Purtroppo per le coppie che scoprono o sospettano un problema di fertilità, oltre al trauma di una diagnosi indesiderata e al timore di non poter mai diventare genitori, esiste l’oggettiva difficoltà a orientarsi nel labirinto della medicina riproduttiva. Pubblico o privato? Preferire l’ospedale vicino o mettersi in viaggio? Fidarsi del primo parere o chiederne altri? Si sta sviluppando in merito a questo problema, il disorientamento delle coppie di fronte all’offerta terapeutica, un particolare fenomeno, noto come ‘doctor shopping’: il malato consulta per il medesimo problema più specialisti, andando a cercare la cura come se fosse una merce, creandosi, quindi, un costo enorme sul piano emotivo per il paziente, per il medico e per la società. Che fare allora? Come muoversi?
Ho sempre manifestato piena ed ampia fiducia alle strutture sanitarie pubbliche, ecco perché, quindi, se fossi una coppia infertile, privilegerei quando è possibile un centro pubblico, infatti intraprendendo il percorso con il Sistema Sanitario Nazionale, si spende meno, spesso la casistica è consistente ed è un segno di esperienza. Purtroppo però la realtà è fatta di risorse limitate, liste d’attesa lunghe, donne che per età non possono permettersi di aspettare. Infatti, l’età media di chi ricorre alla procreazione medicalmente supera i 36 anni, non solo, ma più della metà dei centri idonei a questa terapia sono privati non convenzionati con il Ssn.
E’ importante cercare di capire quali centri offrono i risultati migliori, avere dati oggettivi è spesso impossibile e quando ci sono ci si deve fidare di quanto comunicano i centri stessi, dato che non esistono controlli terzi. E’ importante, allora, cercare informazioni utili.
Potrebbe essere utile chiedere innanzitutto al medico di base, al ginecologo o all’andrologo. Esistono anche le associazioni di pazienti, soprattutto donne, ma è meglio cercare quelle che non sono legate a un centro di cura; alcune sono molto valide e fanno un lavoro importante anche dal punto di vista sociale e legale. Consultare internet è un’ottima idea, purché si mantenga sempre il senso critico e si comprenda chi sta dietro le informazioni lette.
Molte sono le coppie che attraversano i confini per sottoporsi a cure. Ma bisogna stare attenti alle differenze enormi fra la vecchia Europa occidentale, forse cinica, ma spaventata dai tribunali, quindi attenta a muoversi sempre con responsabilità e controllo, e l’Europa dell’Est, in cui i prezzi sono bassi ma non sempre ci sono le garanzie necessarie e i centri si accendono e si spengono come lampadine.
Eviterei di andare da chi è sempre in tv, da chi non fa che propagandare il proprio centro. E’ una medicina commerciale che tende a sfruttare la sofferenza. La gente ha spesso una cattiva percezione della tecnica e sottovaluta il peso del laboratorio. Fra un biologo e un medico, il primo è più importante ai fini della riuscita, ma i pazienti non lo sanno, nessuno glielo dice.
E’ una scelta che va fatta con calma, in maniera meditata. Fondamentale è capire che la medicina della riproduzione è un ambito in cui i pazienti hanno bisogno di lunghe conversazioni, perché è un luogo dove impera la delusione, fatto di tecniche poco generose. Si deve sapere che si sta intraprendendo una strada che potrà mettere profondamente in discussione anche come coppia.
Abbandonare un centro perché è fallito un tentativo è sbagliato. Bisogna tenere conto che in medicina si impara dall’errore: al primo colloquio, a una donna che chiede “che possibilità ho?”si risponde con una mediana di una curva di Gauss basata sull’età. Al secondo, dopo un ciclo di trattamento magari andato male, questa risposta sarà basata anche sulla risposta ovarica, quindi più attendibile. Al contrario, abbandonare un centro perché nessuno ti ha parlato, ti sei sentito un numero, il medico aveva fretta durante il colloquio è giusto. Se io andassi da un medico che guarda l’orologio uscirei senza neppure spiegargli il perché.
Ci vuole più serietà (e ce n’è poca), più compassione (e ce n’è pochissima) e poi forse più attenzione da parte dell’Ordine dei Medici Dovrebbe essere una medicina basata su piccole virtù, la capacità di ascolto, l’informazione del paziente, che ha diritto di sapere perché ha diritto di scegliere. La compassione, in particolare, è un sentimento fondamentale nell’esercizio della professione medica. Non si impara all’università e non può essere sempre autentica, ma se talvolta risultasse vera, allora sì che saremmo dei buoni medici.
Una strada per avere un figlio: la fecondazione assistita. La rubrica del dottore Federico Mavilla
- Gennaio 29, 2014
- 7:54 am
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