Il Tribunale del Riesame di Ragusa(Ignaccolo, Infarinato e Schininà), ha accolto i ricorsi dei difensori dell’imprenditore ragusano, A.L., 63 anni, e ha ordinato l’immediata restituzione di tutto quanto in sequestro. Denaro, assegni, titoli di credito, documenti attinenti all’attività imprenditoriale e personal computer oggetto dei sequestri, sono stati quindi restituiti all’indagato, legittimo proprietario. L’uomo fu colpito da plurimi provvedimenti di perquisizioni e conseguenti sequestri di somme di denaro, titoli e documenti, con ovvio nocumento all’immagine dell’indagato.
Le anzidette operazioni, furono effettuate presso il domicilio e altri luoghi nella disponibilità dell’indagato e culminarono, tra gli altri, nel sequestro presso un’agenzia bancaria di Ragusa di somme di denaro di rilevante entità. Erano state ipotizzate connivenze tra l’indagato e il Direttore dell’Agenzia, addirittura rimosso in via cautelare dal suo incarico. Si parlò anche di un vigoroso intervento della Banca d’Italia. Furono ripetute perquisizioni presso il ristorante ove l’indagato era solito pranzare, nonché su altre operazioni eseguite dalla Guardia di Finanza su disposizione della locale Procura della Repubblica, con l’ausilio di unità cinofile fatte giungere appositamente dal campo di addestramento di Siracusa e della sezione artificieri dei Carabinieri di Catania, a seguito delle quali era stato setacciato ogni angolo della proprietà dell’indagato.
Il tutto sulla base di un’ipotizzata responsabilità dello stesso per i reati di associazione per delinquere e di riciclaggio!
“Abbiamo da subito contestato, con gli strumenti che il codice di rito attribuisce ai difensori – spiegano gli avvocati Giusy Micieli e Daniele Scrofani – la fondatezza della grave misura patrimoniale ricorrendo dapprima al Tribunale del Riesame di Ragusa e successivamente alla Corte Suprema di Cassazione, che annullava i provvedimenti di sequestro con rinvio al Tribunale per un successivo e più compiuto esame”.
Il Tribunale, allo stato degli atti, ha escluso anche la “astratta configurabilità” delle ipotesi delittuose di cui agli artt. 416 c.p. (associazione per delinquere) e 648 bis c.p. (riciclaggio), contestate all’indagato.
A fondamento del decisivo provvedimento la radicale carenza di indizi “non essendovi elementi dai quali desumere la natura delittuosa dei beni in possesso del suddetto indagato”; ed ancora, scrive il Tribunale: “a tale conclusione conducono, altresì, le specifiche giustificazioni offerte dalla difesa in merito alle possidenze della persona indagata, che consentono di escludere il fumus del delitto contestato”.