La nostra società, in tutte le sue articolazioni politiche, sindacali, culturali, professionali, sanitarie, sportive, educative , scolastiche, associazionistiche, giornalistiche, della giustizia ,etc.. si è davvero trasformata in un ring con proprie tifoserie. E fra i tifosi si vanno sempre più affermando quattro categorie di personaggi di cui voglio occuparmi nelle mie osservazioni, vale a dire il “polemista”, il “moralizzatore”, il “disfattista” e il “buonista”.
In questa osservazione voglio occuparmi del polemista. Chi è costui? Come agisce? Quali obiettivi si prefigge? Sicuramente le figure dei polemisti sono in aumento, al punto che il Ministero dell’istruzione, università e ricerca( mi si perdoni l’ironia!) sta pensando di istituire delle Facoltà di polemologia, affidandole a noti maestri e dottori in polemologia nazionale che sono talmente noti che se dovessi citarli in questo modesto scritto locale ci perderebbero di fama. Quindi evito le citazioni.
In diversi affermano che “la polemica è il sale della democrazia”. Ma è davvero così? Credo proprio di no! Almeno per me. Tutto sta poi a vedere cosa ognuno intende per polemica.
Per corroborare la mia convinzione, mi basta considerare l’etimologia del termine polemica che deriva dal greco “πολεμικός” e che significa “attinente alla guerra”, e che designa, quindi, una sorta di guerra, per lo più verbale, condotta contro un avversario detto bersaglio della polemica. Oggi il polemista non è più quella persona dotata di “dialettica”, che cerca di difendere con argomenti le proprie idee, che è ispirato dal bisogno di far trionfare la giustizia e la verità. In questo senso polemista era, ad esempio, il vescovo di Ippona Agostino, il quale difendeva le sue idee con forza , con chiarezza e con abilità. Egli era un dialettico consumato, scopriva i cavilli dell’avversario costringendolo a difendersi con l’arma inesorabile del dilemma.
S. Agostino a coloro che, a corto di argomenti, replicavano a vuoto, ricordava che non c’è peggiore condizione di colui che non sa né parlare né tacere.
Oggi, invece, il polemista, specie nei campi del sociale e del politico, è spesso uno che attizza strumentalmente scontri che hanno i toni e i contorni del giudizio livoroso, dell’astio, dell’insulto, della diffamazione vergognosa, della delegittimazione e dell’abbattimento del proprio simile. Altro che sale, altro che apologetica! Altro che cosa di cui vantarsi!
Il polemista contemporaneo, chiaramente ci riferiamo a uomini e donne, si lamenta e basta, lancia accuse a destra e manca, al di là degli argomenti. A volte al lamento sostituisce l’ironia e la satira maldestra con una pesantezza da piombo. E’ sempre caustico, si trattasse anche della ricetta della torta di mele, di una piccola distrazione o delle previsioni del tempo. Oggi ovunque ti giri e rigiri trovi persone che hanno il “gusto della polemica”: al polemista non interessa che un problema si risolva, ma che egli possa apparire ed essere visibile con il ricorso alla polemica. Il polemista fonda la sua azione sul sospetto e tramite esso prende di mira il suo bersaglio attaccandolo sul piano personale, ricorrendo, se necessario per le sue finalità, alla calunnia e alla costruzione di indizi delegittimanti.
Il polemista, insomma, agisce diversamente dalla persona che cerca la verità e la giustizia: quest’ultima, al contrario, è attenta, vigilante, cauta, giudica e verifica tutto con ponderazione, equilibrio e attenzione, senza sospettare , per principio, di tutto e di tutti. La sua azione ha una finalità critico-costruttiva, mentre quella del polemista è finalizzata a mettere in cattiva luce l’operato dell’altro anche se positivo, e ad instaurare rapporti sociali logoranti e in continua tensione guerrafondaia.
I giovani di oggi hanno purtroppo, in tutti i campi istituzionali, modelli comportamentali che fanno dello scontro, dell’insulto, dell’accusa, del lancio di sospetti il fine della loro vita. In primis sono i leader politici, del mondo sindacale, giornalistico, della comunicazione mediatica a non far mai capire se il loro agire, le loro critiche obbediscono al bisogno di far trionfare la verità e la giustizia, o se sono, invece, “polemica depistante ed offensiva” viziata da interessi personali da nascondere. I governanti, sicuramente, sono i primi responsabili di un clima sociale caratterizzato da scontro, da guerre, da insulti, da insinuazioni e da linguaggi davvero distanti da una dialettica accettabile e necessaria.
Se uomini e donne fanno della polemica, nei campi in cui operano, il loro pane quotidiano creando sospetti su tutto e su tutti, attizzando scontri, tensioni e conflitti solo per il “gusto della polemica” e senza seri argomenti, è chiaro che sono veri protagonisti di un disfacimento del vivere civile. Al contrario, uomini e donne che vigilano con perseveranza e fermezza perché la verità , la giustizia e la trasparenza dell’agire individuale e collettivo trionfino, rappresentano un bene capace di creare le condizioni per un rapporto, anche se minimo, di fiducia, senza il quale nessuna buona relazione tra le persone, nessuna buona amministrazione e buon governo della cosa pubblica sono possibili.