Ispica: “Non voglio darmi fuoco, nè impiccarmi. Voglio vivere”. Lettera al direttore

lettera

Sig. Direttore,
mi chiedevo quante lettere di cronache di ordinari fallimenti – ormai dobbiamo paradossalmente anche definirli “ordinari” – passino dalla sua scrivania. Storie di lavoratori disperati, di disoccupati senza futuro, di famiglie a un passo dal baratro per colpa dei tempi difficilissimi che viviamo, ingiustizie e giochi di potere.  Io vorrei raccontarLe la storia incredibile di un fallimento straordinario. Chi le scrive è un piccolo imprenditore ridotto sul lastrico NON per colpa della crisi, delle tasse, del calo dei consumi.

La mia storia è la storia di un lavoratore che stava resistendo alla “Crisi” con dignità, ma che si è trovato di fronte l’arroganza del potere costituito, e l’assenza del Diritto. Per questo le scrivo, perché quello che mi è accaduto possa avere l’eco di un medium potente come quello presso il quale lei svolge il suo lavoro. Le scrivo perché quanto mi accade possa essere conosciuto, denunciato e diffuso.
A Ispica, questo è il nome della mia cittadina – uno dei paesini della provincia ragusana – un ragazzo di 25 anni decide di acquistare la licenza per la gestione di un chiosco-bar nella piazza principale.

Era il 2005, ero in piazza insieme alla mia famiglia. Era giorno di festa in paese, per un gemellaggio con una città canadese. C’erano le bande musicali in parata, la piazza era addobbata e bellissima, e io, insieme a mio fratello e a mia madre, abbiamo appreso dell’intenzione del proprietario del chiosco di vendere il piccolo bar. Eravamo seduti proprio lì, ai tavolini del chiosco che dopo pochi mesi e un piccolo prestito in banca sarebbe stato il “mio” chiosco.

Cosa spinge un ragazzo che studia all’università ad acquisare la licenza di un chiosco bar di paese? Tante cose, ma più di tutte lo spirito di avventura che mi ha sempre caratterizzato. Ho sempre vissuto con un “perché no?” in tasca, perché ho sempre creduto che, come diceva Pietro Nenni, “le idee camminano con le gambe degli uomini”. E di idee da realizzare in quel chiosco e grazie a quel chiosco, mi creda, ce n’erano a palate.

Siamo partiti con i caffè letterari; poi sono arrivati i reading, il teatro, i concerti, le mostre dedicate agli artisti locali, gli aperitivi in fiore per gli sposi e quelli in lingua per gli studenti del liceo linguistico. Da noi si praticava il BookCrossing, e avevamo approntato una piccola biblioteca a disposizione di tutti, il tutto all’intero di un piccolo gazebo, montato da me e mio fratello sulla pedana che esisteva prima che noi acquistassimo l’attività.

Dal pranzo per gli impiegati delle banche della piazza ai menu speciali dedicati ai paesi stranieri, passando ovviamente per tutto quello che poteva offrire un bar, il nostro chiosco (era mio e di mio fratello) era diventato, come può immaginare, molto più di un semplice chiosco da piazza. Eravamo il centro che stava al centro, una specie di fucina dove venivano forgiate le iniziative più varie. Questo, se in una qualsiasi grande citta’ è probabilmente normale, in una cittadina come Ispica è qualcosa di straordinario.

Il Chiosco prospera fino al 2010, anno in cui vengono decisi i lavori di rifacimento della piazza. Da lì inizia l’assurdo. Vengo convocato per la prima volta negli uffici del Comune, per concordare insieme agli amministratori la mia temporanea chiusura e soprattutto la mia riapertura, alla fine dei lavori (stimati in 6 mesi). Vado all’appuntamento e non trovo nessuno ad attendermi: un funzionario mi dice che non ne sa niente e che posso andar via: mi faranno sapere.

Nessuno mi ha mai fatto sapere nulla, malgrado i miei ripetuti solleciti: quindi io non so quando, se e come devo chiudere, e che ne sarà del Chiosco attuale e futuro. Decido di continuare comunque l’attività, che dopotutto è mia e io sono libero di aprire anche se la piazza è transennata. Quindi TENGO APERTO IL CHIOSCO, dentro le transenne: dovranno venirmi a prendere con le ruspe.

