che importa a alla casta se i cittadini non hanno più la sicurezza e la tranquillità che assicura la presenza dei carabinieri e polizia in un territorio? Purché non si tocchino i loro emolumenti.

Anche gli impegni assunti con l’UE lasciano perplessi. Portare l’età di pensione delle donne a 67 anni nel 2026 è certo una buona intenzione, ma a che cosa serve per i problemi attuali? Per tranquillizzare i mercati? Anche la possibilità di licenziare giova davvero alla diminuzione del debito o alla crescita dell’economia? O davvero si pensa che con questo provvedimento si tornerà ad investire?

Ma allora che fare?

 

                                            Il paese  

 

E’ diventato un luogo comune affermare che “il paese negli ultimi trenta anni ha vissuto al di sopra delle sue possibilità”. Questo significa che le colpe sono di tutti e quindi di nessuno. Non, in ogni caso, della classe politica. E’ tanto un luogo comune che nessuno lo discute. E’ una delle poche certezze che abbiamo in questa stagione di desolante inquietudine. Ma chi è che in Italia ha vissuto al di sopra delle sue possibilità?

La massa degli impiegati dello Stato che guadagna in media 1300-1800 euro al mese?

Gli impiegati comunali che godono di uno stipendio di 1200 euro?

Gli impiegati dell’industria che, per la maggior parte, non supera i 1600 euro?

I titolari delle PMI che, lavorando senza orari e spesso anche la domenica, oppressi dalle tasse, continuano a gestire le loro imprese perché non vogliono chiudere, non vogliono licenziare se non ci sono proprio costretti, e sperano che il domani sia migliore di oggi?

I coltivatori diretti, anche loro che si alzano alle 4 e tornano a casa alle 22?

I manovali e i braccianti, spesso disoccupati e che, quando lavorano, non ricevono più di 900 o 1000 euro?

I pensionati di cui la metà non supera i 500 euro mensili?

Certo! Ci sono i grandi manager, i giocatori di calcio, gli attori e i presentatori della TV, i professionisti, in particolare notai e farmacisti, i grandi medici e gli avvocati di grido. Ma questi, proprio perché guadagnano molto, non hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità.

Ma allora, chi è che in Italia ha vissuto al di sopra delle sue possibilità creando questo spaventoso debito che sta affondando la nazione? La risposta è semplice: la politica. Perché: chi ha creato questo enorme debito pubblico? I politici dal 1980 ad oggi: da Andreotti a Berlusconi, passando per Craxi;, esclusi Prodi e D’Alema.

Ma si afferma: questo enorme dispendio di risorse pubbliche ha consentito ad altri di vivere più che agiatamente. Chi? Gli imprenditori e gli operai che hanno lavorato nella realizzazione di strade, ospedali, scuole, etc? Ma chi ha lavorato in questi appalti non credo che abbia guadagnato più degli altri lavoratori. Semmai chi ha guadagnato oltre, a volte molto oltre, il dovuto e il lecito, sono stati gli imprenditori che hanno ottenuto gli appalti grazie all’appoggio politico. Ecco! Siamo sempre al punto di partenza: è la politica che ha vissuto o fatto vivere gli amici al di sopra delle possibilità della nazione, divorando le risorse pubbliche e distruggendo il lavoro della maggior parte degli italiani.

 E allora: perché i sacrifici debbono farli i cittadini che non sono colpevoli dello sfascio? E non deve farli la politica e coloro che con essa si sono arricchiti?

Invece succede proprio questo: i politici gavazzano nei loro privilegi, che non si vergognano di mantenere in un periodo in cui la nazione boccheggia nelle difficoltà, finora insormontabili, e non capiscono che la gente non perdona loro questa vita di privilegi e la totale assenza di responsabilità. Non solo, ma non fanno niente per uscire dalla crisi che loro e solo loro hanno creato.

 Abbiamo visto quanto costano ai cittadini lo stipendio di deputati e senatori;  i loro segretari, i vitalizi e le pensioni, i loro pranzi e i loro viaggi; i consiglieri regionali e i loro vitalizi; le province e le comunità montane; i consulenti e i segretari. Tutto a spese dei cittadini, che soffrono la crisi mentre loro godono immobili nella sicurezza di essere gli intoccabili.

