I 90 minuti che salvano dall’ictus. La rubrica medica del dottore Federico Mavilla

federico-mavillaL’ictus ischemico è una malattia ad alto rischio di mortalità, ma anche la prima causa di disabilità grave: solo in Italia, un milione di persone convive, infatti, con paralisi invalidanti. Le possibilità di salvarsi e ridurre il rischio di emorragie intracraniche e disabilità gravi aumentano se si interviene entro un’ora e mezza dai primi sintomi. Sopravvivere a un ictus ischemico, arginandone le complicanze, è una questione di minuti, anzi, di 15 minuti. Mortalità, rischio di emorragie intracraniche e disabilità permanenti nel paziente colpito diminuiscono significativamente ogni 15 minuti giocati in anticipo sull’ictus, ecco quindi perché è necessario intervenire quanto più tempestivamente possibile.

Stenosi, trombi ed emboli possono ostruire un’arteria cerebrale, riducendo o annullando la circolazione sanguigna in un’area circoscritta del cervello, che diventa così ischemica: in assenza di ossigeno e glucosio le cellule cerebrali muoiono progressivamente, determinando deficit neurologici più o meno gravi. In fase acuta la trombolisi scioglie questi coaguli, ripristinando la normale circolazione sanguigna.
La maggior parte si verifica tra i 65-70 anni e per ogni decade di età aumenta di 10 volte la possibilità di esserne colpiti. Se l’invecchiamento è un fattore di rischio non modificabile, è però possibile prevenire l’ictus tutelando la salute cardiovascolare. Questi sono i sette fattori di rischio : ipertensione, colesterolo, iperglicemia, obesità, fumo di sigaretta, inattività fisica, dieta non equilibrata. Il miglioramento di questi parametri, anche lieve, abbassa il rischio di avere un ictus entro i prossimi 5 anni.
Si è visto una riduzione di mortalità del 30 per cento in chi è stato sottoposto a trombolisi per via sistemica entro la prima ora e mezza dalla comparsa dei sintomi, rispetto a chi riceve il trattamento dopo tre ore dall’ictus. Riducendo ulteriormente la finestra temporale di intervento, si ha una più bassa incidenza di emorragie intracraniche associate all’uso di fibrinolitici, un migliore tempo di recupero nei pazienti e un diminuito impatto dell’ictus sulle capacità motorie, prima tra tutte la capacità di camminare autonomamente.
Purtroppo solo il 10 per cento dei pazienti riceve un trattamento tempestivo, per il resto, invece, le terapie d’urgenza iniziano entro i primi 90-180 minuti. Per abbreviare i tempi, due le strategie: riconoscere i primi segnali di ictus e chiamare il 118.
E’ fondamentale capire se un amico o familiare è colpito da ictus. In tre passaggi: chiedere di ripetere una frase, per capire se sono presenti alterazioni nel linguaggio, chiedere di sorridere, per individuare paresi facciali (bocca storta, asimmetrie nel volto) e chiedere di stendere le braccia per 10 secondi tenendo gli occhi chiusi, per esaminare la funzionalità degli arti (se un braccio cade o si muove diversamente dall’altro). In presenza di questi segnali occorre chiamare il 118 per l’applicazione del codice ictus. Succede anche che nella maggior parte dei casi ci si reca in ospedale con mezzi propri, penalizzando gravemente la presa in carico del paziente. Ritengo che l’applicazione di un percorso preferenziale e dedicato all’ictus consentirebbe di accelerare i tempi di intervento, infatti l’ambulanza deve portare il paziente non nel centro più vicino ma in Stroke Unit idonee.

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