Complessità e ipocrisie della “questione giustizia” in Italia di Bartolo Iacono(avvocato)

avv. Bartolo IaconoPrendo spunto dalle considerazione svolte dal Procuratore della Repubblica di Modica, Francesco Puleio, sulle pagine di questo giornale a proposito di un uso non proprio delle regole della competenza in qualche procura italiana (il riferimento era alla vicenda della Procura delle Repubblica di Trani). Condivido e sottoscrivo le opinioni espresse dal dottore Puleio, così come avevo condiviso ed apprezzato analoghe, all’interno di un contesto più ampio, argomentazioni e considerazioni svolte da Luigi Ferrajoli nel suo intervento all’ultimo congresso di Magistratura Democratica qualche giorno fa, tanto da spingermi a farlo girare tra i Colleghi con invito alla lettura.
In particolare Luigi Ferrajoli, alla fine del suo intervento, coglieva l’occasione per dettare (o suggerire) alcune regole deontologiche partendo proprio dalle considerazioni sulla centralità della funzione giudiziaria in un paese di democrazia liberale, dalla dilatazione degli spazi della giurisdizione, dalla necessità che la magistratura non solo deve essere indipendente ed imparziale ma lo deve anche apparire. In gioco non è solo il ruolo dei magistrati e della magistratura ma la tenuta stessa del tessuto democratico della nostra società. Qual è il problema allora? Innanzitutto occorre avere ben chiara la complessità della questione giustizia e ragionare senza ipocrisie sui rimedi. Ben vengano le “autocorrezioni” (sollecitate anche dal Capo dello Stato che usò per la prima volta questo termine in un intervento al Plenum del CSM nel luglio del 2009), ben vengano le “regole” deontologiche. Ma non bastano. Occorre affrontare il tema della riforma della giustizia a partire dalla riforma e dall’ammodernamento della magistratura.
Quando si parla di riforma della giustizia, come si è fatto da qualche decennio a questa parte, l’attenzione è andata ai codici di procedura (quello di procedura civile è stato il più colpito da interventi a volte estemporanei volti, almeno nelle intenzioni, a rendere più celere il processo civile: tentativi che non solo hanno fallito l’obbiettivo anzi hanno sempre reso meno agevole la gestione della cause civili, ma si sono rilevati disastrosi per le esigenze di effettiva tutela giurisdizionale dei diritti con un portato di compressione dei diritti e delle garanzie dei cittadini).
La questione giustizia ruota attorno ad una emergenza, che, scusate il bisticcio terminologico, rappresenta l’ emergenza tra le emergenze: la questione magistratura.
Essa va affrontata sul piano dell’assetto costituzionale con la presa d’atto che magistrati della decisione e magistrati dell’accusa sono due cose diverse, distinte e separate (come è in tutti i paesi liberali e democratici). Va riformato per via costituzionale e quindi anche con legge ordinaria il CSM. Rappresenta una anomalia un unico CSM in cui indistintamente sono rappresentati giudici e pubblici ministeri. Va cambiato il sistema elettorale per la nomina dei consiglieri togati per togliere peso e potere alle correnti organizzate e determinare forme di rappresentanza dei giudici e dei pubblici ministeri che siano collegate al territorio (è di questi giorni l’ennesimo richiamo del Presidente Napoletano sui ritardi nelle nomine dei capi degli uffici giudiziari per le estenuanti trattative tra le correnti secondo la logica “ questo per me quello per te ..” sulla base di un vero e proprio manuale Cancelli delle nomine ).
Va disciplinato, come ho già avuto modo di dire, il diritto di elettorato passivo dei magistrati onde evitare appannamenti di quell’ immagine di imparzialità del magistrato che è un predicato fondamentale del prestigio e dell’autorevolezza della magistratura ve della funzione giudiziaria. Vanno regolati per legge tutte quelle situazioni di ibridismo tra magistratura e potere esecutivo e legislativo ( mi riferisco ai magistrati collocati fuori ruolo ed in servizio presso ministeri, commissioni parlamentari, uffici legislativi, autorità amministrative indipendenti, missioni estere etc) sulla base del principio della divisione dei poteri che rappresenta uno dei fondamenti dello Stato di diritto e liberale. Va presa seriamente in considerazione la necessità di aumentare, in modo consistente, il numero dei Giudici e dei Pubblici Ministeri (attualmente complessivamente poco sopra novemila di cui un migliaio tra collocati a vario titolo fuori ruolo, malattia, aspettative varie, non svolge funzioni giudiziarie), per correggere quella situazione che vede l’Italia tra i paesi dell’OCSE all’ultimo posto per rapporto magistrato / abitanti (al contrario vede la più alta concentrazione di avvocati)
Dentro questa cornice di riforme ben vengono le “autocorrezioni” e le regole deontologiche.
Ma c’è un ma di mezzo.
Esso è rappresentato da un lato dalla neghittosità del sistema politico italiano ad affrontare questi temi (sempre pronto a fare pagare i cittadini in termini di riduzione degli spazi della tutela giurisdizionale o dei diritti e delle garanzie e sempre pronto a fare emergere conflitti di ogni tipo tra magistratura e politica), dall’altro dall’atteggiamento conservatore e corporativo della magistratura associata che si è sempre opposta a qualsiasi intervento che riguardasse l’assetto organizzativo (e costituzionale) del sistema giudiziario italiano.
Oggi qualcosa si muove ed è un bene. Sempre più sono i magistrati che, anche se timidamente, cominciano a riconoscere che esiste “una questione magistratura” in Italia.
Dal fronte della politica però non arrivano segnali incoraggianti (d’altra parte alla fine è la politica che deve fare le riforme). Anzi la “questione magistratura” viene agitata più per operazioni vendicative e di delegittimazione della funzione che come una questione della democrazia da affrontare.
Forse è giunto il momento in cui la “comunità dei giuristi” in Italia (accademia, magistratura e avvocatura) cominci a parlarsi: ovviamente sappiamo che le opinioni sono differenti, che consistenti sono le distanze tra le posizioni, ma riuscire a farlo senza ipocrisie e infingimenti, con rispetto delle altrui opinioni, con la consapevolezza di dare un contributo non soltanto a migliorare l’esistente ma ad evitare derive pericolose per la democrazia e lo Stato di diritto, può rappresentare il punto di partenza per una sintesi politica e culturale da fornire alla Politica.
Bene ha fatto dunque a ricordare la vicenda della Procura di Trani il dott. Puleio, a ricordarci quanto delicata e carica di significati sia la funzione giudiziaria e quanto grande sia la responsabilità sulle spalle di quanti quella funzione esercitano (siano essi magistrati requirenti o magistrati giudicanti), quanto indefettibile sia il prestigio della magistratura e l’immagine di imparzialità ed indipendenza connessa alla funzione, nello stesso tempo il professore Luigi Ferrajoli (ex magistrato e tra i padri fondatori e teorici di Magistratura Democratica) bene ha fatto, con una analisi ricca di spunti di riflessione sapientemente ricostruita su basi teoriche salde, a definire in una specie di decalogo (in effetti articolato in nove punti) un compendio di regole da mettere in pratica. Il limite dell’analisi è nel non riconoscere la necessità di una riforma della magistratura in grado di modificare l’attuale assetto che ha in se le condizioni di alcune delle distorsioni evidenziate.

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