Ma in Sicilia abbiamo spettacoli non inferiori. Oggi si vive di mutui milionari per la spesa corrente, che vede gli stipendi dei deputati ancorati a quelli del Senato,oltre benefit di tutto rispetto; quelli degli impiegati più alti d’Italia; un numero di dirigenti incredibile; un numero di dipendenti che è un vero esercito, cinque volte superiore a quello della Lombardia.

Ma anche in questa regione virtuosa pare che la virtù è più apparente che reale. Se Formigoni ha un numero di segretarie da provocare interrogazioni e proteste. Se Letizia Moratti, allorché divenne sindaco di Milano assunse al comune il suo staff elettorale, allora dobbiamo riconoscere che è la politica che ha vissuto al di sopra delle possibilità della nazione. E anche al di sopra della propria dignità.

Se Minzolini, direttore generale della RAI, paga con il conto RAI  70 000 euro per inviti a pranzo, anche se poi li restituisce, dà il segnale chiaro di chi ha divorato le risorse della nazione, consegnate allo Stato con le tasse pagate per la gran parte dal ceto medio e operaio. Ovviamente oltre ai milioni assegnati ai conduttori delle sempre più neglette trasmissioni. Ora ci si è messa anche la direttrice del servizio pubblico: ad alcuni sta aumentando i già lauti stipendi.

In Campania assistiamo a fatti che, più che indignare, fanno piangere. Non solo i consiglieri regionali si sono deliberati i vitalizi, ma addirittura li mantengono anche quando percepiscono un altro emolumento pubblico, compresi gli emolumenti di parlamentare nazionale. Cioè: due vitalizi. Ma veramente non c’è più la vergogna? D’altronde di che vergognarsi quando il presidente del Consiglio regionale della Campania dispone di 24 collaboratori personali, quando Barack Obama ne ha 21! Non c’è allora una magistratura civile, penale o cantabile che punisce questi abusi così palesi? Che sono autentici furti a danno degli italiani?   

Leggere che i dipendenti della Camera prendono 131.586 euro, mentre in Inghilterra i loro omologhi ne prendono 38.582; che Nicole Minetti e il figlio di Bossi prendono 150.680 euro, più del governatore di New York; che iI presidente della provincia di Bolzano prenda più del presidente degli Stati Uniti,  lascia interdetti. D’altronde Sergio Rizzo e Gianantonio Stella hanno calcolato che i consigli regionali costano agli italiani 1 miliardo e 100 milioni!

 Non ci sono parole per definire questo sconcio! E’ veramente assurdo! Questo saccheggio delle risorse nazionali il popolo italiano non lo accetta più. Forse prima non lo conosceva, forse, pur conoscendolo. lo subiva, dato che si stava bene. Adesso che, sottoposto a salassi periodici che ne hanno diminuito sensibilmente le condizioni di vita, adesso non sopporta più gli stipendi dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei presidenti di enti statali, di banche, i vitalizi e i doppi vitalizi dei parlamentari e persino dei consiglieri regionali, l’esistenza di enti inutili, dalle province alle comunità montane, agli Ato, alle società partecipate. Queste poi sono una vera follia: un servizio, se si riconosce che viene gestito meglio dal privato, si dà in appalto; non si costituisce una società partecipata: significano nuovi stipendi. Le società partecipate dello Stato sono circa 12 mila: dunque 12.000 presidenti, 12.000 consigli di amministrazione, 12.000 collegi sindacali, oltre un direttore e un certo numero di impiegati; si tratta di 4 miliardi di euro all’anno, a spese dei cittadini. Gli italiani non sopportano più queste cose, come non accettano l’esercito di dirigenti, dei segretari, dei consulenti, addetti e altri.                                

 Le società partecipate dagli enti locali sono 5000. Tutte necessarie e utili? Sappiamo solo che ai contribuenti costano due miliardi di euro ogni anno. Si è calcolato che c’è un milione di persone che vivono attorno alla politica, cioè alle spalle ei contribuenti. Tutto questo non può continuare. Soprattutto nella situazione in cui si trova l’Italia.                               

                                      Un dèjà vu

Nel 1992 la Germania, per evitare l’inflazione indotta dalla Germania Est ex comunista, che era stata unificata con la Germania Federale malgrado il valore del suo marco fosse di 1 a 10, giovedì 10 settembre alzava il tasso di sconto.   

