L’impressione che la classe dirigente (?) italiana non avesse chiara la gravità della situazione economica nazionale era nella mente degli italiani. Un Parlamento che, non solo non si dimezza il lauto stipendio malgrado le tasse che continua a imporre sugli scarni emolumenti degli italiani, ma continua a perdere tempo in inutili discussioni, al solo scopo di logorare il premier che si è permesso di imporre loro un’agenda di lavoro; consigli regionali che non solo non si dimezzano gli assurdi emolumenti che si sono assegnati, ma si deliberano incredibili rimborsi elettorali,
e su di essi persino rubano altre forme di guadagno; i grandi rappresentanti delle più nobili istituzioni dello Stato che si rifiutano di vedere diminuiti stipendi dorati in nome di diritti quesiti; pensionati ricchissimi che non pensano minimamente a chi prende 300 o 500 euro di pensione e, con questi, deve sostenere la famiglia. Adesso la conferma alla incapacità delle alte cariche dello Stato a capire la gravità della situazione economica viene proprio dal programma salva Italia del governo. D’altronde, abbiamo sempre sostenuto, come potrebbero i parlamentari capire le condizioni economiche degli italiani intascando 18.000 euro al mese più l’emolumento per il portaborse e altri benefit, che è meglio non sapere? O come potrebbero capirle i parrucconi che siedono nelle grandi istituzioni della nazione e giudicano e mandano secondo che avvinghiano? Hanno trovato il principio dei diritti quesiti e le cose non debbono cambiare. Ci sono manager che guadagnano 2, 3, e perfino 4 milioni di euro all’anno: Moratti, Tronchetti Provera, Marchionne e tanti altri. Si tassino al 75%, come avviene negli USA. E che dire poi dei manager pubblici? Ce n’è stato uno che all’idea di avere ridotto il suo ricco emolumento a minacciato di andare all’estero; e siccome era, quanto meno Einstein, è stato destinato a un più alto incarico, con uno stipendio più alto. Questa è l’Italia? Vale o no in Italia il principio che deve pagare chi ha i soldi? Perfino i dipendenti dei due rami del Parlamento hanno emolumenti scandalosi: la gente si chiede come sia stato possibile dare 406.000 euro al segretario generale della Camera dei deputati, 170.000 al segretario, 180.000 agli stenografi, 160.000 ai documentaristi, 115.000 ai segretari e ai coadiutori, 100.000 ai collaboratori tecnici. Ma siamo impazziti! E quanto date ai professori universitari, di liceo etc ? E protestano, per giunta! L’Italia muore, ogni giorno un po’, ma loro non se ne accorgono, o, se se ne accorgono non se ne preoccupano: loro stanno bene!
Ma la delusione oggi rischia di venire da chi era la speranza degli italiani. Proprio da Matteo Renzi. Egli propone un governo di 1000 giorni al termine del quale vuole essere giudicato. Matteo, non ci interessa in questo momento il giudizio su di te. L’abbiamo dato, l’abbiamo dato positivo; ora vogliamo i risultati. E nel progetto salva Italia i risultati economici non ci sono.
