Da Dibattito. “COSÌ FAN TUTTI” di Salvatore Rizza

Le recenti vicende che vedono la Lega padana pesantemente coinvolta nel disastro provocato dall’inchiesta sull’utilizzo dei cosiddetti rimborsi elettorali mi sembrano emblematiche del clima di confusione che regna, prima ancora che nel ristretto ambito politico, nella società civile.
È, in effetti, risaputo che il mondo della politica, specie ai nostri giorni, è stato, ormai, a tutti i livelli, letteralmente invaso e pervaso da chi, privo del senso dello Stato, utilizza il consenso popolare per gestire a proprio uso e consumo un immeritato potere che inquina e corrode lentamente, ma inesorabilmente, la Pubblica Amministrazione.
Non sempre, invece, viene percepito con chiarezza l’effetto involutivo che tale stato di cose ha sul modo di pensare della gente e sul modo d’intendere il rapporto tra cittadino e istituzioni. Un rapporto in realtà alquanto singolare, in cui il cittadino reagisce solo quando la violazione delle regole sfocia in eclatanti inchieste giudiziarie, mentre si assopisce quando tutto rimane nell’ambito del giudizio etico.
La vicenda di cui ci occupiamo nasce, come accade in casi simili, dall’inchiesta giudiziaria che vede impegnate diverse procure (inizialmente tre, ora, pare, addirittura cinque) e, manco a dirlo, il magistrato acchiappavip per eccellenza, specializzato in inchieste il cui oggetto è la recherche du temps perdu (il suo), ma che, in compenso, immancabilmente garantiscono grande pubblicità mediatica. La circostanza mi pare significativa e non è, purtroppo, foriera della buona riuscita dell’indagine, visto che quelle precedenti, in cui il Nostro si è fatto ammirare per il suo frenetico presenzialismo, si fondavano, in genere, su ipotesi accusatorie senza né capo né coda e si sono, quasi tutte, puntualmente concluse con un duplice scorno : per un verso con l’assoluzione di imputati che hanno ingiustamente sofferto il peso e l’onta di lunghe carcerazioni preventive e, per altro verso, con la sempre crescente perdita di credibilità dei giudici, ormai abitualmente fatti segno di dileggio dal giudizio generalizzante della pubblica opinione.
Il rilievo non è peregrino, giacché sarebbe finalmente ora di smetterla con gli inquirenti che giocano con le bolle di sapone solo per avere l’opportunità di mettere in galera un po’ di cattivi importanti e guadagnarsi, così, la foto sui giornali e le interviste televisive di rito; per recitare, insomma, con gli amici del circolo del tennis e la cameriera, la parte del giustiziere implacabile senza macchia e senza paura. Una revance, se si vuole, tipica di certo esibizionismo piccolo borghese, che, purtroppo, continua a imperversare (una delle prime cose da fare in materia di giustizia, sarebbe, per la verità, l’abolizione delle conferenze stampa e l’imposizione del divieto di menzionare, nelle cronache giudiziarie, il nome del giudice che procede).
Detto questo, occorre, tuttavia, precisare che, mentre l’inchiesta giudiziaria, pur essendo in effetti inconsistente, ha suscitato veementi reazioni nell’opinione pubblica, la questione morale, viceversa estremamente rilevante, non ha trovato un’adeguata reazione nei cittadini e nelle istituzioni.
Per ciò che riguarda il primo aspetto, è bene, infatti, precisare che il reato, nel caso di specie a tutto dire ipotizzabile, è quello di appropriazione indebita, nella configurazione punibile a querela di parte, che, nel nostro caso, difetta e, a quanto pare, non verrà mai proposta : per vero, il denaro erogato dallo Stato, per qualsiasi ragione, a soggetti privati (e, tra essi, i partiti), in assenza di una specifica norma che preveda un vincolo di destinazione, perde, una volta passato di mano, il connotato pubblicistico, con la conseguenza che, sia il partito cui viene destinato, sia i singoli aderenti non possono in alcun modo essere costretti a farne esclusivamente un uso per così dire istituzionale. Decisamente da escludere, inoltre, l’ipotesi di truffa aggravata, difettando gli elementi (primo fra tutti, l’artifizio e il raggiro) richiesti dalla legge per la configurazione del reato (l’unico raggiro l’ha messo in atto, come si vedrà, il legislatore quando ha tirato fuori dal cilindro il “rimborso elettorale”). In parole povere, quel denaro, una volta entrato nelle casse del partito, può essere da questo destinato agli utilizzi più vari senza che lo Stato possa metterci il naso.. Nel nostro caso, è servito per acquistare improbabili titoli di studio di dubbia provenienza e legittimità, per operazioni immobiliari a beneficio del benemerito fondatore e, perfino, per acquistare lingotti d’oro e pietre preziose. Così le cose, a dolersi non può essere lo Stato, ma, semmai, lo stesso partito della Lega, il quale, tuttavia, fa finta di non vedere e non capire.
