Il nuovo decreto anticorruzione e la corsa ad ostacoli della magistratura di Francesco Puleio. Procuratore della Repubblica di Modica

Con sempre crescente preoccupazione, assistiamo al dipanarsi di un immenso fenomeno corruttivo che dalle Alpi alla Sicilia, dalla Calabria alla Lombardia, passando per la Capitale, ogni giorno drammaticamente stritola il nostro Paese. Secondo il Ministro della Giustizia, si tratta di “una seconda tangentopoli” con “corruzione dilagante, dannosissima per l’economia e per l’immagine del paese”.
Ed è vero. Le inchieste che si susseguono e ci incalzano (minacciando di sommergerci, come un canotto da spiaggia sperso nell’oceano) dimostrano che non siamo di fronte a singoli ed isolati casi di non rispetto della legge, ma ad un sistema con assai ampie zone infette in cui la corruzione, nelle sue diverse forme, è divenuta precetto di condotta. Ed ancora una volta, in assenza di adeguati sistemi preventivi, il processo penale si trasforma da eccezione in regola. Per giunta in un quadro politico ed istituzionale ben più grave dei precedenti: da un lato la crisi finanziaria ed economica che sta attraversando il Paese nel contesto di una Europa che vacilla, dall’altro l’emergere di sempre più gravi infiltrazioni mafiose nella società, nell’economia, nella pubblica amministrazione e nelle istituzioni. In questo contesto, ai giudici compete dare le prime risposte: affrontare il lavoro giudiziario con la massima professionalità, la necessaria competenza, l’indispensabile equilibrio, pervenendo ad una decisione definitiva in un tempo ragionevole. Ma perché ciò possa avvenire, occorre che la politica appresti interventi legislativi idonei a restituire alla magistratura gli strumenti indispensabili per un rapido accertamento delle responsabilità penali nelle aule giudiziarie. Da qui l’esigenza di prevenire e reprimere la corruttela con una legge efficace: quella che è, in questi giorni, all’esame del Parlamento rappresenta certamente un segnale positivo, non solo per il tentativo di adeguare la normativa interna a quella europea, ma anche perché è espressione della volontà del governo di voler voltare pagina rispetto al recente passato. E per meglio tener fede a tante, e di tanto rilievo, aspettative, non si possono passare sotto silenzio alcune delle attuali manchevolezze del disegno di riforma.

1) I termini di prescrizione appaiono troppo esigui. Poiché il sistema introdotto con la legge 5 dicembre 2005, n. 251, cosiddetta ex Cirielli, parifica la durata del tempo necessario a prescrivere al massimo della pena edittale, il nuovo apparato sanzionatorio rischia, di fatto, di impedire l’accertamento giudiziario dei reati di corruzione. L’Europa, e l’OCSE in particolare, chiede che le responsabilità penali siano accertate attraverso una decisione definitiva, e non che i processi per corruzione si arrestino per il maturare del termine di prescrizione del reato, perché questo scardina l’efficienza e la credibilità del diritto penale. Il processo, si perdoni la metafora, è un treno che deve arrivare a destinazione e non fermarsi in mezzo alla campagna. E la corruzione è un reato di difficile emersione, spesso l’indagine si avvia molto tempo dopo la commissione dei fatti e richiede mezzi di accertamento complessi (intercettazioni ed accertamenti patrimoniali), con il rischio di non arrivare ad una pronuncia definitiva per il veloce maturare del termine di prescrizione. Rivedere il regime della prescrizione (non dimentichiamo che i tempi sono stati dimezzati con la l. ex Cirielli) è quindi essenziale, se si vuole veramente operare per un forte ed incisivo contrasto alla piaga della corruzione.

In particolare, la nuova fattispecie della corruzione per induzione prevede una sanzione da tre a otto anni, approssimata per difetto rispetto all’attuale previsione (da quattro a dodici anni): con la conseguenza che la modifica della normativa precedente comporterà un più breve termine per il maturare della prescrizione. Inoltre la duplicazione dell’originario reato di concussione in due nuove fattispecie potrebbe creare problemi di continuità normativa sui processi in corso, soffocandone alcuni (anche importanti) come candele sotto lo spegnitoio.

2) Non sono consentite le intercettazioni telefoniche. Le pene edittali per alcune nuove ipotesi di reato (come il traffico d’influenza, volta a punire le condotte dei soggetti che si propongono come intermediari nel disbrigo di faccende corruttive, nonché di quelli che ne ricercano la collaborazione) sono troppo contenute, con la conseguente non utilizzabilità di un mezzo di ricerca della prova fondamentale come quello delle intercettazioni.

3) Non è prevista la modifica del falso in bilancio, attualmente ipotesi di spinosa perseguibilità e ridotta a mero simulacro di delitto, la cui effettiva punibilità è invece presupposto necessario per accertare condotte prodromiche (evadere il fisco e trovare fondi neri utili per successive condotte illecite) a reati più gravi.

4) Si scoraggiano le collaborazioni: la nuova formulazione della fattispecie penale della corruzione/concussione prevede che venga punito non solo il pubblico ufficiale che induce, ma anche il privato che accetta l’induzione, anche quando tale soggetto non ha avuto nessun vantaggio; con la conseguenza che, senza l’introduzione di una qualche causa di non punibilità o di una consistente riduzione della pena per chi si adopera fornendo una concreta e fattiva collaborazione per la ricostruzione dei fatti, c’è il rischio concreto che nessuno collabori più con la giustizia per paura di ritrovarsi inquisito e di essere condannato con una sanzione che prevede fino a tre anni di pena detentiva.

5) Il delitto di corruzione privata (che coinvolge ad esempio le banche o le assicurazioni) resta procedibile a querela della persona offesa, nonostante si tratti di una condotta illecita che provoca grave danno per la collettività.

6) Non si è prevista – come richiesto da più parti – l’introduzione della fattispecie penale del c.d autoriciclaggio, vale a dire la punibilità di chi dopo aver commesso un reato, ne occulta i proventi delittuosi.

7) Non si è previsto di estendere il reato di scambio elettorale politico-mafioso, attualmente punito solo nei casi in cui è provata la dazione o la promessa di danaro, anche alle ipotesi di “altre utilità”, posto che assai raramente la mafia mette a disposizione tutto il suo potenziale di intimidazione per assicurare appoggio elettorale in cambio di soldi, ma bensì per assicurarsi assai più cospicui vantaggi in tema di appalti, finanziamenti per la realizzazione di opere pubbliche ed altro.

Come si vede, si tratta di modifiche semplici, banali quasi, ma che avrebbero il pregio di non rendere il lavoro dei magistrati per l’accertamento dei reati una corsa ad ostacoli e sarebbero un segnale concreto ed immediato per i cittadini della volontà del Parlamento di imboccare la strada del rilancio dell’etica pubblica.

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa