LA RESISTIBILE ASCESA DEI PREDICATORI URLANTI

salvatore rizza. jpegSarò forse un catastrofista, ma ritengo che le elezioni del 24 e 25 febbraio scorso, dopo quelle del 1948, siano state le più drammatiche tra quelle che il popolo italiano abbia dovuto affrontare in questi sessantacinque anni e più di storia repubblicana. Allora, nel 1948, si dovette scegliere tra democrazia e totalitarismo. La gente scelse, per fortuna, la prima e l’Italia si salvò. Oggi si doveva scegliere se proseguire sulla dissestata via di una governance che ha creato condizioni di precarietà economiche e sociali preoccupanti, ovvero se dar vita a un regime democratico serio e convincente, tale da assicurare all’Italia le condizioni per tirarsi fuori dal drammatico enpasse in cui l’hanno relegata decenni di malapolitica e la recente crisi economica mondiale.
È passato poco più di un anno, ma, a quanto pare, abbiamo già dimenticato che alla fine del 2011 la situazione era di tale gravità da indurre il governo Berlusconi, incapace, come, del resto, il governo Prodi che l’aveva preceduto, di andare avanti, a dimettersi (decisione, questa, impensabile in altre situazioni). Inutile girarci attorno e giocare con le parole : il momento era talmente drammatico che nessuno, tranne qualche voce isolata, ebbe il coraggio di protestare quando l’incarico venne dato a un governo di salute pubblica (ché di questo si tratta) formato da tecnici che si dicevano estranei alla politica, incaricati di ritrovare la giusta rotta ponendo riparo agli errori del passato. Si trattò di operare, allora, quelle scelte difficili e talvolta dolorose che nessun governo “politico” sarebbe stato in grado (e, comunque, avrebbe mai pensato) di fare e che ci tirarono fuori dal baratro in cui stavamo precipitando assieme alla Grecia.
Ebbene, ad elezioni concluse, dobbiamo, purtroppo, constare che la situazione non è cambiata e, semmai, l’ingovernabilità si è accentuata, dal momento che nessuno dei partiti o delle coalizioni in lizza raggiunge la maggioranza utile per governare. Per di più, i due poli su cui si concentrava la contesa, cosiddetti di centro destra e di centro sinistra, non solo si ritrovano pressoché con gli stessi voti, ragione per cui si annullano a vicenda, ma sono pesantemente condizionati dalla valanga di voti ottenuti dalla cosiddetta lista delle “cinque stelle”. Quest’ultima, com’è noto, è la promanazione del movimento di protesta, ideato, creato e gestito da Beppe Grillo che, facendo dell’antipolitica la sua ragion d’essere, rifiuta ogni alleanza con le altre liste e si propone di portare l’Italia fuori dall’Europa e dall’euro, di non adempiere agli obblighi internazionali (in essi compreso il debito contratto con i paesi europei), e intende abbandonare la realizzazione di importantissime infrastrutture, interrompendo la realizzazione di quelle già in corso (cito, tanto per dirne una, la TAV Parigi – Lione).
È evidente che, così le cose, i problemi, invece di trovare una soluzione, si aggravano e la nostra credibilità internazionale va a farsi definitivamente benedire. Le conseguenze negative per la vita della nazione e per l’esistenza delle generazioni future sono incalcolabili, ove si consideri che la Grecia sopravvive in stato comatoso, con un tasso di disoccupazione che sfiora il 30% (la media europea è di circa il 10%) e con i dipendenti pubblici e privati che si son visti dimezzare, da un giorno all’altro, gli stipendi e le pensioni.
Insomma, le elezioni che, scampato il pericolo di default, avrebbero dovuto ricreare una situazione di normalità, ci hanno invece riportato di nuovo sull’orlo del burrone.
Cerchiamo, dunque, di tirare le somme e di individuare le cause della nuova emergenza.
Anzitutto gli errori delle forze politiche tradizionali e dell’ex premier Monti.
