La lotta alla legalizzazione della cannabis fa bene? Secondo le ultime rivelazioni in arrivo da York, in Inghilterra, non sarebbe così. La notizia racconta di come, dopo che nel 2004 la marijuana è stata riclassificata dalla categoria B a quella C (lo UK Misure Drugs Act introdotto nel 1971 prevede 3 categorie di rischio e C è la più bassa), i ricoveri per psicosi causata dal consumo di cannabis sono diminuiti. Lo afferma uno studio del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di York.
In estrema sintesi ciò significa che il numero di persone che hanno deciso di rivolgersi alle strutture sanitarie competenti della Gran Bretagna per ottenere cure contro la psicosi, numero che era aumentato nel quinquennio 1999-2004, a seguito della riclassificazione della cannabis, e nonostante un lieve aumento dei ricoveri registrato subito dopo l’entrata in vigore della nuova classificazione, è diminuito in maniera netta nel secondo quinquennio osservato dai ricercatori, ovvero quello che va dal 2004 al 2009.
Il fatto ha, dunque, una valenza ben precisa, e testimonia di come probabilmente la miglior lotta al consumo di stupefacenti passi per un processo di legalizzazione progressiva delle sostanze, e non esclusivamente per la repressione. Il mondo sembra che se ne stia accorgendo, e in molti paesi il consumo di cannabis è permesso a fronte di precise norme che ne regolano il consumo.
In Italia la situazione è ancora diversa, e le notizie relative al consumo e al possesso di marijuana sono quasi sempre recepite dall’opinione pubblica con carattere estremamente negativo; la ferrea ed obsoleta legge Fini-Giovanardi, inoltre, non aiuta nemmeno le regioni, come Toscana e Puglia, che stanno inserendo la cannabis terapeutica nei propri sistemi regionali. In Sicilia il Movimento Cinque Stelle ha depositato qualche mese fa in consiglio regionale una proposta di legge per poter attuare il Decreto Ministeriale del 18 Aprile 2007,con il quale l’allora ministro Livia Turco aveva inserito i farmaci a base di cannabinolo nella Tabella II, sezione B delle sostanze stupefacenti e psicotrope.
Emblematico in questo senso è quanto afferma Giuseppe Sutera Sardo, general manager di Sicilcanapa, una società che opera in Sicilia nell’ambito delle coltivazioni di canapa, il quale sostiene che l’ostacolo più difficile che ha affrontato nel suo lavoro è quello di tentare di far capire alle persone quali sono i benefici che può portare nelle loro vite la canapa. La quale, spiega Sutera Sardo, “ha così tanti usi diversi che la Comunità Europea ha deciso di incentivare la sua coltivazione. È un’occasione da non lasciarsi sfuggire, anche perchè l’Italia, in questo campo, non è riuscita a stare al passo con gli altri paesi. Per questo bisogna recuperare il tempo perduto”.
Questa ritrosia nei confronti non solo della cannabis con THC coltivata tramite l’utilizzo di semi di canapa selezionati, la cui legalizzazione, come dimostra lo studio britannico, avrebbe effetti positivi, ma anche nei confronti della canapa senza principio attivo, ovvero quella utilizzata per produrre tessuti, alimenti, vernici, materiale edile e tante altre cose, in Italia è ancora ben presente e difficile da sradicare. Sono in tanti, Sutera Sardo in primis, ad affermare che una mentalità del genere impedisce all’Italia, e a chi in Italia ci vive, di approfittare delle tante qualità che una pianta come la canapa può offrire (comprese quelle terapeutiche) e che già offre a tutti quei paesi che hanno avuto l’accortezza di affrontare il problema e risolverlo tramite una politica di maggiore liberalismo.