Matteo, alla Leopolda eri dotato di idee rivoluzionarie e di un coraggio da leone: e una determinazione che è la sostanza della tua personalità. Gli italiani ti hanno premiato nelle primarie del partito. Divenuto segretario hai rinunciato a gran parte delle idee rivoluzionarie ma ti è rimasto il coraggio che ti ha spinto a cacciare il povero Letta che procedeva con il passo prudente del doroteo. Ma a palazzo Chigi hai perso anche il coraggio. Che ti resta? La determinazione: andare veloce, ma dove? Certo, hai fatto delle cose buone: la fine del precariato nella scuola, l’autorizzazione alle perforazioni nel mare, in particolare nel Mediterraneo che Mattei aveva già definito un grande pozzo di petrolio, l’abolizione delle province, anche se la gente non ha capito che significa cambiargli nome; ma restano molte, troppe cose da fare. Soprattutto per la ripresa. Tu dici: giudicatemi alla fine dei mille giorni. Ma gli italiani non hanno questa grande voglia di giudicarti. Quella appartiene ai politici e ai giornalisti. Gli italiani anelano, dopo otto anni di crisi, con una recessione non più latente, ma presto galoppante, ad uscire dalla crisi. Questa è la loro aspirazione, del resto se ne infischiano. E fra mille giorni, nella miseria che si annuncia, credi che il popolo abbia veramente voglia di farti il processo? Purtroppo devo dirti, mio malgrado, che non ci sarà bisogno di tanto tempo. Bensì, molto prima, i risultati di questa azione annunciata nel decreto travolgeranno l’Italia e il tuo governo. Perché? Tu lo sai. Forse non lo valuti abbastanza. Mi permetto ricordarti quale è la condizione dell’Italia in questo momento. La malattia è rappresentata da: !. la recessione: PIL in discesa e deflazione; mancanza di investimenti e continua chiusura di imprese; 2. Il debito pubblico: 135% sul PIL; è il vero danno, il peso insostenibile che trascina in fondo la nazione; e ci divora 80 miliardi l’anno e che, paradossalmente, continua a crescere. Ma non c’è la spending revue del tuo predecessore, professore alla Bocconi? Se invece di revisione della spesa avesse parlato, in italiano, di taglio della spesa, non sarebbe stato molto meglio? Con la sua spending siamo invece all’aumento della spesa! Grottesco, vero? 3. La eccessiva tassazione che divora le entrate dei cittadini, soprattutto il cuneo fiscale che deprime la capacità di investimento delle imprese. Poi ci sono mille altri problemi frutto di banali o maliziosi errori del passato: il costo dell’energia elettrica conseguente a un improvvido referendum sul nucleare; il rapporto imprenditore-lavoratore, ancora vincolato a una condizione economica e a rapporti sociali non più esistenti; il costo della burocrazia, cui stai per mettere mano. Le conseguenze di questa situazione sono: a) una disoccupazione allarmante: il 12%; spaventosa poi quella giovanile; 2. mancanza di liquidità che ha ridotto visibilmente la circolazione monetaria; 3. e, quindi, continua riduzione dei consumi, che deprimono la produzione e, in conseguenza, il lavoro; quindi chiusura di imprese e negozi, con ulteriore diminuzione del Pil e aumento della disoccupazione. In questo stato di cose quello che occorre, prima di ogni altra, è il rilancio della produzione, industriale soprattutto, ma anche agricola. Ovviamente occorrono investimenti. Ebbene, ritieni tu di poterla operare con 10 miliardi di investimenti? Non credo. Matteo, tu sei un poco come De Gasperi: di economia non capiva molto. Ma, accanto a sé aveva, prima Luigi Einaudi, poi Vanoni, Fanfani, La Pira, Mattei. E fu miracolo economico. Io non so chi hai tu a consigliarti in economia. Ma non credo che ti possano dire che con 10 miliardi rilanci la produzione. Te l’ho detto un’altra volta: ci vuole un grande piano di lavori pubblici, che stimolino la produzione industriale, la quale dovrà assumere operai, che guadagneranno uno stipendio, che andrà ad ingrossare la massa dei consumi, ad accrescere la domanda e ad alimentare ancor di più produzione, occupazione e circolazione monetaria. Si chiama circolo virtuoso. Fuori da questo