Requiem: giusto riposo o riposo dei giusti. Questo il senso del requiem nella tradizione cristiana, il giusto riposo dopo una vita trascorsa e vissuta, nel bene e nel male, alla fine della quale viene invocato, appunto, il giusto riposo, la giusta definizione finale di un itinerario dalle caratteristiche per ogni persona assolutamente originali, uniche.
Così per il Liceo Classico, e da alcuni anni anche Artistico, “ Campailla” di Modica: memorabile, unico, con un’identità edificata dalle identità che in esso si sono formate e hanno formato, originale nella sua fedeltà ad un ideale di istituzione scolastica la cui luce non era certo il riflesso di quella solare ma quella generata dalle intelligenze di adolescenti e adulti che hanno centinaia di volte varcato e abitato i suoi ambienti secolari. Il “Campailla”, portatore di un retaggio vetusto ma non per questo obsoleto, che, nonostante le rigidità culturali ed educative, le inflessibilità di talune impostazioni didattiche e la quasi inesistente attenzione alla persona dell’alunno, da alcuni anni fondamento del successo nell’apprendimento scolastico, ha saputo costruire anni eccellenti per ogni epoca attraversata, per ogni passaggio storico sia suo che della città, per ogni susseguirsi di generazioni di studenti e di insegnanti.
Requiem for “Campailla” vuole essere una sorta di elegia funebre sentita, motivata, priva di rimpianto e non di circostanza. Sentita perché non nego l’emozione tutta affettiva che mi suscita ancora il “Campailla” per esserne stata un’alunna dal 1972 al 1977 e per essere la figlia di uno dei suoi docenti, Salvatore Triberio, scomparso nel 1979. Motivata perché oltre a questo legame imperituro nutro il desiderio di estrinsecare alcune considerazioni da coscienza critica che immagino e mi auguro di poter condividere, spinta anche e sicuramente in questo dal cambiamento che sta vedendo il “Campailla” protagonista. Priva di rimpianto, infine, perché, come bene si è espresso Umberto Galimberti, “I rimpianti rivelano una pericolosa destrutturazione della nostra temporalità, dove il passato divora il presente e il futuro e, senza futuro, non c’è vita che possa dischiudersi ad un avvenire (…..) La vera perdita sottesa al rimpianto è la capacità di darsi il futuro (…) Il rimpianto dunque non è da coltivare. E coloro che si soffermano o vi indugiano pensano di soffrire per il loro passato. In realtà ciò di cui soffrono è l’incapacità di darsi un futuro”.
Requiem for “Campailla” , dunque, per dare il giusto riposo ad una scuola che oggi arranca e che con problematicità tutta narcisistica non si è saputa riconoscere nei segni dei tempi poiché in essi non si sono saputi riconoscere tutti quegli uomini e quelle donne che hanno negli anni ricoperto un ruolo di rappresentanza istituzionale, culturale e scolastica.
Requiem for “Campailla”, l’istituto che vuole ancora vedere l’accorpamento (perché non utilizzare altri termini senza accezioni catastrofistiche o distruttive? Ad esempio unificazione, fusione, aggregazione) come un atto di eutanasia anziché come un progresso, un andare oltre, un dirigersi verso una nuova forma di autonomia possibile non più monadica ma osmotica.
Requiem for “Campailla”, quel Campailla che è stato così gretto, tutt’altro che lungimirante e tutt’altro che desideroso di amarsi e di prendersi cura di sé al punto da non sapere intraprendere un’ azione forte e opportuna nei confronti delle istituzioni preposte per far sì che, ad esempio, il Liceo Artistico avesse, all’atto della sua nascita, la sua sede naturale in quel secondo piano dell’antico stabile che ancora è chiuso, inagibile non si sa più da quanti anni, tristemente abbandonato, causa solo di sterili sospiri dalle braccia allargate segno di un’impotenza umiliante. Azione forte e opportuna che avrebbe finalmente ridato vita nella sua interezza ad un edificio che vanta vicende e storia pluricentenarie che servono solo a farcire i discorsi di tanti che ostentano inutili e pochi mea culpa e tanti sua culpa.
