Don Franco Montenegro a Modica. Parole semplici e credibili. Con forza e mitezza Dimmi chi respingi, e ti dirò chi sei

don franco montenegroUna Domus Sancti Petri a Modica non solo strapiena (di giovani, operatori pastorali, educatori, persone dalle fedi e sensibilità diverse provenienti dalle varie città delle due provincie di Ragusa e Siracusa, salutati e accolti dal vicario generale della diocesi don Angelo Giurdanella), ma anzitutto un’assemblea attenta e alla fine contenta ed incoraggiata a percorrere vie di fraternità e di giustizia: questa la sintesi dell’incontro con don Franco Montenegro, testimone – prima che relatore – dell’incontro diocesano sull’immigrazione come “segno dei tempi”. La gioia dei molti convenuti è stata per le parole “vere” dell’arcivescovo di Agrigento che fluivano con semplicità, ma anche andavano dritte al cuore con mitezza e con forza – come hanno sottolineato in molti. Con un sapiente intreccio di riflessione e riferimenti a persone concrete che spesso noi, invece, ammucchiamo in una orchestrata percezione di paura. Ma quando si pone il problema in termini di sicurezza, vengono meno le persone! E viene meno il ricordo che anche noi siamo stati immigrati (don Franco ha citato una relazione dell’ispettorato Usa per l’immigrazione del 1912 che descriveva gli italiani come oggi noi descriviamo gli immigrati). Viene meno la consapevolezza che gli immigrati sono frutto di un mondo ingiusto, di modelli di sviluppo sbagliati. Quando loro, i poveri del mondo, rappresentano piuttosto la maggioranza e noi, i borghesi – per un attimo ce lo siamo ricordati! –, siamo la minoranza: una minoranza che avrà portato anche civiltà ma che ora mostra tutte le sue ambiguità, e che comunque non avrebbe il diritto di decidere per i molti. Sono tutti elementi che fanno dell’immigrazione un “segno dei tempi”. Per la conversione soprattutto. Che inizia se ci rendiamo conto della radice nostro fastidio: atleti e cantanti li vogliamo anche se di colore diverso, quello che non vogliamo accogliere è la povertà! Certo non tutti pensano e operano così … Lampedusa, l’isola degli sbarchi, è simbolo della nostra ambivalenza: la sua gente (in certi momenti 5000 abitanti dell’isola a fronte di 7000 immigrati) è stata – come dice il nome dell’isola – “faro” per la sua capacità di accogliere, ma la modalità con cui si sono gestite le cose la fanno diventare “scoglio”, pietra di scandalo che ricorda come gli immigrati sono poveri che generiamo con il nostro mondo ingiusto e che però non vogliamo riconoscere come parte di noi stessi. La conversione inizia se ce ne rendiamo conto. E diventa cammino verso una meta che ci immette nella pienezza dell’umanità: l’integrazione, e non la semplice tolleranza! Passando per uno sguardo bioculare: uno, per accogliere, condividere, far sedere a mensa; l’altro, per chiamare le istituzioni alla loro responsabilità, per non lasciare in pace chi ha il dovere di costruire giustizia e legalità vera. Arrivando a renderci conto, con Balducci (un grande testimone del secolo scorso) che non siamo la “misura” del mondo. Accogliendo sogni e valori che mettono “insieme l’Assiro e l’Egiziano e rendono Israele testimone dell’agire grande di Dio!” Arrivando a renderci conto con Turoldo (altro testimone del secondo scorso) che una fede che non umanizza il mondo diventa inutile … Alla fine l’invito è stato quello di fare una verifica su chi siamo. In negativo potremmo dire: “dimmi chi respingi, e ti dirò chi sei”. In positivo, don Franco ha invitato a fare passi concreti e a costruire una “strada larga” dove tutto il gregge possa riposare. Chiedendo a Dio la “mantellina larga” di un pastore. Don Franco lo è stato con la sua testimonianza! Ora c’è l’impegno di tutti, potendo contare anche su gesti e parole come quelli di papa Francesco che ha fatto uscire dalla clandestinità temi e attenzioni – la Chiesa povera e dei poveri, il dialogo – che non sono nient’altro che l’evangelizzazione nella sua sostanza.

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