Modica, i Popolari per la Sicilia: “Liceo Classico salvo, forse. E il tribunale e l’università”?

È facile scorgere molti interventi di plauso verso la decisione dell’assessore Centorrino di non sopprimere il liceo classico di Modica per accorparlo con altri istituti, in ossequio ai rigidi parametri previsti dalla cosiddetta Riforma Gelmini. In attesa dell’ok da Roma, i Popolari per la Sicilia si uniscono al compiacimento generale, ma non evitano di sviluppare alcune considerazioni.
“Nel territorio della Contea – dice Emanuele Guerrieri Ciaceri – ormai il risultato politico da celebrare è sempre una difesa strenua di qualcosa che dall’alto si vuole strappare. Sono veramente poche le cose pubbliche che si creano, ormai si può solo difendere l’esistente: il Liceo Classico, il Tribunale (il carcere e l’agenzia delle entrate), l’Università. Nel caso del Liceo Classico era sotto gli occhi di tutti che si stava attuando l’ennesimo orrore burocratico, nei confronti di un istituto-istituzione che affonda le radici nel lontano 1878, a soli 17 anni dalla legge Casati (del 1859 ma applicata in Sicilia solo nel 1861, con l’unità d’Italia) che stabiliva l’istituzione generale del “Regio Liceo Ginnasio” come istituto di istruzione secondaria superiore. Inoltre, la scuola ereditava lo storico convento dei Gesuiti, costruito su ben quattro ordini, a pianta quadrata e con corte interna”.
La soppressione per l’annessione amministrativa con lo storico antagonista, il liceo scientifico Galilei per i Popolari per la Sicilia era un insulto alla cultura umanista (come non ricordare la frase di Concetto Marchesi che campeggiava nell’epigrafe del giornale d’istituto: “La cultura umanistica giova a tutti; il giorno in cui decadesse sarebbe notte nel mondo.”) e al ricordo di tanti alunni e professori che hanno calcato le vecchie pietre di gradoni consumati, e non per ragioni di partigianerie stantie e legate alla celebrazione di un passato ormai tramontato. Era un insulto perché la burocrazia e la contabilità di Stato, con la sua sgradevole costellazione di numeri e statistiche, non si possono permettere di cancellare la storia con un tratto di
penna. Si dice: non si può parlare sempre di storia per salvare le istituzioni. Sbagliato, sbagliatissimo. La storia sono le nostre istituzioni, e le nostre istituzioni SONO la nostra storia. “Cancellare l’una o le altre – aggiunge Ciaceri Guerrieri – equivale a cancellare un pezzo di società. Ecco che allora appare chiaro che quando i dati sembrano invincibili bisogna trovare una soluzione che consenta di preservare l’esistente senza falsare le fredde equazioni del rigore numerico. Pochi alunni? Si creino altri corsi o si accorpino altri corsi. Pochi utenti? si allarghi la circoscrizione. Il discorso si è automaticamente spostato alla questione Tribunale, su cui molto si è scritto e si dovrà ancora scrivere. La sua soppressione in questo caso è un insulto al buon senso e alla intelligenza umana, perché non c’è una sola ragione che giustifica una simile operazione,
non una. Non il risparmio per lo Stato, non l’accelerazione nei tempi della giustizia, non il miglioramento del rapporto con i cittadini. Checché ne dicano imberbi avvocati ragusani e rampanti magistrati forestieri, che farebbero bene a tacere. Anzi, questa operazione andrebbe esattamente nella direzione opposta con un danno incalcolabile per la società civile. Tipico di un legislatore distonico e aridamente generalista, cieco alla concreta e multiforme realtà delle cose, che specialmente al Sud invocherebbero ben altre misure. Per l’Università il discorso è diverso, perché ce l’hanno già tolta. Questa volta lasciando un pesante fardello di responsabilità locali. É strano però notare come da una iniziale rapida espansione dell’offerta
universitaria verso la provincia si è in pochissimo tempo invertita la rotta, cercando di ricentralizzare tutto a Catania, e l’impressione è che non sia stato solo per ragioni di debiti non onorati. Ecco che allora Liceo, Tribunale, Università sono veramente tre versanti della medesima questione: sopprimere, accorpare, ridurre, accentrare sono tutti verbi che indicano una precisa strategia di esclusione, di impoverimento dei piccoli centri. Centri che soprattutto nel sud-est hanno potuto emanciparsi dal pregiudizio meridionalista con l’innervamento di cultura dato dalle istituzioni pubbliche e dalle agenzie educativ distribuite sul territorio, la cui presenza universitaria, seppure come malferma costola dell’Università di Catania rappresentava l’ultimo importante passo. E invece no, la chiusura dell’Università a Modica (e la drastica riduzione a Ragusa) ha rappresentato la vetta quasi raggiunta e l’inizio di una lenta ma inesorabile discesa verso una marca di frontiera dai confini irremovibili, dove il barocco e la cioccolata stentano a coprire le membra macilente di una tradizione ormai tradita”.

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