Sotto l’esaminato profilo giuridico, pertanto, l’inchiesta, con ogni probabilità, si risolverà, ancora un volta, salvo novità, in un colossale flop (diverse e ben più gravi sono le vicenda delle collusioni con la ‘ndrangheta e delle tangenti bresciane che stanno emergendo in questi giorni e i cui fatti sono ancora da accertare). Nondimeno, bisogna riconoscere che a qualcosa, essa è servita. È, servita a provare che il re è nudo; che proprio il partito che fino ad oggi ha predicato la secessione da uno Stato dominato, a suo dire, da “Roma ladrona”, praticava una grottesca e maldestra attività predatoria e si serviva di inaffidabili, scalcinati adepti per mettere le mani nella marmellata.
Insomma, l’assenza di rilevanza penale non fa certo diventare eticamente commendevole l’uso personale del denaro destinato al partito e merita una gravissima censura morale che coinvolge pesantemente, non solo la scalcinata banda degli onesti sedicenti, ma anche l’organizzazione statuale : quella che, con un ossìmoro di nuovo conio, puo’ definirsi un sistema di democrazia feudale. Sono, infatti, i partiti che, nascondendosi dietro al comodo paravento del mandato popolare, in realtà governano il Paese con sbrigativi metodi dispotici. Il che ha consentito loro perfino di beffarsi dell’esito di un referendum abrogativo, aggirato col banale espediente di cambiar nome al fiume di denaro pubblico che essi hanno, da tempo, deciso di convogliare nelle loro voracissime casse : non più, dunque, il soppresso finanziamento pubblico, ma solo un “rimborso” delle spese sostenute in occasione delle elezioni. Peccato, però, che nessuno, a destra, a sinistra o al centro, abbia, in tutti questi anni, protestato; nessuno che si sia alzato per dire che anche il rimborso è una forma di finanziamento, sia pur collegato alla spesa sostenuta in occasione della campagna elettorale e che, comunque, neppure di rimborso può, in questo caso, parlarsi, dal momento che la quantità di denaro “rimborsato”, parametrata ai voti ottenuti, risulta di gran lunga superiore a quella effettivamente spesa : come si vede, più che una legge, una spregiudicata e arrogante imposizione feudale. A fronte di tutto ciò, l’opinione pubblica è rimasta, per anni, salvo qualche eccezione, silente e indifferente. Nessun “indignato” ha protestato per il plateale spregio mostrato dalla classe politica nei confronti dei propri elettori, per la palese violazione di ogni regola democratica (a proposito, è una provocazione e la butto lì come mi viene : perché non proporre l’introduzione, a carico dei parlamentari, del reato proprio di dolosa disapplicazione del referendum abrogativo?). Solo oggi, solo quando la magagna è stata scoperta e pubblicizzata, è insorto lo sterminato popolo dei moralisti a scoppio ritardato; tutti in coro a protestare e a chiedere a gran voce (vale a dire : a parole) l’abrogazione della legge–truffa. Ma la protesta, finora, non è andata oltre. C’è da scommettere che la solidarietà consociativa dei partiti farà in modo che ogni cosa rimanga, nella sostanza, come prima (già si parla solo di riduzione dei “rimborsi”), nell’assoluta indifferenza della società civile, che, al solito, si rifugerà in una sorta di disimpegnata rassegnazione; la rassegnazione di chi la sa lunga, di chi, come Totò, ha fatto il militare a Cuneo e sa come vanno queste cose : “così fan tutti”, si giustificherà l’uomo di mondo, parafrasando il titolo della celebre opera mozartiana. “Così fan tutti”, ripeteranno compiaciuti i politicanti dell’intero arco costituzionale, cui non par vero di scoprire che anche i duri e puri padani sono ladri di polli e di mostrar loro benevola e umana comprensione, nella speranza di beneficiare dello stesso trattamento a condizioni di reciprocità.
Sta di fatto che il mondo è pieno di entusiasti seguaci del relativismo etico e, soprattutto, di brave persone propense a perdonare al prossimo i peccati che esse non hanno commesso solo perché non ne hanno avuta l’opportunità.
Non è un caso che Bossi, mostrando di avere imparato a memoria la lezioncina di diritto in pillole impartitagli dai suoi avvocati, abbia con tracotanza proclamato che egli poteva fare quel che voleva “dei soldi della Lega”; che poteva, perfino, “buttarli dalla finestra” (sic!). Una frase, questa, infelicissima, che la dice lunga sulla concezione padana del potere. Altro che Alberto di Giussano !
Resta il fatto che, anche in questo caso, ciò che sorprende e sconforta non è tanto l’esternazione in sé, che è degna del livello culturale del personaggio che l’ha pronunciata. È, invece, la sostanziale indifferenza con cui l’arrogante e rozza rivendicazione della “libertà” di fare il proprio comodo è stata sostanzialmente recepita, che preoccupa e che è indice del generale, progressivo abbrutimento di una società che rifiuta l’imperativo categorico e che si fonda su quell’altra nefasta regola di comportamento de’ noantri, tanto cara all’etica berlusconiana, per la quale “ciascuno è libero di fare quel che vuole, a casa propria”. Una regola che fa il paio con la constatazione che, tanto, “così fan tutti”.
Viva l’Italia.

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