IL PAPA DEI POVERI di Giovanni Rossino

papa francesco“Il segreto della potenza del messaggio è nella libertà di parlare di tutto, e non importa in qual modo, ma sempre in funzione dell’Unico, dell’Alto”. Il papa Bergoglio sembra rispecchiarsi in questo modulo, ché le sue parole sono quelle che sanno mettere a tacere il chiasso del mondo e restituire quel silenzio d’anima in cui solo può vivere il cristiano. Il Papa, nella sua umanità calda e generosa, ama la verità e la grida, senza paura di offendere le anime tiepide, di scandalizzare, di irritare. Nella sua meravigliosa profondità sa che i santi son quelli che vollero essere i più poveri nella vita, e pertanto il suo non è un pauperismo romantico ispirato a motivazioni ideologiche ma un annuncio in cui convergono la sua simpatica anarchia e il suo entusiasmo travolgente.
Egli ha scoperto così un nuovo suono che non si potrà dimenticare scandito da uno stato di freschezza, da una energia di approccio e da quella ridente salute che si manifesta nell’inflessione della sua voce. Che non si sfoga in critica di costume, in prediche contristate, in diffidenza per il prossimo, in censure, crociate, guerre di religione.
È questo il suo paradigma e ci affascina come una promessa, ribadendo una verità sempre antica e sempre nuova: quella della tragicità del destino umano quando non è illuminato da Dio.
Si dice che all’interno dei quattro vangeli noti è come se ce ne fosse uno ancora sconosciuto. Ma ogni volta che la fede accenna a rifiorire, è segno che qualcuno ha intravisto quel Vangelo. È il caso del Papa in cui la radicalità evangelica sembra incarnarsi nella sua vitalità eterna e valenza esaustiva.
Ciascun Vangelo diventa così un viaggio alla scoperta di Gesù, è un itinerario e una scommessa col mistero del Cristo che non ci ha lasciato una dottrina da seguire, ma una vita da imitare.
Come piccole luci si rincorrono allora alcune sentenze del nostro pontefice che si comprendono meglio nella frase: Padre, li ho salvati tutti, nessuno che venga a me andrà senza perdono.
È la cifra della sua tenerezza, del suo andare verso le periferie dell’esistenza e del mondo, verso i poveri che appartengono alla razza regale di Gesù e di Francesco d’Assisi.
Uomo della tempre di Leon Bloy, – l’impaziente -, ricorda il grande Bernanos, il profeta della gioia, che ha scritto: “dico che il mondo sarà salvato dai poveri, e proprio da quella specie di poveri che la società moderna elimina via via senza distruggerli, perché non sono più capaci di adattarvisi, come essa non è più in grado di assimilarseli, fino a che la loro ingegnosa pazienza abbia, presto o tardi, ragione della sua ferocia. Dico che i poveri salveranno il mondo, e lo salveranno senza volerlo, lo salveranno loro malgrado, non chiederanno nulla in cambio, salvo a sapere il prezzo del servizio che avranno reso, faranno questo affare colossale e non ne ricaveranno naturalmente, neppure un centesimo”.
Concorda con Bernanos anche nel riconoscere che il mondo contemporaneo è lacerato dal “sole di Satana”. Una pagina del Journal illumina in profondità il mistero dei milioni di poveri che l’universo lascia vegetare oggi: una massa amorfa perduta nell’immensità, eppure misteriosamente legata a Gesù Cristo. Aggiunge Bernanos: “il pianto di un popolo, un pianto che non somiglia a quello di nessun altro: basta averlo inteso, o creduto di intenderlo, una sola volta. D’altronde non è un pianto, è un canto, un inno. Oh! So bene che non è un inno chiesastico, perché non si può dire che sia una preghiera. C’è di tutto in esso, come s’usa dire: il gemito del mugic sotto le verghe, le grida della donna percossa, il singulto dell’ubriaco e quel rombo di gioia selvaggia, quel ruggito delle viscere, perché la miseria e la lussuria, ahimè, si cercano e si chiamano nelle tenebre come due bestie affamate. Sì, tutto questo, effettivamente dovrebbe farmi orrore. E invece credo che una simile miseria, una miseria che ha dimenticato persino il proprio nome, che non cerca più, non ragiona più e posa dove capita la sua faccia torva, un giorno debba svegliarsi sulla spalla di Gesù Cristo”. Tutti i santi di Bernanos sono dei poveri. Hanno avuto un’infanzia infelice, oppressa dalle ristrettezze economiche; hanno anche la semplicità d’anima, la mancanza di difesa, l’ingenuità che accompagna la vera povertà che è benedetta da Dio. Lo stesso papa Francesco.
Il quale come il curato di Bernanos scopre la bellezza del mondo, da cui non ha ricevuto nulla, si sente pieno di nostalgia davanti alle strade, le povere strade che portano le gioie e le pene degli uomini. Sa che il mondo non trionferà della pazienza del povero. Patientia pauperum non peribit in finem. La pazienza del povero non perirà, perché il povero è Gesù Cristo che, da ricco, si è fatto povero per arricchirci con le sue ricchezze. Gesù è al centro di tutto, sopporta tutto, soffre tutto. “È impossibile colpire un essere senza colpire Lui, umiliare qualcuno senza umiliare Lui, maledire o uccidere chiunque senza maledire o uccidere Lui in persona. Il più vile fra tutti i mascalzoni è costretto a valersi del volto del Cristo per ricevere uno schiaffo, da qualunque mano. Altrimenti, lo schiaffo non potrebbe mai raggiungerlo e resterebbe sempre sospeso, nello spazio interplanetario, per secoli e secoli, fino a che non incontrasse il Volto che perdona”. È l’accorato e struggente refrain del Papa che non si stanca di ripetere: Dio perdona sempre.
Giovanni Rossino

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