Requiem for “Campailla”, per questo Campailla che, antesignano all’inizio degli anni ’70 delle prime lezioni interdisciplinari sperimentate da alcuni docenti di lettere, storia e filosofia e storia dell’arte, è stato privato di quella freschezza e di quella vivacità culturale che legittimamente appartengono alle nuove generazioni ma che non hanno trovato la giusta profondità di terreno per poter attecchire e potersi esprimere giacché dovevano far fronte alla pesantezza di menti ripiegate su se stesse che già si stavano misurando con la demotivazione, l’alienazione, la banalizzazione da cui oggi tentiamo quasi con disperazione di liberarci. Eppure in quegli anni vivevamo un momento culturale stordito dall’eco di un ’68 che a noi giunse ovattata e sonnecchiante ma ci costringeva alla riflessione seria su ciò che facevamo e su cosa avremmo voluto fare ed in questo il “Campailla” si faceva accogliente, a fatica si, ma eravamo in grado di trovare spazio attraverso il sacrificio nostro di ragazzi e quello di chi, più grande di noi e avendo il dono della comprensione, strizzava l’occhio benevolo al nostro entusiasmo.
Requiem for “Campailla”, per quel Campailla che ha vissuto fino ad oggi di autoreferenzialità, andando pian piano a consumare tutte le sue riserve e non rendendosi conto che, come in tutte le relazioni, vivere di sé o in funzione dell’altro o, peggio ancora, di luce riflessa blocca il respiro del rapporto e della relazione stessa, rendendola asfittica. I tentativi di rianimazione in tale stato sono solo accanimenti terapeutici e non si può mantenere o riportare in vita un organismo che ha già esaurito il suo percorso, meraviglioso e degno del più grande rispetto ma che alle attuali condizioni ricreerebbe solo l’esistenza di un faraone imbalsamato.
Il volere ancora insistere in un atteggiamento nostalgico e da lutto non elaborato di quanti presagiscono sventure per una unificazione, fusione, aggregazione subite o agite, a me sembra un atteggiamento deprivato di tutto quel fondamento realistico che è oltremodo necessario considerare: le recenti direttive statali e regionali prevedono l’autonomia per quegli istituti che contano almeno 900 alunni. Vogliamo ammettere che ciò è la chiara dimostrazione di come i numeri la facciano da padroni in un ambito dove i numeri dovrebbero solo essere oggetto di studio e di materia scolastica? Ebbene si, è così. Con buona pace di tutti i bei discorsi ridondanti sulla qualità della scuola, che affannosamente, tra scivoloni di diversa natura, prova a mantenere questa fisionomia di qualità. Mi accorgo, tuttavia, che questa fisionomia è paradossalmente logora e logorata dalle insoddisfazioni, dalle frustrazioni e dagli atteggiamenti talebanici di tanti appartenenti alla categoria docente che persistono in chiusure ostiche, senza possibilità di appello, ridotti a riconoscersi solo attraverso una postura, fisica e interiore, difensiva che li rivela arroccati su posizioni talmente rigide da far pensare ad uno stato di assedio. Ciò a mio avviso non giova al cambiamento, al miglioramento, all’auspicio di una ritrovata bellezza del Campailla, come anche non è d’aiuto ad altri istituti che coltivano pensieri persecutori nei confronti del loro ruolo di promotori di una trasformazione.
Ho vissuto al Campailla i miei anni più significativi: per le mie scelte future, gli anni più intensi per l’impegno scolastico, quelli più spensierati, divertenti e comici (ricordo le rincorse e le scivolate sul corridoio centrale quando a vedere me e i miei compagni era solo il bidello nostro complice), quelli più soggetti ad un autoritarismo che non ammetteva neanche una frase come “Me ne frego del preside!!” perché era immediata l’espulsione di due giorni con 7 in condotta, gli anni che mi hanno fatto sperimentare la ricchezza e la preparazione culturali e intellettuali trasmesse da docenti indimenticabili. Tutta la bellezza portata da questo passato non può essere impedimento a proiettarsi in un futuro che garantisce nuova vita e trasformazione proprio grazie ai beni ereditati.
Requiem for “Campailla”, allora, se questo giusto riposo contribuirà a concepire una scuola nuova, un modo nuovo di intenderla e di fruirla, libero da apologie meritocratiche (anche il principio della meritocrazia può andare incontro a distorsioni se se ne perde il significato originale e più onesto, quello che attinge alle capacità personali, alle competenze professionali e alle doti di relazionalità), pieno di giuste, opportune e attente valutazioni nel pieno rispetto della dignità e del valore di ognuno. Il valore non si misura con un piano economico aziendale ma di questo deve essere origine e fondamento.
Good bye, Campailla. Nutrire la memoria e legittimarla ci aiuta a capire chi siamo oggi e perché siamo. In nome di quale avvenire potrebbe mai essere legittimato il sacrificio della memoria? Memoria e Storia sono e saranno la condizione innegabile per vivere nella realtà e per saperla leggere. Sempre.
MODICA. REQUIEM FOR LICEO CLASSICO “TOMMASO CAMPAILLA”
- Febbraio 18, 2013
- 8:46 am
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