Il medico ascolta il proprio paziente ? La rubrica del dottore Federico Mavilla

federico mavillaCon profonda tristezza e amarezza devo riconoscere l’evidente e frequente insoddisfazione che provano molte persone, quando devono chiamare il medico di famiglia o lo vanno a trovare per una visita, magari urgente. “Non mi ascolta, non mi lascia dire tutto quello che vorrei”, è più o meno la lamentela. Io credo che tre sono gli elementi essenziali che compongono una buona visita medica e quindi qualificano un bravo medico: l’osservazione, l’ascolto del racconto del malato, la simpatia umana.
Ma è davvero così che si svolge una visita dal medico? Direi, purtroppo a malincuore, che spesso non lo è. La sanità, in verità, rischia di diventare una catena di montaggio, e noi medici abbiamo fretta, sempre più fretta. Già qualche anno fa uno studio europeo stimava in pochi secondi il tempo che intercorre tra l’inizio del racconto del paziente e la prima interruzione del medico, che in genere inizia a parlare magari per formulare subito una diagnosi, mentre si ritiene che siano necessari almeno due minuti per assorbire le informazioni.  E’ vero, frequentemente, il medico interrompe, in continuità, come un conduttore televisivo. E così perfino i pazienti organizzati (quelli che si sono segnati su un foglietto le cose da dire e da chiedere) perdono il filo del discorso, si scoraggiano, balbettano, tacciono. Oh, bene. Adesso che il malato si è azzittito, il medico può parlare, e lo fa. In fretta, naturalmente. Senza risparmio di parole tecniche, che annebbiano ancor più la mente del povero paziente, formula la diagnosi, segna gli esami di laboratorio e le visite specialistiche, sorride (a volte), congeda. Naturalmente non sempre è così, ma la tendenza va in questa direzione.
E’ un errore. Non è questo il medico che serve, e una medicina organizzata su questi ritmi assurdi è per forza inefficace e anche costosa. Inefficace perché non approfondisce e quindi si espone all’errore. Costosa perché inevitabilmente non sceglie un razionale e meditato percorso diagnostico, e preferisce gli esami “a pioggia”. Credo di non aver bisogno di aggiungere che questo medico è il contrario di quello che un paziente desidera.
Ho sempre creduto in quella che io chiamo la ” potenzialità curativa della relazione medico-paziente”, sicuramente l’ascolto è fondamentale per un buon rapporto con il proprio paziente. In effetti i pazienti desiderano parlare con i propri medici anche a volte per esternare le paure più banali e per costruire un rapporto di fiducia; l’ascolto è il primo passo ma è vero che, per esigenze proprie, forse perchè noi medici siamo sovraccarichi di lavoro o forse con troppi pazienti, comunichiamo a volte in fretta e con superficialità, non capendo nemmeno bene quello che il paziente vorrebbe dire, non guardandolo nemmeno negli occhi a volte, finendo per essere meri dispensatori di farmaci e prescrizioni … Ritengo che la prima visita può essere davvero un esordio importante per costruire un rapporto di fiducia, di empatia, per formare una squadra contro un nemico comune.
Se vogliamo fare della buona medicina, bisogna capire che il dialogo è il fondamento della visita medica, e non un suo momento accessorio. Un colloquio aperto di 10-20 minuti, oltre alla visita, tranquillizza, risponde alle aspettative del paziente e apre un canale di comunicazione anche con il pensiero della persona. Una persona che ha dietro di sé un vissuto sociale, problemi familiari, progetti, preoccupazioni.

Già, la persona. Il nostro compito è di occuparci dell’uomo nella sua interezza. Si deve curare il malato, e non la malattia. Il medico osserva, constata per comprendere, al fine di stabilire con il malato un legame basato sulla fiducia.
Esiste un “effetto placebo” costituito dal medico stesso. Il malato sta meglio e si cura meglio se il medico lo comprende e gli ispira fiducia. Io ripeto da sempre che fare il medico non è come fare l’ingegnere, o il notaio, o l’avvocato. Ognuna di queste professioni è gravata di alte responsabilità, ma la professione del medico è diversa, perché è direttamente connessa con i dilemmi dell’uomo, e con le sue paure e la sua sofferenza. Non solo la sofferenza fisica, ma anche quella dello spirito. La malattia isola l’uomo dal proprio progetto di vita, ne mette in forse la continuazione. Il medico è competente sulla malattia, ma deve sapere dal malato come lui vive la malattia e come accetta le cure. Dovrà ascoltarlo con rispetto e con partecipazione, senza voler imporre alcunché, e cercando di arrivare a decisioni condivise.

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