Sicuramente quando gli storici dovranno riportare sui libri questi ultimi 40 anni della storia politica italiana, avranno molto da ricercare per trascrivere, con distacco e maggiore oggettività, tutto quello che sta accadendo nel nostro Paese. Un periodo complesso, difficile e di grandi scontri istituzionali e sociali, in particolare tra Politica e Magistratura. Credo che i due personaggi politici di cui si parlerà molto saranno due: Craxi e Berlusconi, personaggi molto diversi, ma che risultano accomunati da accadimenti dei quali entrambi sono stati travolti.
1993: l’Italia esce dalla fase del craxismo ed entra nella fase del berlusconismo. Craxi, non lo si può negare, fu, al di là delle sue contraddizioni etiche, uno statista, perché ebbe il senso delle Istituzioni, fu lungimirante, aprì scenari internazionali nei quali riuscì a portare il socialismo italiano a livelli di grande considerazione. Fu decisionista, fece del socialismo l’ago della bilancia della politica italiana, la punta avanzata di un riformismo capace di intercettare i bisogni della società, fu amato ed odiato. Fu, insomma, un leader. E come tale gli italiani gli diedero il consenso, nonostante i molti suoi errori. Si cercava un modo per abbatterlo. Ci pensò il gruppo dei magistrati di “Mani Pulite”, che spazzò via una intera classe dirigente, ad accezione del partito comunista, il PCI di Occhetto.
Craxi fu messo fuori scena dallo “scandalo delle tangenti”, di cui tutti sapevano, Dc, Psi, Pci, Pri, Psdi, Pli, Msi,(partiti nei quali stavano quelli che sono anche i laeders politici di oggi) perché tutti, a vari livelli, compagni di merenda. Di fronte a quel famoso discorso che Craxi fece in Parlamento per portare alla luce il sistema di corruttela di cui si sapeva, tutti si dichiararono “verginelle innocenti” e nessuno ebbe il coraggio di alzare la mano per dire “anche noi sapevamo e facevamo altrettanto”. E così Craxi, di cui molti ricorderanno il lancio di monetine davanti al un hotel romano, divenne il “capro espiatorio”,
pagò per tutti e lui per sottrarsi a quella che sarebbe stata una carneficina nei suoi confronti scappò in esilio. Anche il suo gesto fu oggetto di giudizi politici, molti dei quali ipocriti e intellettualmente disonesti.
E veniamo a Berlusconi. E’ sicuramente un leader carismatico, è un forte comunicatore, parla a braccio con una chiarezza di linguaggio, ma non con lo stile del politico quanto con la mentalità dell’imprenditore. La fase del berlusconismo ha trasformato l’Italia in un’azienda gestita quasi con la metodologia del padrone dell’azienda, e in tutte le aziende private, come si sa, è notoria quella affermazione che tutti conosciamo: qui si fa “quello che dico io, come lo voglio io e quando lo dico io”. E non c’è dubbio che nel privato molte volte questo funziona e porta risultati concreti. Ma in politica questo non è possibile né accettabile.
Berlusconi è in politica dal 1993 e nonostante le sue cadute di stile,è pur vero che la sua mentalità imprenditoriale, trasportata in politica, alcuni risultati li ha prodotti se è vero che una buona parte degli italiani, a fase alterne dal 1993 ad oggi, ha continuato a votarlo: appena sei mesi fa lo si dava per politicamente morto e invece il 30 % degli italiani gli ha riconfermato la fiducia.
Che strano! Tutti contro di lui, nemici interni di partito, opposizione e stampa che conta, e lui vince le elezioni. Che strano! Dall’agosto del 2009 tante chiacchiere su di lui, sui suoi festini con le escort, sul divorzio con la moglie, fino ad arrivare al processo Ruby e lui ritorna a galla con le elezioni. Insomma c’è qualcosa che non va!