E invece un giorno arrivano dei vigili urbani, che mi notificano 5 denunce penali a mio carico, appena depositate alla Procura della Repubblica da parte del Comune di Ispica. Il Chiosco sarebbe irregolare sotto diversi punti di vista (tutti successivamente contestati, ovviamente), quindi sul momento mi vedo costretto a chiudere e andarmene. Chiudo ma non mi arrendo all’intimidazione: contesto la denuncia e reclamo i miei diritti.

Nel frattempo la piazza viene demolita, e con essa il mio chiosco e la mia fonte di sostentamento. Il sindaco, a seguito del mio baccano (e dell’avvicinarsi delle amministrative del mese di maggio) mi affida in via del tutto temporanea il chiosco-bar di una piazzetta secondaria di Ispica (mai utilizzato – poi vedremo anche perché). “Coraggio, stringete i denti per 6 mesi e poi tornerete al vostro chiosco, completamente rinnovato, nella nuova piazza”. Carte firmate. Aprile 2010.

Febbraio 2013: io sono ancora nel chioschetto della piazzetta secondaria, un luogo a dir poco malfamato di cui se vuole le fornirò abbondanza di foto. La piazzetta è teatro di vari episodi di malcostume e violenza: più volte ho dovuto sedare risse che mi sono ritrovato nella mia attività, e una volta addirittura alcuni personaggi loschi sono venuti a pestarsi DENTRO i 4 metri quandrati del chioschetto, devastando ogni cosa, dalle bottiglie alla macchina del caffè. Ho dovuto persino ripulire il sangue.

Lei immagina quanta (e quale) clientela io abbia adesso, e quanta (e quale) ne abbia avuta da 3 anni a questa parte. I guadagni si sono azzerati nel giro di niente, e nessuna iniziativa culturale ha potuto attecchire in un posto come quello. In tre anni la piazza è stata rifatta, è sorto un nuovo chiosco, e il Sindaco (lo stesso di 3 anni fa – è stato rieletto) ha annunciato che a breve la nuova struttura-bar verrà riassegnata mediante bando pubblico. Io? Che mi arrangi. Le carte firmate? Le promesse? Lo “stringete i denti per 6 mesi e tornerete al vostro posto”? Tutto falso.

Ovviamente sto portando avanti la mia battaglia legale nelle sedi opportune, per sostenere la quale ho dato fondo a tutti i miei risparmi.A breve la banca mi togliera’ la casa dei miei genitori, perche’ erano i miei garanti. Ma io non mi do per vinto, mi è stata tolta con l’intimidazione una cosa che mi apparteneva, e in cui avevo investito tutto me stesso. Questa cosa non mi viene restituita, in un modo folle, che non comprendo. Del caso se ne e’ occupata anche l’Onorrevole Boldrini, che ha chiesto al Prefetto di Ragusa di fare luce sulla storia,ma dopo mesi non se ne riesce a venire a capo, il Sindaco della mia citta’ non risponde ed io mi ritrovo indebitato fino al collo e costretto a lasciare casa ed affetti per andare in Germania dovve lavoro per 500 Euro mensili. Qualche giorno fa il vice sindaco della mia Citta’ incontrando alcuni amici che hanno protocollato una raccolta firme affinche’ io potessi ritornare a lavorare…ha detto loro con ghigno malefico che tutte le firme raccolte saranno nulle, solo tempo perso e che dovrei reputarmi fortunato a stare in Germania. ma come siamo combinati? Non solo mi tolgono il lavoro creato con i miei sacrifici… ma siamo arrivati al punto che vengo quasi invitato a rimanere in Germania e non tornare a “casa mia”. E’ ora che QUESTE PERSONE lascino le poltrone a cui si tengono saldamente aggrappati e lascino il posto a gente piu’ preparata, onesta, meno arrogante e che non predilige nessuna classe sociale!  E’ passato ormai un anno che io vivo in Germania, famiglia sparpagliata, solo debiti, poche prospettive e tanta tanta sete di Giustizia, perche’ Io ancora ci credo perche’ LA VOGLIO.

Io ho bisogno di Voi perché la mia vicenda, che è una vicenda che riguarda l’uso del Potere Pubblico, arrivi a quante più persone possibili, senza paure….

Attendo fiducioso sue notizie.

Cordialmente
Salvatore Uccio Milana

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