Modica. Volontari e giovani modicani nei luoghi di Peppino Impastato e don Pino Puglisi Un mondo nuovo è possibile … se ognuno di noi fa qualcosa

casa impastatoAbbiamo sentito una forte commozione quando, visitando l’Archivio don Puglisi, una delle collaboratrici di don Pino – Agostina Aiello – ha ricordato come lasciasse tanti altri impegni per accompagnare spiritualmente le ospiti di una casa di accoglienza … e subito lo abbiamo avvertito, come Casa don Puglisi di Modica, accanto anche a noi. Confortati peraltro dalla presenza di don Corrado Lorefice, anche lui, tralasciando tanti altri impegni, con noi nella semplicità del Vangelo che ci fa comprendere come siano importanti nella vita le relazioni affettuose e vere. In un’altra stanza, in cui c’è la scrivania di don Pino, dei giovani ascoltavano con entusiasmo il senso della vita che lui trasmetteva: vivere per gli altri rende felici! Eravamo alla fine di due giorni (il 23 e 24 aprile) intensi che, volontari e operatori della Casa don Puglisi, abbiamo vissuto insieme ad alcuni giovani dell’Istituto Principi Grimaldi di Modica (accompagnati dal loro insegnante Giovanni Susino) visitando i luoghi di don Puglisi nell’imminenza di una beatificazione che rende il prete palermitano ucciso dalla mafia proposta di santità per i credenti e di vera umanità per tutti. Abbiamo iniziato con la Casa Memoria Peppino Impastato, per onorare anche questo giovane capace di rompere con l’ambiente mafioso di cui faceva parte il padre e per ripercorrere le tappe ideali di ogni lotta all’ingiustizia e alla prepotenza. Abbiamo continuato incontrando nella parrocchia di Brancaccio il parroco attuale, don Maurizio Branciforte, che ha sottolineato come per don Puglisi la cosa più necessaria è rendersi conto che i mafiosi sono pochi e tengono in scacco molti per una rete di condizionamenti e compromessi, per cui diventa importante svegliare i molti, i molti che sono buoni ma che devono anche avere il coraggio di contrastare il male. Sentendosi tutti responsabili e vivendo con integrità. Questo don Puglisi lo traduceva anche nelle scelte apparentemente più banali. Non voleva che si girasse all’offertorio tra i banchi a raccogliere soldi perché ognuno doveva sentirsi responsabile della comunità in questo come nelle cose più importanti. E non voleva si dessero soldi a lui, che viveva nella povertà permettendosi solo i libri. E qui abbiamo riscoperto come don Puglisi anzitutto è stato un educatore che metteva al centro la relazione e che così influiva efficacemente e silenziosamente al cambiamento del quartiere di Brancaccio. E i suoi miracoli sono le vite riscattate e risignificate di tanti (e alcuni li abbiamo potuto incontrare, ancora commossi per come don Pino li ha aiutati a trovare un senso della vita). La sua beatificazione dice peraltro, non solo l’incompatibilità del Vangelo con la mafia e con ogni forma di ingiustizia, ma anche che la via delle beatitudini è praticabile. Non sono mancanti in questi due giorni la gioia, il riposo, lo sguardo a posti caratteristici come il castello di Carini o la bellissima cappella Palatina, ma questo ha fatto da cornice alla sostanza che è la vita ripensata nella gioia del bene. E, tornando, l’eco nel cuore di molti è proprio il desiderio di capire come riportare alla nostra vita di ogni giorno i messaggi dei testimoni perché il loro sacrificio sia seme che germoglia. Abbiamo anche sostato davanti alla bara di don Puglisi, siamo stati dove abitava ed è stato ucciso, con il pensiero sempre rivolto alla vita. Come canta il poeta Luzi nel dramma su don Puglisi, la sua è stata «una vita che prende senso dall’essere stata data» e che ripropone a tutti il suo motto, tratto dal Vangelo e posto accanto alla sua tomba: «Sì, ma verso dove? Dare la vita per i propri amici».

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