Il morbo di Parkinson. La rubrica medica del dottore Federico Mavilla

La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa e prende il nome dal medico inglese James Parkinson che per primo ne definì le caratteristiche ai primi dell’Ottocento in un famoso saggio.
È ritenuta appannaggio dell’età anziana, infatti l’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, non risparmia però le persone più giovani (intorno ai 40 anni o prima) e sta diventando un crescente problema sociale.
Certamente l’invecchiamento è il primo fattore di rischio che espone al rischio di ammalarsi. È importante anche il sesso, in quanto i maschi sono più colpiti rispetto alle femmine, ma in gioco ci sono anche altri fattori di rischio, come l’esposizione a pesticidi e altri tossici ambientali. Da non trascurare il peso della genetica: indagini recenti collegano un difetto genetico alla comparsa della malattia e nel 20% dei pazienti con familiarità per il Parkinson, il gene difettoso è stato identificato.
La causa vera, comunque, che provoca il Parkinson è la progressiva degenerazione delle cellule nervose localizzate in un’area del sistema nervoso centrale, detta “sostanza nera”, che producono dopamina (neuroni dopaminergici), il neurotrasmettitore coinvolto nel controllo del movimento, ma importante anche nelle emozioni, nella memoria e in altre funzioni neurovegetative, come la motilità intestinale.
Il quadro clinico del Parkinson è costituito da tremore degli arti e della faccia, rigidità posturale, bradicinesia (lentezza nei movimenti), instabilità posturale. Man mano che questi sintomi diventano più pronunciati, i pazienti possono avere difficoltà nel camminare, parlare o effettuare anche i più semplici gesti. In genere i segni iniziali della malattia possono comparire molto gradualmente o, in altri casi, evolvere presto in sintomi più gravi. A causa della perdita delle connessioni nervose tra diverse aree del cervello, compariranno, col progredire della malattia, altri segni come la depressione, cambiamenti emozionali, difficoltà nella masticazione o nel parlare, problemi urinari e di costipazione e alterazione del sonno.
Nelle fasi più avanzate la malattia determina la seria compromissione dell’equilibrio e della deambulazione, fino a una riduzione, e in alcuni casi, a una perdita completa delle proprie capacità di svolgere le attività quotidiane (non è una malattia “mortale”), tanto da richiedere un’assistenza costante.
Per il Parkinson non esiste, ad oggi, alcuna cura; è possibile, però, tramite trattamenti medici, ritardare la comparsa di alcuni sintomi o rallentare la progressione della malattia. La malattia, è bene ribadirlo, può essere corretta tanto meglio quanto più precocemente si fa la diagnosi, ma soprattutto quanto prima si inizia la terapia. Uno dei farmaci maggiormente prescritti ai pazienti è la L-Dopa. Il problema principale di questi farmaci è legato alla loro difficoltà nel superare la barriera emato-encefalica, quindi soltanto una piccola parte della quantità assunta riesce ad arrivare in sede, mentre la restante parte rimane in circolo provocando seri effetti collaterali. La ricerca farmacologica sta cercando di mettere a punto farmaci ricombinanti o combinazioni di molecole, che possano aumentare l’efficienza di trattamento, riducendo il più possibile gli effetti collaterali. Esistono anche altri farmaci, potenzialmente in grado di rallentare l’evoluzione dei sintomi, ma entreremo troppo nello specifico, ritenendo ciò poco utile per il lettore. La malattia di Parkinson è caratterizzata da un decorso evolutivo che coincide con un progressivo aggravamento della disabilità.
La malattia di Parkinson è caratterizzata da un decorso evolutivo che coincide con un progressivo aggravamento della disabilità, di conseguenza le strategie terapeutiche riabilitative, notevolmente utili ed efficaci, andranno definite in funzione della disabilità/handicap del paziente tenendo conto non solo della stadiazione della malattia, ma anche della situazione socio-familiare e lavorativa che è in grado di condizionare tali scelte.
Le tendenze attuali tendono a dare rilievo alla precocità dell’intervento riabilitativo, che implicherà, inizialmente, in modo principale un addestramento del paziente e dei suoi familiari,
In sintesi la malattia di Parkinson non colpisce solo un individuo, ma una famiglia, l’intervento quindi cambia prospettiva: l’individuo malato passa dall’essere l’oggetto delle cure a diventare, con la sua famiglia, il soggetto di un percorso di consapevolezza e recupero di tutte le capacità e le funzionalità residue. L’obiettivo è non solo migliorare i sintomi neurologici ma anche immaginare rapporti con i familiari più sereni e in definitiva una migliore qualità di vita.

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