Due le cose: o questo 30 % di italiani che gli dà il consenso è matto, privo di senno e plagiato dalle reti televisive di Berlusconi che operano il lavaggio di cervello, oppure qualcosa di buono, che i giornali non dicono, questo signor Berlusconi riesce pure a farla. Se dicessimo che il 30% che ha dato il consenso a Berlusconi è privo di intelligenza, peccheremmo di presunzione perché di questo 30% fanno parte, oltre ai “comuni cittadini” che magari riflettono poco, anche professionisti, ingegneri, docenti, magistrati, avvocati, uomini di chiesa, giornalisti, intellettuali, banchieri, imprenditori, dirigenti ed impiegati della pubblica amministrazione, i quali sicuramente non difettano di intelligenza. Allora non resta che la seconda ipotesi: forse c’è una parte dell’Italia che non gradisce l’uso politico della giustizia e che, al contrario, non si lascia condizionare dalle polemiche e giudica in modo sovrano. Che strano! Se prima del 1993 non si conoscevano, almeno pubblicamente, fatti giudiziari riguardanti il dott. Silvio Berlusconi come imprenditore, dal 1993, quando egli entra nell’agone politico e diventa Presidente del Consiglio, risulta indagato in 41 processi. Insomma Berlusconi dal 1993 ad oggi è stato l’unico personaggio politico in “stato permanente d’indagine giudiziaria”. Avrebbe dovuto mettersi da parte e non l’ha fatto. Tutti gli italiani sanno che per difendersi ha fatto pure ricorso a leggi ad personam, ma lui ha continuato a vincere le elezioni. Veramente strano!
Ma cosa è accaduto in questo ventennio in Italia? Hanno perso tutti il senso morale e della ragione oppure c’è chi ha cominciato a credere che dietro tutto questo si è nascosta una sorta di “caccia all’uomo”? Oppure ad una parte degli italiani è nato il sospetto che si è voluta porre in essere una strategia capeggiata dal alcune procure per abbattere la “fase del berlusconismo”?
La sentenza del 1 agosto non poteva che essere scontata. E’ una sentenza più politica e meno giudiziale, che si fonda, almeno secondo il prof. Coppi, legale di Berlusconi, su un pregiudizio, e sulla deduzione che Berlusconi, che non era neanche rappresentante legale di Mediaset, era il dominus di un sistema truffaldino di evasione e che non poteva non sapere delle fatturazioni false nella sua azienda nel periodo in cui era capo del Governo. I giudici che hanno esaminato le carte hanno certificato questo. Ognuno è libero di credervi o meno e di trarre le sue conclusioni.
Certo è, comunque, che tutta la politica di questo ventennio ha ruotato attorno ad una crociata contro il berlusconismo. Non vanno dimenticate le dichiarazioni di tanti politici di partito e dei relativi tifosi, che hanno definito Berlusconi “il diavolo”, “il capo della cricca”, “il mandante della strage di Capaci”, “un capo mafia”, “il “Mussolini di oggi”, “lo stupratore della democrazia”, “un serpente a sonagli” e la lista si potrebbe allungare; c’è anche chi ha invitato il pubblico, durante trasmissioni televisive (era un prete), a pregare perché Dio mandasse un ictus a Berlusconi.
In un clima del genere, è pura utopia pensare che i 5 giudici della Cassazione siano stati asettici, privi di influenze e che non abbiano risentito degli umori di chi ama o odia Berlusconi. Io credo che di fronte a tanta violenza di linguaggio, si rimane basiti. Le parole non sono neutre e prive di significato.
Certo è, al di là di ragioni e sentimenti, che il popolo italiano va sempre credendo meno non alla giustizia, ma al “modo” con il quale viene fatta nel nostro Paese.
Certo e altresì che “fare il giudice – come diceva Sciascia – è un mestiere terribilmente difficile”. Esistono infatti alcuni nodi problematici fondamentali.
Primo: chi è il giudice? Una figura ieratica, sacrale che, alla stessa strega di un prete che dispensa le leggi divine, dispensa invece le leggi umane dello Stato? O è un uomo con le sue ansie, le sue passioni, le sue idee politiche, i suoi sentimenti , i suoi turbamenti, le sue notti insonni perché sente il peso schiacciante della responsabilità di decidere in una o in un’altra direzione? Secondo: un problema di prassi etica: che tipo di giustizia incarna il giudice? Una giustizia sempre giusta o a volte anche una giustizia ingiusta?
