LA FARSA DELLA RIFORMA DEL LAVORO. CI VUOLE BEN ALTRO! Lettera al direttore

lettera

La riforma del lavoro sta infiammando il dibattito tra il Governo e le organizzazioni sindacali, creando la convinzione tra i lavoratori e soprattutto tra gli aspiranti lavoratori che la riforma del lavoro ed il mantenimento dell’art. 18 a garanzia dei diritti del dipendente agevolino le assunzioni e nello stesso tempo diano garanzia di contratti duraturi.

L’idea che cambiando le regole in tema di lavoro le aziende assumano personale a iosa è largamente condivisa tra i maggiorenti di questo Governo e autorevoli rappresentanti del mondo produttivo che, effettivamente, auspicano una riforma che consenta alla grande impresa una certa flessibilità e convenienza nell’assunzione, ma essendo di parte si potrebbe pensare ad una convenienza subdola.
C’è però qualcosa che non quadra, perché la dinamica che sta alla base della creazione ed al mantenimento dei posti di lavoro è di pari al mantenimento o incremento della produzione sembrerebbe mossa da fattori assimilabili a quelli dell’economia di mercato e cioè la domanda e l’offerta.
L’assunzione avviene solo se l’impresa ha di bisogno che tradotto in termini pratici significa “se ho la produzione assumo” ovvero se ho le commesse devo produrre e mi servono gli operai e me ne infischio dell’articolo 18 o alte norme cappio perché mi serve e basta.
La produzione di beni e servizi avviene se c’è la domanda di quei beni o servizi ovvero se il livello dei consumi di questi beni lo richiedano.
Per esempio, le costruttrici di automobili hanno registrato una flessione di circa il 50 % e così permanendo il livello di produzione appare insensato che con la riforma del lavoro la fiat ritorni a produrre sui livelli di qualche anno fa.
Trattandosi di beni durevoli, la stragrande maggioranza dei consumatori non sono in condizione di acquistarli per contanti in funzione dell’elevato costo. Il mercato di questi beni è stato alimentato dando i denari a chi di fatto non li aveva, attraverso il credito al consumo. A seguito della crisi finanziaria gli istituti finanziari hanno avviato la stagione del credit crunch, non sostenendo più il mercato delle auto, determinando la caduta libera della produzione, lasciando nei piazzali delle industrie migliaia e migliaia di vetture invendute. Attenzione, parliamo di aziende che da sempre sono sul mercato globale e quindi già espanse.

Lo stesso si può dire per il resto dei beni acquistati con questo sistema, per non parlare del mercato immobiliare che più di ogni altro ha risentito il colpo.
Ed ecco che ha avuto inizio la più grande crisi dal 29 ad oggi. Operai in cassa integrazione, aziende non più in grado di pagare stipendi e le tasse, operai licenziati, imprenditori suicida. Si sono aperti più fronti, le banche, lo stato, i fornitori, il panico che ha cambiato le abitudini delle famiglie e così siamo arrivati ai giorni nostri.
D’altro canto, nel momento in cui l’uomo ha scelto di cambiare il sistema commerciale, passando dal baratto tra merci e beni al baratto tra beni e servizi sia privati che pubblici con la moneta e ancor più grave tra moneta e moneta, venendo deficitario uno di questi due pilastri il sistema va in crisi. Oggi ci potremmo porre la domanda: “MANCA IL LAVORO PERCHE’ MANCANO I SOLDI O MANCANO I SOLDI PERCHE’ MANCA IL LAVORO?”.
Il problema più grosso riguarda i consumi interni, che non riescono a sostenere la produzione ideale per ridurre la disoccupazione e creare nuovi posti di lavoro, mentre unica nota positiva è rappresentata dalle aziende che in questo periodo hanno incrementato le esportazioni, ma davvero poca cosa.
Non ci sono strade diverse da quelle percorse nelle precedenti grandi crisi, e cioè quelle di mettere in condizione di spendere anche a chi non può.
Quali sono le strategie da potere seguire?:
intervenire con una programmazione di investimenti pubblici tale da dare una vera svolta al problema della disoccupazione;
una grande bonifica presso le centrali rischi del credito su cui figurano iscritti la stragrande maggioranza delle famiglie italiane, reinserendole nel circuito del piccolo credito;
una significativa detassazione a beneficio di tutti ed in specie nei confronti delle fasce meno abbienti.
L ‘aumento dei consumi interni è principalmente una questione che riguarda la micro impresa che rappresenta una grossissima percentuale delle partite iva e dove si registra la maggior parte delle perdite di lavoro, uno stillicidio che se sottovalutato ci porterà al disastro.
Certo che per mettere in atto queste strategie, come è noto a tutti, bisogna avere i conti a posto essendo impensabile uscire fuori dall’Unione Europea.
Riforma del lavoro? il governo sarà costretto a ridurre stipendi pubblici e pensioni, Enti ritenuti inutili e quant’altro finanziato dal pubblico, creando tensioni sociali pericolosissime, come avvenne in Grecia, anche se in misura meno drastica.
Attualmente si sta tagliando sempre di più i fondi destinati agli enti locali che a loro volta sono costretti ad aumentare le aliquote dei tributi locali che sempre in maniera più estesa non possono essere onorati dai contribuenti creando buchi importanti nei bilanci.
Solo una revisione dei patti europei può evitare di imboccare questa strada, ma a condizione che tale revisione consenta di mettere in circolo alcune centinaia di miliardi di euro non certo 10 miliardi o venti miliardi che sono una goccia nell’oceano.
Fatto questo allora si può parlare di riforma del lavoro, di istruzione scolastica legata al mondo del lavoro ecc. ecc..
Altro che riforma del lavoro, questo è quello che, purtroppo, dovrà essere messo in atto ed il coraggio al momento non sembra confortare la classe dirigente di questo paese…..e cosa grave è che non hanno il coraggio di dirlo.
Ogni giorno sprecato verso questa direzione significa soltanto spostare il problema di qualche mese.
Emanuele Cavallo

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