Saluto al presidente del Tribunale di Modica Giuseppe Tamburini. Di Francesco Puleio, Procuratore della Repubblica

giuseppe tamburiniPuleioCi sono momenti nei quali l’emozione prevale sul ragionamento e diventa più difficile parlare: questo è uno di quei momenti. Io, poi, sono per consuetudine e per inclinazione un oratore d’accusa, abituare a tratteggiare a tinte fosche fatti e personaggi: capite bene che mi trovo pertanto in grande difficoltà in situazioni come queste, dovendo parlare di un magistrato e di un dirigente che per le sue doti personali e professionali, per la sua naturale simpatia, per la sua statura umana, ha conquistato un posto nel nostro cuore. Oggi è un amico che ci lascia ed il mio, il nostro stato d’animo, è combattuto da sentimenti opposti e per certi versi contrastanti: tristezza per un periodo che si chiude, ma al contempo soddisfazione per il meritato riconoscimento che il presidente Giuseppe Tamburini raccoglie andando a presiedere il Tribunale di Ragusa, dopo aver presieduto quelli di Caltagirone e di Modica. Che poi questa è un’altra nota dolente, perché, come sappiamo bene, pende sul nostro bel Tribunale la spada di Damocle dell’accorpamento o, per meglio dire, della soppressione. Questo nostro saluto potrebbe quindi essere soltanto un arrivederci e potremmo tutti ritrovarci a Ragusa, mal comune mezzo gaudio, e sempre sotto le bandiere del presidente Tamburini.

Ma non voglio affrontare argomenti dolorosi e che per di più esulano dall’oggetto del nostro incontro; oggi sento il bisogno di esprimere al presidente Tamburini, all’amico Pino, aldilà delle formali parole di circostanza e dell’inutile spargimento di aggettivi tipico di queste occasioni, la riconoscenza e l’affetto del mio Ufficio e, soprattutto, quello mio personale.

Quando sono arrivato qui Modica, nel settembre del 2009, sono stato accolto proprio dalla affabilità, dalla simpatia, ma anche dallo scrupolo, del presidente Tamburini, perché Pino Tamburini, pur essendo siracusano (non so se lo sapevate, ogni tanto Pino lo ricorda, appena due o tre volte al giorno) unisce alla cordialità mediterranea una precisione a dir poco teutonica. Egli mi ha fatto sentire subito a mio agio, e si è mostrato sempre disponibile, prodigo di consigli, rendendomi meno difficile il compito che mi aspettava. Mi mancheranno le nostre chiacchierate, Pino. Perché dovete sapere che, almeno una volta alla settimana, io scendevo a trovare Pino nella sua stanza al primo piano, per chiedergli consiglio, per esprimere qualche mia perplessità, o semplicemente per scambiare quattro parole, proprio per il piacere di incontrare un volto amico e confrontarmi con una persona che sapevo mi avrebbe comunque – con le sue parole, od anche soltanto con un sorriso od una battuta – consentito di chiarirmi le idee e di procedere con maggiore decisione nelle scelte che mi competevano.

Che poi il presidente Tamburini aveva affinato una tattica consolatoria pressoché infallibile: a qualunque mia perplessità, dubbio, prospettazione di difficoltà, lui faceva fronte letteralmente seppellendomi con altri problemi, enumerandomi le altre disparatissime questioni che lo assillavano, e che, per converso, mi facevano capire come in realtà i miei problemi e quelli della Procura – a fronte dei suoi, di quelli del Tribunale – fossero ben poca cosa. In questo mi ricordava l’infanzia ed una mia carissima zia che, quando veniva a casa il medico per visitarmi, per prima cosa cominciava ad esporre al dottore i sintomi delle sue malattie; dopo, se c’era tempo, si parlava del mio raffreddore e della mia tosse: come che sia, l’effetto di rassicurazione era garantito.

Ma non voglio parlare ancora a vanvera; proverò perciò a dire le cose che più mi premono.

La prima cosa, che prevale sulle altre, è la gratitudine. Il Tribunale, la Procura e tutta la Città di Modica devono molto a Pino Tamburini. Le sue soluzioni organizzative, la sua preparazione professionale, il suo naturale buon senso, la sua rettitudine, il suo essere ‘per natura’ Giudice e Presidente, hanno consentito all’Ufficio di procedere speditamente, facendo fronte, grazie anche ai suoi splendidi collaboratori, ai molteplici problemi che affliggono una piccola sede qual è quella di Modica. E noi tutti siamo sicuri che il presidente Tamburini saprà offrire a Ragusa le stesse luminose prove di ingegno, equilibrio e competenza che ha saputo fornire qui a Modica e che continuerà a rendere, nello svolgimento del Suo alto ufficio, un prezioso servizio alla comunità iblea, tutelandone e valorizzandone quella che a mio giudizio ne costituisce la dote migliore: la capacità di saper coniugare – come poche – l’intensità dei sentimenti e la difesa dei valori della tradizione del nostro Paese, della solidarietà e della famiglia, solide fondamenta su cui edificare il futuro e lo sviluppo di questa società.

Come dicevo, io personalmente sono debitore di Pino Tamburini, non solo per le tante cose che mi ha insegnato e che mi hanno consentito di fare meglio il mio mestiere, ma soprattutto perché egli ha costituito per me un prezioso interlocutore, senza il quale non può operare un magistrato che non voglia essere un giudice solitario e lontano dalle cose del mondo. Con il Presidente Tamburini è accaduto qualcosa che ha del miracoloso. Come tutti sanno non sempre i rapporti tra i Presidenti di Tribunale e i Procuratori sono idilliaci. Non si sa se per il mero decorso del tempo o perché si rincretinisce non appena nominati capi di un ufficio, sia pure minuscolo, i Presidenti e i Procuratori di solito danno vita ad una serie di dispetti, nutriti di piccole invidiuzze e di malintesa affermazione del proprio prestigio, misurato con la lunghezza della macchina di servizio, con il numero di inviti ricevuti dalle persone in vista e con la considerazione goduta in ambienti con i quali sarebbe saggio non avere mai a che fare. Ebbene il presidente Tamburini ed io, che siamo dotati di un robusto senso del ridicolo, non solo non ci siamo lasciati tentare dai puntigli e dalle ripicche, ma abbiamo cominciato a lavorare in pieno accordo alle tante cose di cui i nostri uffici avevano bisogno. Penso che abbiamo messo in piedi una collaborazione, così priva di contrasti e così produttiva, da non trovare l’eguale in tutto il distretto. Certo, siamo stati aiutati dal fatto che avevamo tanto da fare ma, mentre lavoravamo sodo, abbiamo trovato il tempo per prenderci in giro e per ridere dei presuntuosi che ci sono in giro. Interrompere questa consuetudine con Pino sarà una cosa tra le più difficili da sopportare.

È giunto il momento di concludere e di salutare il Presidente con il nostro collettivo abbraccio. Pino, siamo dispiaciuti perché è venuto il tempo di lasciarci, ma, come diceva De André, è meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati. E poi, hai visto mai? Non è detta l’ultima parola. C’è sempre Ragusa che ci aspetta, lì a braccia aperte, dietro la valle dell’Irminio.

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