Ognuno tiri pure la coperta dalla parte che vuole, ma una cosa è oggi urgente: c’è bisogno di una giustizia giusta, giusta perché faccia rispettare la legge in modo eguale per tutti, giusta perché possa fare andare in galera dopo che sia stata provata la colpevolezza. Ecco alcuni casi del modo come procede e funziona la giustizia in Italia: l’on Mannino, prima Repubblica, 22 mesi di carcere senza essere colpevole: poi assolto.
On. Cuffaro: indagato per mafia con grossi capi di imputazione: nessun giorno di carcere preventivo, poi condannato e ora, giustamente, in carcere. E ancora: il caso di Sandro Vecchiarelli di Dervio, piccolo paese del Lecchese, che dopo 584 giorni di carcere viene assolto; il caso di un maresciallo dei carabinieri, Gian Maria Doneddu che viene arrestato il 10 giugno 1997 a causa di una trascrizione sbagliata che inseriva erroneamente il suo nome nel verbale di un interrogatorio di un pentito e che dopo un lungo iter nel 2009 è stato scagionato e assolto.Per chiudere la mia osservazione, mi piace, infine, ricordare alcune figure di giudici. Quella del giudice protagonista del romanzo “Gli Dei hanno sete” di Anatole France, scrittore francese Premio Nobel per la letteratura nel 1921.
All’inizio della sua opera il giudice è comprensivo e indulgente, ma via via che si convince di avere una suprema missione di giustizia salvifica, moltiplica le condanne capitali persuaso che nel suo giudicare vengano a coincidere etica, giustizia, interesse dello Stato, amore per l’umanità.
E ancora, come non riprendere la commedia spagnola “Fuente Ovejuna”, del 1612, del poeta e scrittore Lope de Vega. Fuente Ovejuna era una città sotto il tallone di un tiranno che, tra le altre angherie, pretendeva di esercitare lo jus primae noctis. E chi non obbediva , veniva ucciso. Alcuni abitanti del paese un giorno però si ribellano e ammazzano il tiranno. Una volta al cospetto del giudice, i trecento abitanti si dichiarano tutti ugualmente colpevoli. Il giudice non aveva che due possibilità davanti a sé: o decretare la morte dell’intero paese o mandare tutti liberi. Scelse questa seconda soluzione, rifiutandosi di condannare degli innocenti assieme ai veri colpevoli.
E non si possono non ricordare, infine, quei due giudici descritti dal Manzoni, ossia Monti e Visconti, “uomini di cui tutta Milano venerava l’integrità, l’illibatezza, l’ingegno, l’amore per il bene comune , lo spirito di sacrificio e il grande coraggio civile”; ebbene, di questi onesti giudici il Manzoni, nella sua “Storia della colonna infame”, racconta che mandarono a morte, perché colpevoli di essere stati degli untori, degli innocenti, costretti, con atroci torture, ad accusarsi l’un l’altro, al punto tale che uno di loro, stroncato dalla tortura, disse agli aguzzini: “Ditemi cosa volete che io dica”. E i giudici glielo dissero, cosa volevano sentirsi dire. Leggendo La “Colonna infame” del Manzoni viene pertanto da domandarsi che giustizia fosse quella che imboccava al presunto reo la confessione.
Quei giudici, Monti e Visconti, erano due onestissimi giudici chiamati dal Senato milanese a cercare i colpevoli della diffusione di una peste che assolutamente si voleva e si credeva importata in città da nemici esterni. Furono giudici perciò, consapevolmente o inconsapevolmente, politici!
L’OSSERVAZIONE DAL BASSO …. di DIRETTORE. LA CONDANNA DI BERLUSCONI: UNA SENTENZA POLITICA SCONTATA. DALLA FINE DEL CRAXISMO ALLA FINE DEL BERLUSCONISMO?
- Agosto 2, 2013
- 11:56 am
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