SULLA RESPONSABILITA’ CIVILE DEI MAGISTRATI. Ne parliamo con l’avvocato Salvatore Poidomani

Con questa rubrica intendiamo occuparci di una questione della quale si continua a parlare, a dibattere e a non trovare una soluzione: “La Responsabilità civile dei magistrati”. Diverse, ovviamente, sono le opinioni. Noi abbiamo chiesto l’autorevole parere di un penalista del Foro di Modica, l’avvocato Salvatore Poidomani, che intendiamo ringraziare per la sua disponibilità.

“Argomento spinoso, delicato e solo apparentemente semplice, suscettibile di strumentalizzazioni politiche, ritorna ciclicamente nell’agenda della politica italiana il tema della responsabilità civile dei magistrati.
Stavolta il dibattito è repentinamente esploso dopo che un ramo del parlamento, la Camera dei Deputati, ha approvato un emendamento che modifica la legge in vigore introducendo la responsabilità diretta dei magistrati anche per gli errori d’interpretazione di norme di diritto commessi nell’esercizio della loro attività, oltre che per dolo e colpa grave. E ancora una volta le letture sono state contrastanti: è stato introdotto il giusto principio del “chi sbaglia paga” così come per ogni cittadino e per gli altri professionisti, dicono i promotori; si tratta di un atto di punizione e di intimidazione nei confronti dei magistrati, replicano gli altri. Proviamo a darne una lettura distaccata e quanto più possibile obiettiva.
Regola cardine e principio fondamentale della convivenza è che ogni comportamento umano che cagiona ad altri un danno ingiusto comporta un risarcimento.
Chiunque, per ogni azione che compie giornalmente o nell’esercizio della sua attività artigianale o professionale, sia egli un falegname, un idraulico o un avvocato, se procura un danno – guidando un veicolo, salendo su una scala o sbagliando nell’esecuzione dell’incarico – deve risarcire il passante, il committente, il cliente o il paziente.
Tuttavia, l’applicazione di questi principi pone seri problemi con riguardo all’esercizio dell’attività giurisdizionale non tanto per la difficoltà o la delicatezza della funzione, quanto perché l’ammissione di una responsabilità del magistrato potrebbe comprometterne l’indipendenza e l’imparzialità, che sono valori di rango costituzionale posti nell’interesse dei cittadini.
Ciò non vuol dire che il magistrato non debba rispondere ma che “la singolarità della funzione giurisdizionale ammette condizioni e limiti alla sua responsabilità, purchè non la si escluda totalmente” (sono parole della Corte Costituzionale riportate nella sentenza n. 2/1968).
La legge che disciplina la materia risale all’anno 1988, la n. 117, emanata in seguito al referendum del 1987 promosso dai radicali dopo la scandalosa vicenda del caso Tortora.
Punti salienti sono la previsione della limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo e colpa grave (escludendola per l’attività di interpretazione di norme di diritto o per quella di valutazione di fatti o prove), l’azione di risarcimento indiretto (non è possibile agire direttamente nei confronti del magistrato), la facoltà dello Stato di esercitare il diritto di rivalsa (richiedendo al magistrato la restituzione di quanto versato al cittadino) nonchè la previsione di una preventiva declaratoria di ammissibilità, che significa che prima di poter essere valutata nel merito, la domanda deve superare un vaglio di ammissibilità sui presupposti, sui termini o sulla manifesta infondatezza.
Questa legge e la giurisprudenza restrittiva dei giudici di merito e della Corte di Cassazione, secondo un’opinione diffusa, hanno tradito sia la volontà popolare espressa con il referendum che le indicazioni sopra riportate della Corte Costituzionale, poiché hanno reso inammissibile quasi tutte le domande sino ad oggi proposte, impedendo l’esame nel merito del provvedimento del magistrato e la verifica dei presunti errori o abusi lamentati dal cittadino.
E infatti, in 24 anni su circa 600 cause iniziate solo una decina ha superato il vaglio di ammissibilità e nei 4 casi per i quali è stato riconosciuto il diritto del cittadino al risarcimento, lo Stato, che ha dovuto ristorare il danneggiato, non ha mai esercitato l’azione di rivalsa.
Come vedete questione complessa.
Ma torniamo alle vicende politiche di questi giorni. Cosa è successo?
E’ accaduto che negli ultimi tempi diverse pronunce della Corte di Giustizia Europea hanno affermato il principio che la responsabilità dello Stato per lo svolgimento dell’attività giurisdizionale deve estendersi all’attività di interpretazione delle norme di diritto comunitario poichè questa rappresenta “l’essenza vera e propria della funzione giurisdizionale”.
Da ciò la raccomandazione del Consiglio dei Ministri della Comunità Europea agli Stati membri di adeguare la legislazione.
La Camera dei Deputati ha recepito il principio della responsabilità per violazione manifesta del diritto, sia comunitario che nazionale, ma si è spinta più avanti rispetto ai suggerimenti dell’Europa introducendo anche la responsabilità diretta del magistrato, non prevista nella normativa attualmente in vigore, né richiesta dalla Corte di Giustizia e sconosciuta negli altri ordinamenti europei.
Non abbiamo timore ad affermare che la responsabilità diretta del magistrato è deleteria per la tenuta del sistema, perché inevitabilmente imputati assolti o parti di un processo civile (si pensi a chi vince una causa in Cassazione dopo averla persa nei gradi di merito) potranno legittimamente citare in giudizio direttamente i magistrati.
E forse in questo caso sussiste veramente il rischio di un condizionamento dell’attività giudiziaria perché i magistrati assumerebbero comportamenti difensivistici e di autotutela, con infausti riflessi sui provvedimenti e sull’autonomia e l’indipendenza.
Riteniamo, pertanto, necessario e urgente, al fine di porre rimedio all’errore, un dibattito politico serio, scevro da pregiudizi, da una parte, e di tutela di interessi corporativistici, dall’altra.
Tuttavia, la politica non deve retrocedere assolutamente sul rafforzamento del resto della normativa per renderla effettiva ed efficace.
Non sfugge a nessuno che negli ultimi anni si sono ampliati i margini interpretavi del giudice con conseguente dilatazione dell’ambito del potere giudiziario ed è evidente che questo maggior potere deve essere bilanciato da un altrettanto elevato livello di responsabilità.
E’ quindi giusta, a nostro avviso, l’introduzione di un equilibrato regime di responsabilità che punisca quei fatti che non incidono sull’autonomia del giudizio e sull’indipendenza del giudice, ma che anzi la negano, come l’incapacità, la negligenza, l’inoperosità e la manifesta violazione del diritto.
A ciò si può arrivare mantenendo la responsabilità indiretta, ma eliminando il giudizio di ammissibilità e modificando la clausola di salvaguardia con l’introduzione della responsabilità per casi di grave e manifesta violazione del diritto, nonché rendendo effettiva e obbligatoria la rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato la cui responsabilità è stata accertata.
C’è ancora qualche mese di tempo per intervenire e si spera che anche i magistrati, piuttosto che gridare all’intimidazione, si facciano promotori di proposte serie per porre fine a questa situazione, anacronistica e inaccettabile, di immunità”.

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