A colpi di dichiarazioni e pubblicazioni, rendendo noti i dati di indagine, ognuno sta cercando di rendere inconfutabilmente certa la propria opinione circa la dannosità e pericolosità per l’organismo dell’imaging cardiovascolare. Di recente sulla questione sono intervenuti illustri personaggi della cardiologia europea e nostrana a ribadire quanti e quali sono i rischi per la salute che questo tipo di esami invasivi possono provocare sugli individui nelle fasi di accertamento diagnostico. Sotto la lente quindi sono finiti i cardiologi che secondo un documento redatto dalla Società Europea di Cardiologia “dovrebbero sapere –si legge- quali dosi di radiazioni comportano i controlli prescritti ai pazienti”. Sulla spinosa questione sollevata in queste ore abbiamo sentito l’illustre professor Filippo Cademartiri, a capo di una delle prime strutture in Italia ad utilizzare nella Casa di Cura Giovanni XXIII di Monastier di Treviso, la non invasiva Tac a 128 strati, nonché professore presso l’Università di Rotterdam.
Professore, il ricercatore pisano Eugenio Picano, primo firmatario dell’articolo apparso sull’European Heart Journal, di recente ha dichiarato che spesso i cardiologi non conoscono le dosi di milliSievert erogate ai pazienti e i rischi connessi agli esami. Lei che ne pensa?
Da un lato credo che i medici che prescrivono indagini con uso di radiazioni ionizzanti dovrebbero sapere cosa comportano questi stessi esami; che siano cardiologi o altri specialisti. Dall’altro è mestiere del Radiologo gestire le radiazioni ionizzanti. Ovvero, stabilire se l’indagine sia coerente al quesito clinico e se sia necessario impiegare radiazioni ionizzanti o si possa ottenere la stessa informazione con metodi che non richiedono radiazioni.
Troverebbe dunque ragione e fondamento preferire la non invasiva Tac a 128 strati che di milliSievert ne dispensa pochissimi da (1 a 5 mSv) nel corpo dei pazienti sottoposti ad indagine cardiovascolare in confronto ad una angiografia coronarica con Tac a 64 strati in cui la dose media di radiazioni erogate si aggira sui 15 mSv, pari a circa 750 radiografie al torace.
Assolutamente si. L’impego di tecnologie più aggiornate abbinato, è bene sottolinearlo, alla perizia degli operatori, consentono di utilizzare la minor dose possibile a beneficio della diagnosi e del paziente.
Sarebbe opportuno comunque erogare e dosare la giusta quantità di raggi a seconda delle reali esigenze patologiche dei singoli.
In effetti, è proprio così. Ovvero, non esiste una dose di radiazioni ideale per tutti. E’ il bilancio globale tra la necessità di ottenere un’informazione con i metodi che servono per ottenerla e i potenziali rischi connessi. D’altra parte quando assumiamo un farmaco ci assumiamo anche un rischio che però è bilanciato dagli effetti del farmaco stesso. Ci sono informazioni che è necessario avere e l’unico modo per ottenerle in modo affidabile è con radiazioni ionizzanti. In più esiste una variabilità individuale che richiede aggiustamenti nelle procedure di indagine. Ad esempio i pazienti di stazza più grossa o con aritmia richiedono maggiori radiazioni, oppure nelle donne sotto i 40 anni e nei giovani bisogna fare di tutto per usare la minima dose necessaria.
Non ritiene che in ogni caso, per correttezza deontologica, il paziente dovrebbe essere informato sulla quantità di raggi che gli saranno erogati, prima e dopo l’esame di imaging cardiovascolare?
Questo è un punto importante. Tuttavia, negli Stati Uniti alcuni anni fa era sorta una proposta di mettere l’esatta quantità di radiazioni utilizzate; questo però induceva da un lato i pazienti a scegliere un centro piuttosto di un altro solo in base a questo parametro e dall’altro i centri diagnostici ad usare dosi di radiazioni molto basse a scapito dell’affidabilità diagnostica. Questo proposta è stata quindi abbandonata. L’affidabilità di un Centro con i suoi medici e le sue apparecchiature si misura sia sulla capacità di eseguire indagini con dosi basse ma anche con l’affidabilità del risultato dell’esame. Per intenderci, il sale si dice che faccia male alla pressione, ma se non metto almeno un po’ di sale nell’acqua, la pasta sarà immangiabile. In ogni caso è giusto informare il paziente sui rischi delle radiazioni ionizzanti. D’altra parte questo avviene di routine con il consenso informato all’esame che contiene queste informazioni, come anche quelle riguardanti i rischi legati alla somministrazione del mezzo di contrasto.
Riproduzione riservata.
I milliSievert, i raggi che se assorbiti in grandi quantità provocherebbero il cancro. A cura di Giannino Ruzza
- Gennaio 31, 2014
- 11:38 am
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