Il nostro fiume Irminio si dice che fosse popolato dalle Pieridi, un epiteto generalmente applicato alle Muse nella letteratura latina. Questo nome deriva dalla città di Pieria, in Tracia. Nella leggenda le Pieridi erano le nove figlie di Pierio di Pella e di Evippa. I loro nomi sono Colimba, Iunce, Cencride, Cissa, Cloride, Acalantide, Nessa, Pipo, Dracontide. Abilissime nel canto, si recarono sul monte Elicona, la sede delle Muse per sfidarle in una gara di canto; ma le Pieridi persero grazie al canto melodico di Calliope, e le Muse per punirle le trasformarono in uccelli, secondo Ovidio in piche, secondo Nicandro in vari uccelli. Pausania invece afferma che le Pieridi portassero gli stessi nomi delle Muse e che per questa ragione i figli attribuiti alle Muse siano invece figli delle Pieridi, mentre le dee rimasero sempre vergini.
Ovidio rievoca in un lunghissimo episodio delle Metamorfosi (V 294 ss.) la sfida che le P. osarono lanciare alle Muse, dalle quali, vinte, sarebbero state mutate in piche. Antonino Liberale (Μεταμορφώσεων συναγωγή, IX, ediz. E. Martini, Mythograph. graec. II 1) racconta che quando le P., che sarebbero state false Muse, cantarono, tutto si oscurò e nessuno volle ascoltarle; quando invece cantarono le vere Muse tutto si fermò: il cielo, le stelle, il mare e i fiumi. Persino il monte Elicona cominciò a crescere verso il cielo, finché Pegaso, per ordine di Posidone, non lo colpìcon lo zoccolo, arrestandone l’ascesa e facendo sgorgare una fonte, che si chiamò Ippocrene (Ἱππουκρήνη, la fonte del cavallo), divenuta luogo di culto delle Muse. ‛ Pieriae ‘ o ‛ Pierides ‘ sono chiamate dal loro luogo di origine anche dai latini (Cicerone Nat. deor. III XXI 54 ” Musae… quas Pieridas et Pierias solent poetae appellare “; Giovenale Sat. IV 35-36 ” puellae / Pierides “).
Quali ‛ Pierides ‘ le Muse sono menzionate da Giovanni del Virgilio nel primo carme a D. (Eg I 1 ” Pyeridum vox alma, novis qui cantibus orbem / mulces letifluum “), termine ripreso nell’immagine di Eg II 2 (Pyerio demulsa sinu modulamina, ” versi espressi dal seno delle P. “), che richiama Pg XXII 102 che le Muse lattar più ch’altri mai, detto di Omero. Simili riferimenti metonimici alle Muse non sono estranei ai poeti latini (cfr. Orazio Ars poet. 405 ” Pieriis… modis “, Carm. III IV 40 ” Pierio… antro “; Stazio Theb. I 3 ” Pierius… calor “; Ovidio Pont. II IX 62 ” Pieria… via “). V. MUSE.
La favola delle figlie di Piero è rievocata in Pg I 9 ss., dove il poeta invoca le Muse sulla scia delle più famose epopee, in forma sempre più solenne e ” con uno sviluppo più ampio e di volta in volta più orgoglioso e consapevole del proprio ardimento ” (Sapegno).
Lo sprezzante atteggiamento ostentato dalle P. nella favola ovidiana anche dopo l’unanime decisione delle giudici ninfe (cfr. Met. V 669 ” Rident Emathides spernuntque minacia verba “) ha indotto il Buti a proporre nel v. 12 dispettar perdono, chiosando ” ebbono in dispetto che fusse loro perdonato “. Ma disperar perdono non solo non altera Ovidio, ma sembra riprenderlo fedelmente (cfr. vv. 665 ss. ” Quoniam… certamine vobis / supplicium meruisse parum est maledictaque culpae / additis et non est patientia libera nobis, / ibimus in poenas et, qua vocat ira, sequemur “).
Secondo alcuni il poeta chiede ” siffatto canto, del quale i suoi avversari ed emuli sentano la grandezza, e nella loro invidia si consumino ” (Poletto). Cfr. le Chiose: ” Di queste gazze n’è pieno tutto il mondo; imperocché sono assai, che con un poco di loica e di loro scienza che hanno, si mettono a contastare co’ valenti uomini “. E che il poeta volesse sottindendervi anche la stolta presunzione di quanti credono di poter poetare senza l’intervento delle Muse, è prova un passo del De vulg. Eloq. (I II 7) dove D., per dimostrare soli homini datum fuisse loqui (§ 8), accostando già episodi biblici e miti pagani con significato religioso e morale, come poi frequentemente nella Commedia, adduce accanto all’episodio del demonio che sotto forma di serpente ingannò Eva (cfr. Gen. 3, 1-5) e dell’asina del profeta Balaam (cfr. Num. 22, 28-30) la favola che Ovidius dicit in quinto Metamorfoseos de picis loquentibus (VE I II 7), osservando che hoc figurate dicit, aliud intelligens (cfr. Cv III VII 9). Egli tiene qui presente Met. V 294 ss. (specie i vv. 296-270 ” suspicit [Minerva] et linguae quaerit tam certa loquentes / unde sonent hominemque putat… locutum “) e V 677-678, dove le Piche fanno sentire il loro stridulo suono (” nunc quoque in alitibus facundia prisca remansit / raucaque garrulitas studiumque inmane loquendi “). La parola non ha senso senza intelletto e ragione.
QUANTA STORIA QUANTA MITOLOGIA NELLA NOSTRA TERRA SICILIANA! Ricordiamolo ai nordisti incalliti!
- Marzo 30, 2013
- 9:29 pm
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