Tre medici del “Maggiore” sotto accusa. Modica, in aula parla il marito della donna che partorì feto morto

Il marito della parte lesa conferma per filo e per segno i contenuti della querela che ha portato all’inchiesta e all’accusa nei confronti di tre medici dell’Ospedale Maggiore. Si tratta di un altro caso di presunta interruzione colposa della gravidanza ai danni di una gestante modicana, I.C., 29 anni, che ieri è approdato all’attenzione del giudice onorario del Tribunale di Modica, Francesca Aprile, dopo che il Gup aveva rinviato a giudizio i tre medici dell’Ospedale Maggiore. F.S., 47 anni, modicana, medico di turno nella divisione di Ostetrica del “Maggiore”, difesa dall’avvocato Rinaldo Occhipinti, E.A, 64 anni, modicano, e A.S., 53 anni, di Rosolini, difesi dagli avvocati Mario Caruso e Giovanni Giuca, medici responsabili della sala parto. I fatti furono denunciati dalla coppia modicana, sono stati rievocati ieri mattina dal marito di quest’ultima F.L., 28 anni(i due coniugi si sono costituiti parti civili attraverso gli avvocati Giovanni Favaccio e Bartolo Iacono). La giovane donna era alla quarantunesima settimana. Secondo l’accusa, sostenuta dal pubblico ministero, Diana Iemmolo, la prima non avrebbe individuato la presenza del cordone nucale, omettendo, quindi, di diagnosticare tempestivamente la pericolosità del quadro clinico che si era venuto a determinare durante la gravidanza. “Addirittura – ha spiegato l’uomo – ci è stato detto in ospedale la mattina di tornare per i controlli nel pomeriggio”. La magistratura inquirente nominò un perito, Vincenzo Coco, che sarà sentito nella prossima udienza fissata al 26 aprile, ma le sue conclusioni fanno trasparire una censura sul comportamento dell’ostetrica e omissivo durante il breve periodo di degenza della donna, che invece avrebbe dovuto essere sottoposta a cesareo. Gli altri due imputati, sempre secondo l’accusa, non avrebbero rilevato la sofferenza ipossica fetale da stenosi serrata in assenza di segnali cardiaci alle 15,30 del 4 marzo 2009, attendendo, invece, il parto spontaneo. Un quarto d’ora dopo, la donna partorì il feto già morto. Col cesareo, secondo l’accusa, il bambino sarebbe nato vivo.

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