Cancro è una parola che incute tanto terrore. Le parole, in verità, non sono neutrali, e vengono percepite in modo diverso a seconda del tasso di negatività che assumono nell’ immaginario collettivo, che le nutre e le accompagna. Io, medico, devo tener presente che l’annuncio di una diagnosi di cancro è traumatico per un’infinità di motivi, alcuni dei quali non dipendono né dal malato, né dal medico, né dalle probabilità più o meno alte di guarigione.
Il cancro, senza dubbio molto di più di altre malattie, prima ancora di far male fa paura. Basta ricordare come i pazienti definiscono la diagnosi di cancro: verdetto, condanna, punizione. Insieme con poche altre parole, cancro è una parola che ha assunto un sovrasignificato, si è caricata di valenze negative che ne superano di gran lunga l’oggettività scientifica, e che raccontano una storia pregiudicata dall’assenza di speranza. L’annuncio è perciò visto come una condanna senza appello. E’ un colpo di fulmine che si abbatte sul malato e lo lascia solo davanti a quella che è spesso la sua più grande e inespressa paura.
Il cancro è un’ipotesi per ciascuno di noi, ed è alla porta di ogni famiglia. Questa consapevolezza, benché rimossa, diventa un’onda di piena quando arriva la diagnosi di cancro. Contro ogni ragionevolezza, contro ogni informazione che il cancro è una malattia via via sempre più curabile e guaribile, il paziente cade in preda all’angoscia. Ecco, quell’entità innominabile che tanto spesso viene esorcizzata con l’espressione “il male del secolo”, è capitata addosso proprio a lui.
Io, medico e uomo, mi specchio in un altro uomo che ha paura, e so di avere il dovere di rassicurarlo, il che non vuol dire illuderlo. Se evito l’uso di una parola divenuta traumatica di per sé, otterrò l’effetto di aprire un dialogo. E insieme cominceremo a giocare una partita difficile ma per nulla scontata, in cui la paura esiste ancora, com’è logico e umano, ma può essere razionalizzata. So benissimo che se io dimostro a un paziente che il suo caso ha il 60 o addirittura il 90 per cento di probabilità di guarigione, il suo pensiero correrà inevitabilmente alla percentuale residua che non ce la farà, ma purtroppo questo fa parte del gioco della vita, e non riguarda soltanto il cancro. Intanto, mentre la partita è in corso, la cosa più necessaria è che il malato non si senta impotente. Deve sapere che può farcela, e che il cancro, preferisco chiamarlo “neoplasia”, che significa “nuova formazione”, è un male curabile e guaribile.
Cancro: che brutta parola !! La rubrica medica del dottore Federico Mavilla
- Settembre 2, 2013
- 8:38 am
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