La lira era dentro lo SME, fluttuante. Quel giorno, 10 settembre, il marco aveva raggiunto  nel cambio 767 lire; addirittura due punti in più del limiti consentito dallo SME. Per farvi fronte, bisognava svalutare! E la lira fu svalutata del 7%. Non era solo l’Italia in difficoltà, ma anche l’Inghilterra e, in misura minore, Spagna, Francia, Portogallo. La Germania abbassò il tasso di sconto di mezzo punto. Ma era troppo poco! Martedì 15 settembre la lira è a quota 820, il limite massimo per non incappare in una nuova svalutazione. La Banca d’Italia spende 1.343 miliardi di lire per far fronte al deprezzamento della lira. Il risultato dura poco. La sera il marco sale a 830 lire. La lira è difatti in una nuova svalutazione. Si chiudono i cambi, mentre si esce dallo SME, come aveva già fatto l’Inghilterra. Giovedì 17 e il giorno dopo il marco è a quota 850.

Di chi è la responsabilità di questo disastro? Si chiedevano gli italiani. E’ semplice: di chi aveva governato negli ultimi anni; dunque di Andreotti, Craxi, Cirino Pomicino, De Michelis. Qust’ultimo aveva dichiarato qualche giorno prima del disastro: “In Italia le cose continuano ad andare molto bene. Siamo tra i migliori di Europa. Siamo meglio dell’Inghilterra. Anche meglio della Francia…Siamo di fronte ad una grande bella epoque. Al diavolo i pessimisti, gli euroscemi, gli sfascisti e i dittatori intellettuali che continuano a descriverci come un paese che va in rovina”.            

A dispetto della belle époque Amato procedette alla famosa manovra di 97 miliardi di lire. Ma allora si poteva cambiare un governo per dare spazio ad Azeglio Ciampi. Oggi no! Si offendono gli elettori.

I personaggi sono cambiati ma la musica è sempre quella. L’Italia ha un debito del 120 % sul PIL, il più alto della zona Euro, a parte la Grecia; lo spread dei nostri BTP è giunto a 476 punti base, mettendoci nella condizione di non potere pagare gli interessi che aumentano a dismisura, ma noi continuiamo a ripetere: Siamo i migliori! Berlusconi qualche giorno fa ha ripetuto: “Siamo un paese benestante. I ristoranti sono pieni”. E’ chiaro che non conosce le tante famiglie che mangiano alle mense della Caritas, che per molto tempo non erano più aperte.

                                  Che fare?

 

Alcuni economisti (Stiglitz) sostengono che la priorità per l’Italia oggi è un grosso programma di infrastrutture che assicuri lavoro, crescita della ricchezza e aumento dei consumi.

Non c’è dubbio che il rilancio dell’economia é necessario, anche per uscire dalla crisi. Ma oggi c’è il problema della situazione finanziaria dell’Italia legato alla necessità di vendere titoli di Stato per disporre della liquidità indispensabile alla sua vita; e questa vendita, che avviene a un prezzo sempre crescente degli interessi, rischia di porre la nazione nella condizione di non essere più solvibile. Saremmo al défault. Già dobbiamo chiedere aiuto all’Europa, con la nota conseguenza della umiliazione della dignità nazionale. Allora non c’è dubbio che la prima necessità è la riduzione del debito pubblico. Non si può fare aumentando le tasse; questo lo riconoscono tutti: significherebbe deprimere la capacità produttiva della nazione e la ulteriore riduzione dei consumi, con le conseguenze dell’effetto perverso della recessione. Allora non c’è altra via che il taglio sostanziale della spesa pubblica. Questo lo sanno tutti, tranne coloro che devono attuarlo: la classe politica. Ma questa via, assolutamente necessaria, e che, presto o tardi sarà attuata, comporta tempo, che l’Italia non ha. Allora, mentre si pone mano al taglio degli stipendi dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei funzionari e presentatori della RAI, alla riduzione del numero di parlamentari e consiglieri, alla eliminazione dei loro privilegi, alla abolizione delle province e degli altri enti inutili (ATO compresi), alla sostanziale cancellazione delle società miste, alla diminuzione dei segretari, consiglieri e consulenti, si deve dare un taglio netto al debito pubblico, causa prima delle difficoltà dell’Italia. La proposta di Amato, fare pagare questo impegno a coloro che hanno un reddito alto, credo sia, più che giusta, logica. Aumentare l’IVA, come è stato fatto, significa aumentare anche l’inflazione, impoverendo ulteriormente coloro che poveri lo sono già. E’ la misura più ingiusta che si può mettere in campo: colpire i deboli. Bisogna che i più ricchi siano tassati in maniera da ridurre il debito pubblico almeno al 90%. Amato sostiene all’ottanta per cento.

