“Combattiamo la mafia come faceva Falcone”. Lettera al Presidente della Repubblica di Carmelo Scarso

carmelo scarso

Al Signor
Presidente della Repubblica
Palazzo del Quirinale
R O M A

“Combattiamo la mafia come faceva Falcone”. Queste le Sue parole in occasione della recente cerimonia per l’attribuzione dell’Onorificenza di “Grande Ufficiale” a Maria Falcone.
Ho voluto riflettere prima di valutare la Sua affermazione perché di primo impatto di essa prevale l’ovvietà e perciò non ne viene in considerazione il reale contenuto. Il magistrato Falcone è diventato anche una icona politica, che purtroppo ne sminuisce la figura e l’esempio consacrato nel Suo martirio.

Signor Presidente,
se si vuole dare corso al Suo richiamo si deve rispettare il magistrato Falcone e la Sua memoria. Diversamente si farebbe opera incensatoria e vuota.
Per operare in tal senso basta semplicemente evocare il pensiero e le convinzioni del magistrato, tanto importanti da essere ritenuti dai mafiosi pericolosi e dannosi ai loro interessi criminali. Infatti da essi è scaturito la Sua condanna a morte.
E allora:
1. rispettare la Sicilia e i Siciliani. La identificazione della mafia con la Sicilia ed i Siciliani tout court, a cui, con l’avallo della politica, certa pseudo cultura mass mediale, soprattutto cinematografara, dal dopoguerra ad oggi ha dato spazio, va messa al bando. “La tendenza del mondo occidentale, europeo in particolare, è quella di esorcizzare il male proiettandolo su etnie e su comportamenti che ci appaiono diversi dai nostri”. I Siciliani sono siciliani e non sono sinonimo di altro;
2. rispettare la Sicilia e i Siciliani. “Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale”. Queste parole del magistrato Falcone fanno giustizia, allora per ora, della massificazione della lotta antimafia, a ciò portata da interessi non propri e di mera speculazione politica. I Siciliani sono “uomini d’onore” e tali rimangono, ma non lo sono quelli comunemente intesi per uomini d’onore, i criminali cioè a cui la pseudo cultura speculativa dell’antimafia, tanto invisa a Sciascia, ha attribuito l’esclusiva di una dote e di un valore umano di autentica “sicilianità”. Quindi, chi ancora insiste ad abbattere la “mafiosità” per abbattere la “mafia” cambi strada perché, come ha avvertito il magistrato Falcone, andrà sempre a sbattere contro una ineliminabile caratteristica genetica di tutto il popolo siciliano;

3. capire la mafia. “Uno dei miei colleghi romani, nel 1980, va a trovare Frank Coppola, appena arrestato, e lo provoca: “Signor Coppola, che cosa è la mafia?”. Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e ribatte: “Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare Procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…..”. Parabula significat….;
4. capire la mafia. Il magistrato divenne pericoloso ed ingombrante perché, dopo averla conosciuta, cercò di capire e capì la mafia, senza pregiudizi di sorta quali quelli che oggi sono coltivati dagli antimafiosi di maniera e di professione, che ne condizionano la lotta e spesso la sviano. “Conoscendo gli uomini d’onore ho imparato che le logiche mafiose non sono mai sorpassate né incomprensibili. Sono in realtà le logiche del potere, e sempre funzionali a uno scopo. Ho imparato ad accorciare la distanza tra il dire e il fare. Come gli uomini d’onore”;
5. capire la mafia in un rapporto di comprensione umana. “Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro”. Il magistrato teneva sempre in conto di avere di fronte persone pure dotate di valori umani che spesso non si ritrovano nelle persone cosiddette civili ed anche nelle persone antimafiose. Egli rifletteva sul fatto che “In certi momenti, questi mafiosi mi sembrano gli unici esseri razionali in un mondo popolato da folli”, per chiedersi, “nei momenti di malinconia”, “perché mai degli uomini come gli altri, alcuni dotati di autentiche qualità intellettuali, sono costretti a inventarsi un’attività criminale per sopravvivere con dignità?”.
6. depoliticizzare la memoria del magistrato e della Sua morte. In altre parole sottrarre la memoria di Falcone allo squallore delle attuali basse speculazioni dei mass media, dei mestieranti dell’antimafia, degli accaparratori di capitali e risorse economiche “ ex mafia”, di soggetti votati a conquistare autoreferenziali meriti civili e giudiziari, fondate sulla ignoranza, molto crassa, del pensiero e della esperienza dell’Uomo, del Magistrato, del Martire;
7. alto senso di coscienza. Per combattere la mafia e i mafiosi bisogna essere dotati di un non comune e straordinario tasso di moralità per evitare grottesche e sconcertanti esperienze, che in tutta umiltà Falcone confessò: “Per quanto possa sembrare strano, la mafia mi ha impartito una lezione di moralità”;
8. non confondere la mafia con altro. E’ necessario che la “mafia” non venga confusa e annacquata con altri fenomeni criminali pure qualificati. Chi porta avanti l’iniziativa di lotta alle mafie non fa altro che generalizzare e genericizzare la “mafia”, con la inevitabile conseguenza di depotenziarne le acute problematiche civili, sociali e giudiziarie che essa comporta in via specifica.
Signor Presidente,
come vede a far parlare il magistrato Falcone e misurare la lotta alla mafia con i Suoi insegnamenti e con le Sue esperienze professionali, sarebbe evidente l’assoluto stridore tra “il dire e il fare” che fa la differenza tra l’antimafia e la mafia.
Per combattere la mafia come faceva Falcone bisogna conoscere Falcone per potere conoscere e capire la mafia. Ma i più, oggi, compresi molti dei suoi colleghi e coloro che sono chiamati a combattere la mafia, non conoscono Falcone né conoscono e capiscono la mafia.
Ossequi.
Modica, li 22/10/2014
Avv. Carmelo Scarso

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