indirizzo non c’è futuro per l’Italia. Hai detto alla “festa de l’Unità”: “Ci dicono di prepararci ad un autunno caldo, non voglio sottovalutare le difficoltà dell’Italia e non le sottovaluto. Faremo scelte difficili, non temiamo responsabilità, avremo il coraggio di rischiare e anche di chiedere scusa ma nessuno può fermare il cambiamento. Il futuro non è una minaccia». Matteo, il futuro è un pericolo e quindi una minaccia. Non lo sottovalutare. Tu lo sai, la società capitalistica è sostanzialmente ingiusta: pochi ricchissimi e tutti gli altri poveri. Abbiamo il dovere di correggerla limitando i privilegi e sostenendo i deboli. Questa è la rivoluzione democratica che ti chiede la nazione. Questo è il vero cambiamento, che tu proclami ogni giorno, cumulando molte, troppe questioni; Importanti, sia ben chiaro, ma oggi non così urgenti. Perciò, fa le scelte difficili: 1. o con l’accordo dell’Europa o senza il suo assenso, sfora il patto; solo così potrai procedere agli investimenti necessari per rilanciare l’economia. L’Europa non può essere il nostro cappio al collo che finirebbe con lo strangolarci. Deve essere fattore di crescita politica, civile, culturale, ma anche economica. Se continua con l’austerità si darà ragione ai suoi nemici e si finirà con la sua stessa dissoluzione. Non sarebbe la prima volta, nella storia, che l’Europa si unisce e si divide. 2. Taglia carne e ossa sui grandi emolumenti, allo scopo di ridurre la scandalosa spesa pubblica italiana e recuperare risorse che non puoi avere sempre dai tagli alle scuole, alla sanità, alle forze armate e con le addizionali sugli statali e sui pensionati. Finiamola con questi diritti quesiti: sono quesiti da loro, ma non sono diritti; sono la più grande ingiustizia, quando ci sono altri cittadini che muoiono di fame. Non è giusto che una società debba morire mentre questa gente che ha determinato la spropositata crescita del debito pubblico, che ha goduto di facili guadagni, a volte, forse, neppure molto limpidi, gavazzi felice in mezzo a una ricchezza indecente; 3. procedi con le riforme anche se, contrariamente a quello che ti attribuiscono i giornali, non sono la cosa più importante. La cosa più importante oggi è il rilancio dell’economia. Vedi, Matteo, il compito che ti sei assunto è difficilissimo. La crisi italiana è complessa e di non facile soluzione; tanto è vero che le altre nazioni, bene o male, sono in ripresa mentre l’Italia è in recessione. La crisi italiana assorbe in se tre crisi. Quella internazionale, che ebbe origine dalla improvvida decisione dell’amministrazione Bush di far fallire la Leman Brothers; poi quella europea, dipendente dalla debolezza dell’euro, come moneta comunitaria e, paradossalmente, dalla sua forza nei confronti del dollaro. A questo si è aggiunta la assurda politica di austerità, imposta dalla Merkel, e, incredibilmente, accettata, o subita, da tutti gli stati europei. Un suicidio collettivo a beneficio della Germania! Ricordati cosa ha fatto Monti, al servizio della Merkel! Le ha obbedito persino con la presentazione della sua candidatura al vaglio di un popolo salassato da manovre e tasse; e il giudizio del popolo non poteva essere che di condanna. Infine quella tutta italiana: un debito pubblico sproporzionato, non solo per i dettami di Maastricht, ma per qualunque uomo di governo di buon senso; una spesa pubblica che divora i profitti degli italiani, con una classe politica ingorda, a volte anche ladra, spesso approfittatrice, sempre egoista e insensibile al malessere della nazione che dovrebbe rappresentare; una tassazione insopportabile per le famiglie e che strozza letteralmente le imprese; costo del denaro più alto della media europea, anche se diverso nelle regioni e nelle province; costo dell’energia più alto del 25% a quella dei paesi della zona euro; crisi dell’agricoltura dovuta a scelte sbagliate da dilettanti della politica, dall’apertura ai prodotti agricoli del Maghreb che ha messo in ginocchio la produzione in serra e a piano campo dei prodotti orticoli del Meridione, e soprattutto, della