Il duo Camusso-Landini sta preparando la riscossa contro il Governo che vuole attentare al potere dei sindacati con l’eliminazione dell’articolo 18. Masse di tesserati ben addestrati affluiranno nelle piazze d’Italia sotto le bandiere rosse falcemartellate per chiedere, non lavoro, che già hanno o hanno avuto, ma la conservazione di garanzie consolidate che chiamano diritti.Camusso-Landini sbraiterà dal palco sulla dignità del lavoratore, sulle lotte combattute assieme, sulle glorie del sindacato.
Solite rappresentazioni andate in scena ogni volta che si è provato a cambiare qualcosa nel mondo del lavoro protetto. Non sanno parlare di altro, soprattutto non parlano mai di doveri. L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro; quindi il lavoro è un diritto. No, ha detto qualcuno, il lavoro è un dovere. Verissimo, se un lavoro ce l’hai, hai il dovere di darti da fare per mantenerlo, adesso in particolare che il lavoro manca, altrimenti potrai essere licenziato o demansionato a favore di qualcun altro meno assenteista e più diligente di te. Questo Camusso-Landini non lo ha mai detto e mai lo dirà, sarebbe una verità controproducente. Alla coppia interessa l’esistenza del sindacato e il mantenimento di propri privilegi diventati diritti. Si capisce così qual è il senso di mantenere il famigerato articolo. Simbolo, senza dubbio, e insieme garante del potere economico dei sindacati. Lo conferma la montagna di denari che questi accumulano, e senza pagarci sopra un euro di tasse. Esattamente come non hanno mai pagato un soldo di ICI e non pagano un centesimo di IMU sugli immobili. I sindacati sono una grande impresa, di tutte la più florida e quella che non rischia niente, né il fallimento né il suicidio. Avete mai sentito di un sindacalista che si è tolto la vita? Mai. Al più si è tolto dal sindacato per mettersi in politica. La fonte di reddito dei sindacati è la tessera, con cui il lavoratore sa di potersi tutelare nei confronti del “padrone”. Sicché, se ti rivolgi al sindacato, la prima cosa che ti chiedono è l’obolo per l’iscrizione, nel caso della CGIL 100 euro all’apertura della pratica. Successivamente altri soldi per la consulenza in ragione del tipo di vertenza: 10% per vertenze fino a 10 mila euro, 4% se l’indennizzo al lavoratore supera i 20 mila. Se, come rivela l’Istat, più di un milione di italiani sono attualmente coinvolti in cause di lavoro, emerge con evidenza inequivocabile che i sindacati si mettono da parte un bel gruzzolo. E non basta, quei soldi vengono contabilizzati come donazioni dei soci, quindi sono esentasse. Con questo stratagemma, l’ufficio vertenze della CGIL Lazio si è intascato un milione di euro; in Lombardia la CISL ha accantonato 2oo milioni di euro, e a Bergamo e provincia le tre sigle si sono portate a casa ben 27 milioni di euro nel corso del 2013. Vengono poi gli aspetti correlati: i tribunali del lavoro sono ingorgati perché le sentenze hanno tempi lunghissimi. Non solo: gli esiti sono diversi anche in presenza di casi del tutto affini. Come mai? La spiegazione è che i giudici decidono in relazione al tasso di disoccupazione locale: dove questo è alto, la ragione viene più spesso data al lavoratore. In conclusione: entrate sicure e non tassate fanno del sindacato una “premiata” ditta i cui azionisti sono i lavoratori che pagano la tessera. Il 44% dei giovaniche non hanno una occupazione e non hanno motivo di iscriversi ad un sindacato sono invece esclusi da qualunque diritto. E’ chiaro allora che il sindacato, così com’è , non serve ad affrontare adeguatamente i problemi legati alla crisi economica ed occupazionale. Quindi se non serve è inutile.Rimane una casta autoreferenziale che caparbiamente e ridicolmente difende un mondo che esiste solo nella mente di qualche nostalgico. Proprio come la minoranza PD che teme, più di tutto, di scomparire. Peccato che, intanto, a scomparire da questo Paese siano le imprese, le uniche non protette dal fisco vorace, le uniche capaci di produrre vera ricchezza, le uniche ad essere discriminate. Altro che qualche lavoratore fannullone e parassita!