Il Riesame dissequestra i computer del giornalista modicano Antonio Di Raimondo. Riconosciuto il segreto professionale

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Il Tribunale del Riesame di Ragusa annulla il sequestro del computer del giornalista modicano Antonio Di Raimondo disposto dalla Procura: “Atto che non si doveva fare perché lesivo della libera informazione giornalistica”. Nella sentenza di quasi 5 pagine, chiariti i motivi che rendono nullo il provvedimento disposto dal procuratore capo Carmelo Petralia con tanto di perquisizioni e sequestro. Annullate di fatto le differenze tra giornalista professionista e pubblicista dinanzi all’autorità giudiziaria in tema di riservatezza della fonte giornalistica

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Un caso che fa giurisprudenza e invita alla prudenza! Il Tribunale del riesame di Ragusa (Vincenzo Saito presidente, Antongiulio Maggiore ed Elio Manenti giudici), a seguito dell’istanza di ricorso avanzata dall’avvocato e difensore di fiducia Salvatore Giurdanella, ha annullato il sequestro del computer e di altra documentazione cartacea disposta dal procuratore capo di Ragusa Carmelo Petralia a carico del giornalista e direttore del Corriere di Ragusa.it Antonio Di Raimondo, ordinando l’immediata restituzione del materiale il 4 luglio scorso. L’ordinanza è stata formulata in quattro pagine e mezza, ma nella sintesi il Tribunale ha ritenuto il sequestro del computer, avvenuto dopo le perquisizioni della sede del Corriere, in via Paolo Borsellino a Ragusa, della vettura e dell’abitazione dei familiari del giornalista, “una significativa ed illegittima interferenza sull’attività giornalistica dell’indagato, perché consente agli inquirenti di conoscere le fonti del giornalista anche con riferimento a fatti estranei al procedimento”.

TUTTO HA AVUTO INIZIO DOPO L’ARTICOLO SU UN FINANZIERE INDAGATO

La vicenda e i tanti articoli giornalistici, come si ricorderà, scaturirono dalla mega inchiesta sulle invalidità civili e sulla presunta truffa all’Inps condotta dalla Guardia di finanza di Ragusa e dalla Procura della Repubblica. Inchiesta denominata “Guido Tersilli”, che vede tuttora oltre 200 indagati fra politici, medici, amministrativi e un militare della Guardia di finanza di Ragusa. Il giornalista Di Raimondo, come il sottoscritto su questa testata giornalistica e sul Giornale di Sicilia, tornò più volte sulla notizia, specificando, come accaduto per gli altri indagati, che anche un finanziere era coinvolto nell’indagine. Due ore dopo la pubblicazione dell’articolo fu convocato negli uffici giudiziari e indagato per concorso in rivelazione di segreti d’ufficio, subendo una settimana dopo la perquisizione e il sequestro del personal computer.

UN ECCESSO PALESE AI DANNI DEL GIORNALISTA E DELLA PROFESSIONE

Il Tribunale del riesame, nell’ordinanza di dissequestro, sottolinea più volte l’eccessività del provvedimento nei confronti del giornalista, riportando numerosi riferimenti a sentenze della Cassazione per fatti che presentano parecchie analogie con il caso del Corriere di Ragusa.

Emerge, nei particolari della disposizione del Tribunale, “che nel provvedimento di sequestro probatorio del corpo di reato non è sufficiente la mera indicazione delle norme di legge violate, ma occorre anche che sia individuato il rapporto diretto tra cosa sequestrata e delitto ipotizzato, e che, quindi, siano descritti gli estremi essenziali di tempo, luogo e di azione del fatto, in modo che siano specificati gli episodi in relazione ai quali si ricercano le cose da sequestrare. Nel caso di specie è solo indicata la norma che si assume violata, l’art. 326 del codice penale (rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, ndr), senza che però sia data indicazione di quale sia la notizia d’ufficio che doveva rimanere segreta e che, invece, sarebbe stata illegittimamente rilevata e quale sia stata la condotta illecita ascrivibile all’indagato”.

I DIFETTI PALESI DEL PROVVEDIMENTO DI SEQUESTRO DELLA PROCURA

I giudici del Tribunale del riesame, inoltre, mettono in risalto il fatto che il computer è stato rinvenuto a Modica, nell’abitazione dei familiari del giornalista, luogo diverso da quello indicato nel decreto di perquisizione, ovvero la sede legale del Corriere, a Ragusa. Tale circostanza, ribadisce il Tribunale “avrebbe imposto la convalida del provvedimento cautelare, giacché trattasi di sequestro compiuto su autonoma iniziativa della Polizia giudiziaria, che è tuttavia mancante”.

UN CASO CHE FA GIURISPRUDENZA IN PROVINCIA DI RAGUSA

Un caso che fa giurisprudenza, dicevamo all’inizio, e che fa chiarezza anche sulle differenze tra giornalista professionista e giornalista pubblicista in tema di rivelazione della fonte delle notizie all’Autorità giudiziaria. Infatti, nella sentenza si cita la Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale sostiene che “la liberta d’espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e le garanzie da accordate alla stampa rivestono una importanza particolare (Cedu, Grande Camera, senza del 14 settembre 2010). A tal fine il diritto del giornalista di proteggere le proprie fonti fa parte della libertà di “ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche”. Detto questo, il provvedimento di un’autorità giudiziaria, si spiega, che “dispone il sequestro di materiale posseduto da un giornalista, può costituire una violazione della liberta di espressione garantita dalla Convezione, anche perché pregiudica la futura attività del giornalista e del giornale la cui reputazione sarebbe lesa anche agli occhi delle future fonti”.

GIORNALISTI PROFESSIONISTI E PUBBLICISTI: NESSUNA DISTINZIONE

Professionista e pubblicista, diversi all’Albo, uguali di fronte all’autorità giudiziaria. Entrambi hanno diritto ad appellarsi alla riservatezza delle fonti di informazioni. Il Tribunale, si legge nella sentenza, “ritiene che, ancorché l’articolo 200 del codice di procedura penale faccia riferimento al segreto opposto dal giornalista professionista, le tutele previste da tale norma e il procedimento disciplinato dall’art. 256 cpp devono trovare applicazione anche nel caso di giornalista pubblicista”. Si privilegia, dunque, il diritto alla libertà di espressione e il legittimo svolgimento della attività giornalistica, non certamente l’appartenenza all’Albo dei giornalisti professionisti o a quello dei pubblicisti. “L’interpretazione costituzionalmente orientata dall’art. 200 c.p.p. – sostiene il Tribunale- impone di estendere anche ai giornalisti pubblicisti le tutele al diritto alla libertà di espressione”.


SODDISFATTO L’AVVOCATO SALVATORE GIURDANELLA DEL FORO DI MODICA

L’avvocato Salvatore Giurdanella del foro di Modica, difensore di fiducia di Antonio Di Raimondo ed estensore dell’istanza di ricorso accolta in pieno dal riesame, si ritiene pienamente soddisfatto del provvedimento del collegio, che, oltre a fare giustizia, crea un precedente giurisprudenziale in questo delicato e complesso settore anche in provincia di Ragusa, ribadendo il sacrosanto diritto dovere di cronaca e la tutela delle fonti per tutti i giornalisti, senza distinzione alcuna tra professionisti e pubblicisti, punto sul quale aveva invece fatto tra le altre cose leva la procura, disponendo un sequestro che non si sarebbe mai dovuto verificare per le motivazioni fin qui evidenziate.

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