Sicilia, alle scelte di politica estera di porre le sanzioni alla Russia, vanificando così gli sforzi di imprenditori che erano riusciti a firmare contratti di fornitura di grossi quantitativi di prodotti agricoli. Matteo, tu sai se le sanzioni hanno mai prodotto un risultato favorevole alle nazioni che le hanno imposto? Una volta ci hanno detto che era necessario morire per Danzica e si mise a ferro e fuoco l’Europa; adesso ci si dice che è necessario morire per Kiev. Matteo, ma quando penseremo un po’ ai fatti nostri, considerato che nessuno muore per noi? In queste condizioni il problema sarebbe: da dove cominciare. Tu hai cominciato dalle riforme istituzionali e amministrative. Certo c’è il job act, ma le leggi non creano lavoro e occupazione. Il lavoro e l’occupazione è prodotto soltanto dalla produzione, e, quindi dagli investimenti. A questo quadro, molto sintetico e incompleto, dell’economia italiana, vanno aggiunte alcune considerazioni di solito tralasciate. Nel 2004 Alan Friedman, il noto giornalista esperto di economia e profondo conoscitore delle cose italiane, cui ha dedicato parecchi libri, si è posto la domanda: ce la farà il capitalismo italiano? Intendeva: nella ampia zona euro? Adesso la domanda è ancora più pregnante: ce la farà il capitalismo italiano a reggere la concorrenza internazionale? La globalizzazione ha posto l’industria italiana di fronte a una concorrenza non qualitativa ma sul piano dei prezzi. E qui l’industria italiana non poteva non perdere la partita. Si aggiunga un’altra realtà ineliminabile: è finito il tempo in cui a vendere prodotti dell’industria erano solo i paesi occidentali, Europa e stati Uniti. Oggi non solo il colosso cinese, ma un gran numero di paesi si sono industrializzati e mettono i loro prodotti sul mercato globale a prezzi di assoluta concorrenza. In questo scenario un governo saggio darebbe soccorso ampio e sostanziale alla produzione di beni, sostenendo in tutti i modi l’innovazione e lo sviluppo. In Italia, invece, si lesina il credito, si moltiplicano le tasse, si assiste indifferenti alla chiusura di centinaia di imprese e, poi, in compenso, ci si piange addosso. Ecco perché il decreto salva Italia, se non interverrà una politica industriale profondamene diversa, ossia, se non si introdurrà nel circuito economico un fattore esplosivo, che può essere solo un vasto piano di opere pubbliche, segnerà la fine della economia italiana e condannerà i cittadini a una vita di povertà, come quella che l’Italia ha conosciuto fino al fascismo. Ecco perché, Matteo, devi trovare risorse ingenti e destinarle a un vasto piano di opere pubbliche, che diano alle imprese la possibilità di tornare a produrre. Un’altra cosa: tu hai dato 80 euro ad alcune categorie di cittadini. Perché? Per spingere la domanda. Ma tu sai anche che negli ultimi venti anni almeno il 15% del PIL si è spostato dai lavoratori dipendenti alle rendite, con conseguente perdita di capacità di acquisto dei lavoratori dl 15%; mentre i pensionati, calcolano gli economisti, hanno perso il 10% del loro potere di acquisto. Adesso tu proponi l’abolizione del reintegro per i lavoratori licenziati senza giusta causa. Ti rendi conto del danno che provochi a tutto il mondo del lavoro? E’ vero che i giudici hanno usato questa legge spesso in maniera scriteriata: quanto accaduto alla FIAT con gli operai che avevano sabotato le linee di lavorazione è spaventoso e, ancor più grave il reintegro ordinato dal giudice. Ma sono casi: quello che succederebbe ai dipendenti è di una gravità estrema; sarebbero in balia del datore di lavoro anche per ragioni irriferibili. No! Questo non é solo un fatto di giustizia, è anche un fatto di civiltà. Matteo, il fatto di essere l’ultima speranza per gli italiani non ti consente di commettere anche ingiustizie!
E infine, ricordatelo, delenda Carthago: sciogli le Camere, appena finisce il semestre europeo. Con questi nominati non farai niente, ti faranno vivere mille giorni ma per distruggerti, ti logoreranno e sulle ceneri della nazione canteranno la loro vittoria.