Processo Modica Bene: tifo, pettegolezzo e luoghi comuni. A cura dell’avvocato Salvatore Poidomani

Abbiamo interpellato un penalista, l’avvocato Salvatore Poidomani, già presidente della Camera Penale di Modica, che ringraziamo per avere accettato l’invito, per una rubrica che parla di giustizia, dei processi. Questo perchè sul nostro blog è ampio lo spazio dedicato alla cronaca nera e alla giudiziaria. Lo spunto su cui si pone l’intervento riguarda il processo “Modica Bene” che ha generato più di cinquemila lettura allo stato in cui pubblichiamo la rubrica, e tantissimi commenti pro e contro le assoluzioni.

Una sentenza di condanna, quando sia ormai definitiva, deve essere accolta con favore dai cittadini per il significato che riassume poiché, con l’accertamento di un fatto reato e l’individuazione dell’autore, serve a ripristinare la legalità violata e a sanare la ferita che il reato ha inflitto all’ordinamento giuridico e alla convivenza civile.
Parimenti, con altrettanta serenità deve essere accettata una sentenza di assoluzione specie se, come nel processo di cui ci occupiamo, per insussistenza del fatto, che vuol dire che secondo il Giudice nessun fatto tra quelli contestati agli imputati, è risultato giuridicamente rilevante e cioè conforme al tipo previsto dalla regola giuridica, che nel nostro caso erano i reati di associazione a delinquere, di concussione, di riciclaggio, di abuso d’ufficio.
Il fine del processo, che è il luogo della garanzia e non quello della repressione, è quello di verificare la fondatezza dell’accusa mossa ad un presunto innocente e di accertare la verità circa un fatto della vita.
Il processo può definirsi con la condanna o l’assoluzione.
Il diverso esito non vuol dire che nel primo caso la giustizia ha trionfato e la verità si sia disvelata e che nel secondo ha prevalso la ragione dei furbi e dei potenti con conseguente sconfitta dell’ordine sociale.
Il proscioglimento dell’imputato è un epilogo normale del processo.
Da ciò deriva che l’assoluzione non può provocare scandalo, delusione o indignazione o commenti qualunquistici fondati su luoghi comuni del tipo “era prevedibile, i potenti non pagano”, o addirittura che si possa insinuare sulla correttezza del giudice.
Commenti del genere diffusi nell’opinione pubblica denotano non solo la mancanza di una cultura garantista, ma il disprezzo della presunzione di innocenza, spesso percepita come un inutile impaccio garantistico.
Essa esprime l’impegno della società a difendere la convinzione che un accusato di un crimine ha diritto ad essere rispettato come membro innocente della comunità sino ad una sentenza definitiva di condanna.
Tutti noi, invece, dal momento in cui veniamo a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale, specie se a carico di esponenti politici o della “casta” in genere, coltiviamo delle aspettative di condanna, proprio perché percepiamo il processo come una sanzione in divenire piuttosto che come attività volta ad accertare la verità processuale e il conseguente dovere di punire.
Immediatamente ci ergiamo a giudici pronti e desiderosi di emettere sentenze ( di condanna per lo più) senza conoscere le “carte” e soprattutto i meccanismi processuali.
Il processo, infatti, pur occupandosi di fatti umani e coinvolgendo gli individui, contiene profili tecnici a volte inaccessibili ai profani; tener conto di ciò consentirebbe di esprimere giudizi più ponderati.
Capiremmo che un processo non è un incontro di pugilato e che l’assoluzione non rappresenta la sconfitta dell’ordinamento giustizia, dei cittadini onesti e del pubblico ministero.
E’ bensì vero che una sentenza di assoluzione smentisce la bontà e il valore di un impianto accusatorio, ma un pubblico ministero, che vive con serenità e con il dovuto distacco il processo, accetta serenamente l’esito del giudizio.
Egli nel momento in cui, sulla scorta degli elementi in suo possesso, chiede il rinvio a giudizio, dorme sonni tranquilli perchè ha la certezza che avvocati scrupolosi e combattivi e giudici altrettanto attenti, preparati, terzi e imparziali, grazie al contraddittorio tra le parti, rivedranno i fatti da un’ottica diversa, più completa.
Quindi tutto normale, processo e sentenza?
Si, potremmo dire che i fatti di cui la procura è venuta a conoscenza necessitavano di una verifica processuale e che il giudice che ha fatto questa verifica ha accertato che questi comportamenti, l’ingente movimento di denaro, non costituiscono fatti delittuosi mancando elementi certi per dire che frutto di reato.
Non ogni fatto, per così dire anomalo, costituisce illecito e non ogni illecito costituisce reato.
A volte un comportamento può qualificarsi illecito civile, amministrativo o fiscale e rimanere indifferente per il diritto penale.
Dicevamo tutto bene, se non fosse che l’intera vicenda ha sofferto di una sovraesposizione mediatica che è sfociata nel tifo e nel pettegolezzo, il verme della spettacolarizzazione della giustizia.
Ora, non vi sono dubbi che un processo contro una classe politica deve avere risonanza mediatica e suscitare l’interesse della comunità, perché, di contro, sarebbe un pessimo segnale l’indifferenza, ma non possiamo fermarci agli avvisi di garanzia, alle ipotesi accusatorie.
Aspettiamo fiduciosi lo svolgersi dei processi per consentire alla magistratura di continuare ad esercitare il controllo di legalità e accettiamo con fiducia la decisione dei giudici, nella consapevolezza che in un caso o nell’altro si tratta pur sempre della c.d. verità processuale, che è sempre limitata e incompleta e al pari della VERITA’, come diceva Oscar Wilde, raramente è pura e non è mai semplice.

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