Cominciando da quest’ultimo, è stato certamente un errore (vanitas vanitatum et omnia vanitas…ammonisce l’Ecclesiaste) l’abbandono della posizione di terzietà e la sua discesa nell’agone politico. So bene che col senno del poi si spiega tutto, ma era fin troppo facile prevedere che le forze politiche tradizionali (PD e PDL), in disaccordo su tutto, sarebbero state d’accordo nell’addebitare a Monti i gravissimi problemi che esse stesse, in decenni di malapolitica, avevano creato, rimproverandogli di avere evitato la bancarotta adottando quei provvedimenti, pur indispensabili ancorché impopolari, che esse, per non perdere il consenso, si erano ben guardate dal porre in essere.
È evidente, insomma, che, in siffatta contingenza, Monti sarebbe stato (come in effetti è stato) il capro espiatorio designato e non avrebbe mai potuto sperare in un successo elettorale, considerando che è fin troppo facile convincere la gente, cui piace l’iconoclastia, che, ma si! tutto sommato i professori che insegnano economia all’università non capiscono un tubo di economia. Meglio, dunque, proclama il centro-destra, lasciar fare a Dulcamara, che, indossando le vesti di navigato imprenditore, promette tutto e il contrario di tutto scrivendo le letterine della befana agli italiani . Anzi, no, meglio, proclama il centro sinistra, lasciar fare a Bersani, l’unico premier designato democraticamente, con le primarie, da oltre tre milioni di elettori.
Per di più Monti ha aggravato la situazione scimmiottando maldestramente il modo di fare volgare e pretenzioso dei professionisti della politica, così perdendo anche l’ultima chance : quella di mantenere, se non altro, l’applomb di sobrietà e serietà che gli permetteva di distinguersi dalla vacua prosopopea e dall’improntitudine di chi gli scagliava contro. …….È un miracolo, a pensarci bene, che abbia raccolto quasi il 10% dei voti.
Bersani, da parte sua, ha privilegiato l’alleanza con il Sel di Vendola, osteggiando e buttando alle ortiche Renzi, ossia l’unica carta vincente che avrebbe consentito al suo partito di mantenere il consenso di quegli elettori che aspirano a far parte di una sinistra illuminata e, perfino, di reclutare gli elettori di centro-destra, che, scontenti della gestione berlusconiana e ostili a Monti, si riconoscevano nelle idee moderate del giovane sindaco di Firenze. È finita che gli uni che gli altri, in mancanza di un riferimento accettabile, hanno optato per il voto di protesta.
È sempre la stessa storia. Il mondo progressista italiano, nonostante i grandi mutamenti sociali, è rimasto abbarbicato alle radici massimaliste e, quando si tratta di avvicinarsi a posizioni più moderate, rimane in mezzo al guado il tempo di bagnarsi le natiche e se ne torna indietro. Per questo non vince mai. Nel nostro caso, ha perso un numero consistente di voti, riuscendo a superare il PdL appena per un’incollatura.
La vicenda del PdL, infine, segue ciecamente, come sempre, la traccia del suo maestro e donno, fondatore, capo indiscusso e indiscutibile, che si professa moderato, essendo invece, un eversivo, come del resto lo sono tutti coloro che hanno un concetto feudale della democrazia e pretendono che la legge venga confezionata a propria immagine e somiglianza : anch’esso ha perso una còfana di voti, ma si proclama vincitore solo perché non è sparito dalla scena politica.
La verità è che nessuno dei due ha i numeri per governare ed entrambi dipendono dalla lista “cinque stelle” che, a conti fatti, ha preso, come singolo partito, il maggior numero di voti e il cui capo (sarebbe meglio dire : “proprietario”) ha, tuttavia, fatto sapere che non si alleerà con nessuno e, tanto per dimostrare che è un duro, ha dichiarato che Bersani è un fantasma che cammina.
Come si vede, le prospettive non sono propriamente rosee, dal momento che la formazione del nuovo governo dipende dagli umori a dir poco balzani e non propriamente concilianti, di Grillo e seguaci. Per di più – e la considerazione non è di poco conto – essi costituiscono un’anomalia nella scena politica italiana, non foss’altro perché proclamano di fare dell’antipolitica il loro cavallo di battaglia : una contraddizione in termini, visto che la politica è l’arte di occuparsi della polis, ossia dello Stato e che, senza politica non v’è neppure la polis.
C‘è , a questo punto, da chiedersi cos’è che ha provocato il trionfo di questo strano e anomalo terzo polo.
La risposta non può che essere una sola : il voto.