E’ una soluzione semplicistica? Certo, se si pensa agli elettori e non all’interesse della nazione! E’ una soluzione giusta e logica: i soldi debbono metterli quelli che li hanno. E non è vero quello che affermò Tremonti, che anche loro affonderebbero con il Titanic; nel “si salvi chi può”, loro si salvano, in Italia o fuori. E’ la nazione che affonderebbe. E con essa il popolo sovrano che ha dato fiducia a questi governanti.

Ora il governo si è dimesso. Davanti al Quirinale, a fischiare, non c’era il popolo italiano, ma i professionisti della protesta e della rivolta: quelli di Roma, della Val di Susa, con l’aggiunta, più che giustificata, di disoccupati e precari. Era una protesta ingiusta. Berlusconi non è un usurpatore, è stato eletto dal popolo italiano. Se non è riuscito a far fronte alla difficile congiuntura, lo ha riconosciuto e ha lasciato. Ora egli ha un solo dovere:  sostenere un governo di salute pubblica, come è quello che si sta realizzando.

                      Il governo delle larghe intese

 

Credo sia l’unica soluzione nel momento che stiamo vivendo. Monti adotterà misure adeguate. Lacrime e sangue. Certo! Per chi ne ha ancora di sangue da versare: il cittadino medio non ne ha più. La crisi, lo ripetiamo, devono pagarla i ricchi e la politica. D’altronde Monti lo ha detto: abolire i privilegi. E lo hanno scritto molti economisti: l’Italia affonda per i troppi privilegi che alcuni sono riusciti a procurarsi.

Tutti devono fare la loro parte: questo è scontato. Allora:

1. i ricchi devono pagare;

2. i politici devono ridursi stipendi e privilegi;

3. la spesa pubblica deve essere ridotta alla normalità;

4. le banche devono ridurre gli emolumenti e abolire i benefit ai manager. In fondo, se nella gestione copiano gli ebrei del Medio Evo, vedi Il mercante di Venezia di Shakespeare, non sono come loro: quelli vendevano il loro denaro, i banchieri di oggi vendono i depositi dei loro clienti, cioè i soldi degli altri, e, con questi, realizzano utili. Poi devono fare quello per cui vengono anche aiutate dallo Stato, sostenere l’economia. Cosa per cui oggi non sembrano tagliate. Speculare in derivati che consentono utili immediati e lauti; e poi dividersi i guadagni con benefit per i manager, questo non  è più possibile. La finanza è il regno della derelegulation, in nome di un presunto liberalismo.  Ci vogliono regole che definiscano i compiti: diritti  e doveri.

5. e, infine, tutti dobbiamo lavorare di più. Sappiamo che l’Italia no ha risorse naturali; non è la Rhur. Appena un po’ di petrolio nel Mediterraneo. La nostra è industria di trasformazione. Abbiamo dunque una sola risorsa: lavorare. Gli italiani dobbiamo lavorare di più.

In Sicilia, oltre i problemi nazionali, ci sono altre endemiche difficoltà che i nostri rappresentanti sembrano ignorare. A loro la CNA, assieme alle associazioni della Rete, ha rivolto una serie di richieste. Queste le più importanti:

–         un piano straordinario per il lavoro;

–         assicurare il credito alle imprese e i pagamenti della pubblica amministrazione;

–         ridurre le procedure burocratiche;

–         garantire i servizi sociali;

–         sostenere i settori strategici dell’economia, in particolare agricoltura, commercio, artigianato e turismo; ridurre drasticamente i costi della politica e della Regione.

Abbassare il debito pubblico e aumentare la produzione, questa credo sia la formula semplice, ma non semplicistica, per risorgere.

 

 

 

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