ANAS, ovvero, quando la classe è veramente acqua. Gomme da neve e catene a bordo per favorire l’orgasmo di qualche burocrate da operetta

Era il 1976 quando, con l’assunzione all’ospedale “Maria Paternò Arezzo”, iniziai a transitare giornalmente sulla SS 115 nel tratto Modica-Ragusa. Da allora, ogni giorno, faccio questo tratto; vi ho consumato una mezza dozzina di auto, mezzo milione di litri di benzina e un intero treno (inteso come convoglio su strada ferrata) di gomme. Conosco ogni metro di questa strada, ogni buca (la cui evoluzione nel tempo ti dà preziose informazioni sulla consistenza dell’asfalto, del servizio di manutenzione e della serietà del meccanico che ti ha montato gli ammortizzatori), ogni genere di pianta spontanea degli iblei che vi cresce rigogliosa ai margini, ogni insidia, tutti gli orari dei treni. Contorta come la politica regionale, vi ho visto transitare ogni genere di fauna selvatica, più o meno pericolosa: volpi, cani, gatti, topi, conigli, serpenti, vitelli con la “mosca”, asini anche quadrupedi, Panda pensionati, mancati piloti di Formula Uno, camionisti feroci, amazzoni volanti, Api-pì.
Ovviamente non sono mancati gli incidenti, ma sono stati relativamente pochi rispetto alle condizioni della strada e quasi sempre dovuti all’imbecillità dei piloti. La prudenza nei sorpassi è più che altro consigliata dalle condizioni di una strada che da un lato ha solida roccia e dall’altro un salto nel vuoto.
In oltre trenta anni, l’unico intervento che ne ha aumentato la sicurezza è stato quello di stabilizzare la roccia con dei micropali e coprirla con le reti; per tutto il resto niente di niente. Sempre nello stesso periodo, la strada è gelata, mediamente una volta ogni tre anni, solo per un giorno e solo in alcuni tratti (semirettilineo per il ponte sull’Irminio, rettilineo sotto l’ospedale “Arezzo”) che si potrebbero ricoprire con manto d’usura d’alta montagna: se si vuole sono solo duecento metri.
Da un anno, però, dev’essere successo qualcosa alla direzione dell’Anas – la stessa azienda che per la scerbatura sosteneva fosse competenza provinciale -, che si è preso a cuore la sicurezza dei transitanti adottando le prime misure ritenute necessarie alla bisogna. E qui si nota subito la filosofia d’intervento che, in genere, è di due tipi: quella attiva e quella passiva. Quella attiva prevede interventi strutturali, quali ad esempio il rifacimento del manto d’usura con materiali che non lo rendano simile ad un tavolo da biliardo, la dotazione di guard-rail moderni su tutto il tratto, una regolare scerbatura che consenta di allargare, di fatto, la sede stradale, la manutenzione regolare; quella passiva prevede invece la semplice segnalazione del pericolo (“tratto di strada senza protezioni, procedere con prudenza”), limiti di velocità irreali (50 Km orari, in alcuni punti 40), divieto di sorpasso lungo tutta la strada e, in ultimo, l’obbligo di montare gomme da neve o portare le catene a bordo (allo studio l’obbligo di transitare solo con un gatto delle nevi, con piccozza, racchette da neve, scarponi chiodati, funi, moschettoni, chiodi da parete e scalette in duralluminio a bordo) e, ça va sans dire, sanzioni a carico degli automobilisti inadempienti.
Proibire è meglio che curare e costa pure di meno, anzi rende qualcosa, come in casi come questo. E’, in fondo, l’etica di uno Stato accattone che pur di non ridimensionare una mastodontica macchina burocratica condotta da inefficienti-deficienti, preferisce far cassa stracciando patti sottoscritti, cancellando diritti acquisiti e tassando il tassabile (per l’aria e il diritto al coito si stanno comunque attrezzando).
Qualcuno, a questo punto – sia esso deputato, consigliere, sindaco, ministro, presidente, sottosegretario, capo dipartimento per la Salute Mentale, Padreterno -, fermi questo burocrate feroce prima che ci obblighi all’aeronautica da diporto o al paracadutismo per necessità.

 

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa