Dopo la tavola rotonda dell’1 giugno scorso sul tema “Ridare colore al sociale: sinergie possibili tra profit e non profit”, l’Avis di Modica, realtà in crescita esplosiva, ha voluto proseguire la riflessione realizzando, presso il Modica Palace Hotel, un secondo momento di formazione, che ha orientato i riflettori su “Le leve strategiche del management aziendale: un confronto fra modelli di gestione e sviluppo del personale del for profit e del non profit”.
L’interessante seminario formativo, tenuto da Federico Spazzoli, Presidente della società di ricerca e innovazione per l’economia sociale Community, ha visto la partecipazione di dirigenti avisini di tutta la provincia, e ha consentito di dare prova dell’influenza che il modello gestionale non profit, e dell’Avis in particolare, può esercitare oggi nei confronti delle realtà produttive mosse dalla logica del profitto.
Dopo il saluto del Presidente dell’Avis comunale, Carmelo Avola, del Sindaco della Città , Ignazio Abate, e dopo l’intervento significativo del Presidente regionale dell’Avis, Salvatore Mandarà, è stata presentata dall’illustre Relatore la ricerca di Community Centro Studi, un lavoro di quasi due anni, che ha coinvolto 38 aziende for profit e non profit di tutta Italia, da Nokia-Siemens a Vodafone, da Alberto Guardiani a De Cecco, da Libera alla Don Puglisi ad Etica Sgr, attraverso interviste a dirigenti, coordinatori e figure aziendali responsabili nella gestione del personale.
Il Relatore ha fatto emergere chiaramente dall’indagine il cambio di paradigma che sempre più contraddistingue le nuove organizzazioni for profit, che tendono a valorizzare elementi tipici del non profit come la motivazione, la creatività e la qualità della leadership, nonché ad applicare alla funzione propria del for profit, fondata prevalentemente sull’innovazione di prodotto, i valori e le metodologie gestionali delle imprese non profit, quali l’innovazione di processo e la qualità della relazione sociale e interpersonale.
Nel corso del dibattito, nel quale sono emerse numerose domande e sollecitazioni, Gian Piero Saladino, responsabile per la comunicazione e formazione dell’Avis provinciale di Ragusa, ha messo in evidenza come “anche la formazione nelle imprese for profit tende a privilegiare elementi “soft”, legati al modello manageriale spesso praticato inconsapevolmente dal migliore volontariato sociale, piuttosto che elementi “hard” di natura gerarchico-funzionale, che hanno caratterizzato le logiche di profitto a breve perseguite dalle imprese che hanno scelto, durante il trentennio del “pensiero unico liberista”, di investire sulle tecnologie senza investire anche, contemporaneamente, sugli uomini e sulla loro formazione e relazione”.
Egli ha altresì sottolineato la “possibilità e opportunità di sviluppare, al di là della mera funzione di raccolta del sangue, indispensabile supporto per la sanità pubblica anche in Sicilia, una nuova e più marcata consapevolezza del potenziale culturale e organizzativo che segna la vita delle associazioni di volontariato qualificate come l’Avis, mettendo a disposizione di imprese spesso in crisi una rinnovata sensibilità per le risorse umane e le relazioni sociali, un patrimonio reputazionale ormai raro nei contesti della corruzione pubblica e privata, nuove proposte di modellizzazione dei sistemi organizzativi del lavoro, meno competitivi ma più performanti e flessibili, come quelli che vigono nel migliore volontariato”, unitamente a ciò che Federico Spazzoli ha ineccepibilmente definito come “profonda conoscenza del territorio” e “presidio di legalità ” che, specie in Sicilia, costituiscono deterrente prezioso alla devianza sociale e criminale
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“A fronte di ciò – ha aggiunto Saladino – le imprese sociali e le associazioni di volontariato come le Avis, possono legittimamente chiedere alle realtà profit, e serenamente anche alle pubbliche amministrazioni, fiducia e identificazione positiva, sostegno “politico” disinteressato e sostegno “economico”, sia materiale (sponsorizzazioni tramite Fund Raicing) sia immateriale (volontariato d’impresa, competenze professionali a titolo gratuito, sinergie di rete per il rafforzamento del capitale sociale sui territori, etc.), e che in nome di un’antropologia personalista e di un management umanizzante, superino la pretesa che il volontariato svolga solo una funzione di supplenza all’indifferenza del mercato e all’impotenza del pubblico, e ne metta in gioco esperienze e competenze che, nell’età della crisi, tornano “di moda” anche nelle grandi imprese multinazionali.
Come ha ricordato Federico Spazzoli, oggi che “sono finiti i soldi”, i modelli organizzativi e le prassi del non profit – come una volta nei “Civic” kennediani e nelle comunità olivettiane – possono essere leva strategica e risorsa in più per salvare e far crescere, in modo nuovo, l’economia profit del mercato globale.