È il voto, infatti, che nelle democrazie rappresentative, individua coloro che vengono designati (recte : “deputati”) a rappresentare il popolo che, per l’appunto, servendosi del voto, li elegge, ossia delega loro la sovranità.
Ma, così stando le cose, perché mai il popolo ha scelto una lista di candidati che hanno un programma di governo fumoso e contraddittorio, privo di consistenza, antieuropeo e fondato sull’antipolitica?
La risposta è sempre la stessa : il voto, o meglio, una distorta concezione del voto .
Il voto, concepito non già come l’unico strumento di sovranità che il sistema democratico offre al cittadino e, quindi, come il massimo attributo del civis , ma come cadeau, come grazioso omaggio usa e getta da barattare coi favori che il candidato prometterà di fargli una volta eletto e, in mancanza, da buttare alle ortiche.
Così concepito, il voto, in alcune moderne democrazie, Italia compresa – e questo è il punto – è diventato una sorta di indicatore dello scontento dell’elettorato, che, quando si ritiene non adeguatamente rappresentato, lo regala, “per protesta“, per una sorta di masochistico cupio dissolvi, non già a chi meriterebbe di essere eletto, ma a chi grida di più, al più sciamannato, quasi a voler evidenziare la rabbia e il dispetto verso il candidato o il partito che si vuol punire. Non ci si rende conto che in tal modo chi riceve un torto è lo stesso votante e la sua terra, entrambi nelle mani degli incapaci che verranno, nondimeno, votati. Oppure il voto di protesta viene dato a colui che, come Grillo, potremmo chiamare il predicatore urlante. Un predicatore che ha un modo di rapportarsi col prossimo a dir poco discutibile (ha dato della “vecchia puttana” a Rita Levi Montalcini), si comporta come il capo di una setta più che come un leader politico e cavalca lo scontento contro la politica corrotta, promettendo miracolose ricette risanatrici. È evidente che un personaggio siffatto è una iattura per la nazione che lo designi come capo del governo. Ma, a quanto pare, ha capacità istrioniche tali da irretire in breve tempo coloro – e, purtroppo sono in tanti – che ritengono di aver trovato nella foga parolaia di chi promette l’impossibile, l’uomo del destino. Da qui alla tirannide – non importa se solo sostanziale o anche formale – , al declino della nazione e al suo isolamento nella scena internazionale, il passo è breve.
È questo, peraltro, il perverso congegno che, nel passato neppure tanto lontano, ha consentito la resistibile ascesa dei predicatori urlanti che hanno regalato all’umanità due guerre mondiali.
Certamente Grillo non è un gangster come l’Arturo UI di brechtiana memoria e non riuscirà (almeno, speriamo che gli manchi questa perversa capacità) a far scoppiare la guerra come è avvenuto nel passato, ma il suo comportamento è dir poco inquietante e il danno che potranno provocare i suoi seguaci quando siederanno in Parlamento rischia di essere non meno devastante, considerando, peraltro, che, in atto, stiamo combattendo una guerra economica spietata e senza esclusione di colpi.
Occorre, dunque, far presto e superare l’enpasse che oggi rende difficilissima la formazione di un nuovo governo. Non è certo che ce la faremo e, visti i personaggi coinvolti, rischiamo seriamente di ripetere le elezioni, con le funeste conseguenze toccate alla Grecia.
Prendiamo atto, dunque, che la superficialità con cui abbiamo gestito il diritto di voto ci ha resi inaffidabili agli occhi dell’Europa e schiavi dell’inquietante figura dei predicatori urlanti e prepariamoci subirne le conseguenze.
Qualche sintomo preoccupate già si fa sentire : lo straordinario successo elettorale di Grillo da una parte e la sia pur precaria tenuta del polo berlusconiano dall’altra è stata, infatti, accolta dalle altre nazioni, principalmente da quelle europee, con sprezzante ironia: la copertina del Der Spiegel e l’altrettanto sprezzante e colorito commento del tedesco Peter Steinbruck, aspirante alla poltrona di Cancelliere, sono un eloquente esempio di ciò che ci aspetta.
Bene ha fatto il presidente Napolitano a reagire con sdegno.
Ma lo sdegno del nostro presidente non basterà certo, purtroppo, a fermare, da solo, la resistibile ascesa dei predicatori urlanti.

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