La crisi mondiale che dal 2007 ad oggi ha devastato l’economia di tutti i paesi industrializzati,ha ulteriormente accentuato il divario tra le potenzialità delle imprese operanti nelle regioni settentrionali e quelle del mezzogiorno d’Italia. Se ancora una volta,volessimo affrontare le ragioni di tale divario in maniera ipocrita,come facciamo noi meridionali da decenni,potremmo parlare della nostra penalizzazione geografica rispetto alle regioni del nord;potremmo continuare a giustificare la nostra minore crescita delle imprese per la presenza delle organizzazioni malavitose;
potremmo persino imputare ogni responsabilità alla nostra classe politica regionale, incapace di supportare l’attività delle nostre imprese con leggi che dessero adeguato respiro alla progettualità.
Rimanendo ancorati a queste concezioni, di certo non si fa il bene di nessuno, poiché pur essendoci della verità negli alibi che abbiamo sostenuto per decenni,il vero problema di fondo risiede in altre verità che non vogliamo ammettere nemmeno con noi stessi, continuando a trascinarci problemi le cui soluzioni oggi sono divenute improcrastinabili, pena la scomparsa di molte nostre imprese.
A qualcuno questa mia analisi potrà sembrare catastrofista ma basterà riflettere su alcuni dati per comprendere invece che è quanto mai realistica. Tra il 2007 e il 2013 il Mezzogiorno ha perso 47,7 miliardi di euro di Pil. Nel 2013 il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di dieci anni fa; negli anni di crisi 2008–2013 i consumi delle famiglie sono crollati quasi del 13%, gli investimenti nell’industria addirittura del 53%, i tassi di iscrizione all’ università tornano ai primi anni 2000 e, per la prima volta, il numero di occupati ha sfondato al ribasso la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977. La crisi degli ultimi otto anni non ha graziato nessuno ma è certo che il meridione d’Italia abbia pagato un prezzo più alto di altre Regioni. Vogliamo chiederci perché ?
Noi meridionali, è noto da sempre, eccelliamo per diffidenza ed individualismo, caratteristiche che rendono difficile il concretizzarsi di forme societarie che oggi più che mai agevolerebbero la crescita e la conquista di nuovi mercati internazionali di cui c’è assoluto bisogno, data la minore capacità di spesa delle nostre famiglie.
Ancora oggi però, malgrado da più parti s’invochi la necessità del ricorso all’associazionismo, sebbene molti imprenditori comincino a riconoscere che non creando sinergie in ambito settoriale, si rischia la scomparsa dell’impresa, nulla che sia degno di nota si muove in questa direzione.
I prossimi anni saranno decisivi perché anche se la crisi attenuerà la sua morsa, il mercato di riferimento per le imprese non è più quello regionale e neanche quello nazionale bensì quello europeo. Da soli però non si va da nessuna parte per un problema di scarsa competitività , pertanto o si capisce in fretta che solo certi processi possono salvare dalla chiusura o dalle nostre parti le imprese avranno sempre meno respiro sul mercato.