Italiani “assetati” di giustizia, soprattutto quando in ballo c’è la salute, propria o dei propri cari. Sono sempre di più i pazienti, convinti di essere vittime di presunti errori sanitari, che si rivolgono a studi specializzati in risarcimenti da danno medico, chiedendo di far valere le proprie ragioni. Nell’antica tradizione cinese, se l’ammalato moriva il medico, non veniva pagato. Una consuetudine che tradiva un rapporto puramente commerciale tra paziente e medico, perché sottintendeva che se l’esito era la morte, con tutta evidenza il medico non si era impegnato abbastanza, o non aveva dimostrato la necessaria competenza. Nello stesso tempo, era anche un atto di totale fede e fiducia nella scienza medica: la medicina “doveva” guarire, perché lo “poteva”. Ho pensato che non siamo molto lontani da questo atteggiamento culturale che ci sembra assurdo, quando ho visto lo spot televisivo trasmesso tempo fa, un po’ da tutte le reti, in cui si mostrava uno scorcio inquietante di un pezzo di ospedale, mentre risuonava uno slogan: “Alza la voce se sei vittima di malasanità. Hai tempo dieci anni per chiedere il risarcimento”. Seguono gli indirizzi internet per mettersi in contatto con chi provvederà a fare denuncia e ad avviare la causa.
Essendo medico, sono ben consapevole che qualunque mia critica può apparire espressione di una difesa corporativa. E tuttavia trovo necessario ragionare sul clima di sfiducia che si va instaurando tra i medici e i cittadini, chiedersene le cause, esaminare sino in fondo quali potranno essere le conseguenze, a breve e a lungo termine, della rottura del tacito patto di fiducia tra chi cura e chi viene curato.
Innanzitutto facciamo una prima considerazione: è innegabile che la salute ha conquistato il primo posto nella lista di valori della società, ma mentre è alto il livello di fiducia nella scienza medica (da cui si arrivano a sperare miracoli…) e profondamente elevata la diffidenza generalizzata verso i medici, strumenti operativi di questa scienza. Una volta esisteva un rapporto paternalistico, in cui il medico decideva e il paziente accettava senza obiezioni, mentre ora, e io lo ritengo importante, esiste e spero che persista, il modello di “alleanza terapeutica”, con un paziente informato e libero nella scelta. Ma allora perché è caduto il credito morale che il paziente accordava al medico?
Secondo me, si tratta di una caduta ingiustificata, di una paura che ogni giorno viene smentita dalle centinaia di migliaia di atti medici e d’interventi chirurgici che vanno a buon fine, e dalla lunga e insperata sopravvivenza (in genere con una buona qualità di vita) di milioni di persone che solo qualche decennio fa perdevano la vita per malattie che ora sono sotto controllo, a partire dagli ipertesi e dai cardiopatici.
Non dico che i casi di malasanità non si verifichino, ma sono anche convinto che siano una percentuale minima sul totale degli atti medici, e questo viene confermato anche dal numero delle condanne: su migliaia di processi avviati, pochissimi si concludono con una sentenza che sanziona un caso di malasanità. Ma è urgente restaurare la fiducia. Non solo quella dei pazienti, ma anche quella dei medici nel proprio agire. Ci si può riuscire non tanto nei tribunali, quanto con una rigorosa messa a punto dell’organizzazione ospedaliera, offrendo una eccellente qualità.
E’ bene capire che una medicina che non si propone di giovare ai pazienti, ma che si difende da essi, nel tentativo di coprirsi le spalle contro azioni legali, porterà le compagnie assicurative a fare affari d’oro, e lasciare il paziente e il medico sempre più soli, a fronteggiarsi in una contrapposizione che non ha ragione di essere, e che troppo spesso si nutre di cronache ad effetto.
Errori medici : il paziente fa causa al medico. La rubrica del dottore Federico Mavilla
- Settembre 15, 2013
- 8:45 am
Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa