“Il sindaco Abbate, con una nuova regola, ha messo in moto un meccanismo che ritarda i controlli sino a impedirli”. Lo denuncia il consigliere comunale del Pd di Modica, Ivana Castello, secondo cui non sono in discussione solo i trenta giorni, ma anche le conseguenze che, attraverso essi, possono prodursi. Il risultato, di una mostruosità impressionante, è la blindatura degli atti di amministrazione. “Gli atti, che appartengono ai cittadini perché compiuti su loro mandato e con i loro soldi, col sistema dei trenta giorni sono posti in una cassaforte che solo il sindaco può aprire. Un esempio può essere utile.
Un consigliere comunale sia informato di brogli in una gara d’appalto svolta nel 2014. Sarebbe stata favorita una ditta a scapito delle concorrenti. Il 1° gennaio 2015 chiede che gli siano fornite copie di specifici documenti per verificare la notizia. Gli sono consegnate il 30 gennaio. Dopo dieci giorni di studio si rende conto di avere necessità di alcuni allegati. Li chiede datando l’istanza 11 febbraio 2015. I nuovi documenti gli sono forniti il 13 marzo successivo. Insorge ulteriore necessità di esaminare una dichiarazione emersa durante l’ultima lettura: dal 13 marzo si potrebbe arrivare alla seconda decade di aprile. Nel frattempo la ditta vincitrice può aver compiuto i lavori di cui è stata illegittimamente investita. Questo senza tener conto che potrebbero essere necessari tempi più lunghi per consultare un avvocato, studiare circolari o acquisire altre carte”.
Per ovviare all’inconveniente Ivana Castello ha proposto di uniformare il comma 4 dell’articolo 13 all’articolo 50, comma 3, nel Regolamento comunale sui procedimenti e sull’accesso ai documenti amministrativi. In quest’ultimo si dispone una norma semplicissima:
«Le richieste (…) debbono essere evase immediatamente e comunque entro e non oltre 3 (tre) giorni lavorativi dalla loro presentazione..».
“Il dibattito consiliare ha registrato la compattezza dell’opposizione, che ha sostenuto l’approvazione dell’emendamento, salvo il Consigliere Ruffino che si è astenuto; ma una compattezza granitica si è registrata anche nella maggioranza, che lo ha respinto.
Al centro della discussione si è ritrovata, ma era già preparata a tutto, la Segretaria comunale che, con irragionevole pervicacia, ha affermato l’illegittimità della mia proposta. Sulla sua presa di posizione vorrei astenermi da ogni giudizio, ma una considerazione non posso tacerla. Qualunque proposta che accresca la trasparenza, questo simulacro che tutti i politici dicono di volere quando non sono al potere, può mai ritenersi, sostanzialmente, illegittima? E quand’anche formalmente lo fosse, non dovrebbe modificarsi la legge, considerate le moralmente ineludibili esigenze sociali? La materia, qualcuno potrebbe obiettare, non attiene alla competenza dei Comuni ma a quella del Parlamento e sono d’accordo. Desidero, però, evidenziato che innanzi a questo principio generalissimo, che non richiede alcuna consacrazione perché è nelle cose; e innanzi alla stessa legge che dichiara esattamente il contrario, la Segretaria ha verbalizzato che il termine per l’accesso agli atti, secondo la legge 241 del 1990, non può essere inferiore a trenta giorni. Ripeto: non può essere inferiore a trenta giorni. L’abbaglio, in sé, potrebbe essere scusabile, ma produce effetti insuperabili, almeno nell’immediato, se si considera che il Consiglio ha determinato il proprio voto in base alla sua dichiarazione.
Dato che la cosa potrebbe percepirsi ai limiti dell’incredibile, aggiungo qualche dettaglio che, per mia fortuna, è consegnato agli atti della seduta. Il consigliere D’Antona, durante la discussione, le ha chiesto quale fosse la norma che proibisce di fissare il termine in tre giorni e la Segretaria, dopo una pausa veramente imbarazzante, ha indicato l’articolo 22 della legge 241/90. L’articolo 22, però, non impone alcun termine, anzi afferma che l’accesso agli atti amministrativi costituisce principio generale dell’ordinamento giuridico dello Stato. Fa ritenere, insomma, che qualunque impedimento possa costituire una violazione di marcata gravità. Possiamo, per ciò, desumere che la Segretaria abbia sbagliato? Ammettiamolo e abbreviamo la discussione: avrebbe voluto indicare l’articolo 25 e invece ha indicato l’articolo 22. Può accadere a tutti. All’articolo 25, però, si afferma esattamente il contrario:
«4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5»
Troviamo così che l’articolo 25 istituisce un termine massimo, oltre il quale la richiesta di accesso deve ritenersi respinta. Qualunque termine minore, di conseguenza, è legittimo, compreso quello di tre giorni proposto dalla sottoscritta. Assolutamente arbitrario deve ritenersi, invece, il parere ripetutamente affermato e messo per iscritto dalla Signora a cui va attribuita la responsabilità di aver influenzato, inducendo in errore i consiglieri, il voto successivamente espresso dal Consiglio.
I due termini, dunque, quello di tre giorni proposto da me e già sancito in un regolamento del Comune, e l’altro di trenta giorni, proposto da Abbate e sostenuto sino al falso dalla Segretaria, sono formalmente legittimi in quanto conformi al dettato dell’articolo 25, con una differenza, però, che il termine più lungo è assolutamente inopportuno perché ostacola il compito ispettivo dei consiglieri, e quello più breve accresce la trasparenza dell’azione di governo della città.
Il sindaco, dal canto suo, amante a chiacchiere della trasparenza amministrativa, avrebbe dovuto dire non tre giorni, come sancito nel richiamato ed ancora valido regolamento comunale, ma «immediatamente»; non avrebbe dovuto permettere alla Segretaria di dire la prima sillaba della parola «trenta». A trenta giorni non si può lavorare. E chi è defraudato dei suoi diritti non è Ivana Castello che è nessuno, ma la città di Modica e tutti i cittadini che concorrono al suo decoro pagando le tasse.
In definitiva si può mettere in dubbio tutto, ma una cosa è certa, che la deliberazione sul comma 4 dell’articolo 13 del regolamento delle partecipate, essendo stata influenzata dalla erronea dichiarazione della Segretaria, va annullata, ridiscussa e rivotata. E in questo senso ci si sta attivando presso le autorità competenti”.